Katmandu, una settimana dopo il terremoto
È tornata l’elettricità e hanno riaperto alcuni negozi: ma la situazione nelle aree rurali del Nepal rimane ancora molto grave
In Nepal sono passati otto giorni dal terremoto di magnitudo 7.8, il più forte degli ultimi ottanta anni, che ha distrutto molto edifici a Katmandu e in altre città nepalesi e ha provocato la morte di oltre 7mila persone. Ieri il governo nepalese ha detto che “non esistono più possibilità di trovare altri superstiti del terremoto”. Un comunicato di Associated Press parla però di 3 persone, due uomini e una donna, trovate vive nella mattina del 3 maggio sotto le macerie di Syauli, un villaggio 60 chilometri a est di Katmandu. Il numero dei morti aumenterà però sicuramente nei prossimi giorni: volontari, soldati e organizzazioni umanitarie sono impegnati nel lavoro di rimozione dei detriti. Nelle aree del paese più rurali, lontane dalla capitale Katmandu, i soccorsi restano difficili. Reuters ha detto che nelle ultime ore la polizia nepalese ha recuperato i corpi di 50 persone nel distretto di Rasuwa, nel nord del paese, e tra loro potrebbero esserci anche alcuni turisti stranieri. Solo in quell’area sono ancora più di 200 i residenti o i turisti che ancora risultano dispersi: la pioggia e le cattive condizioni del tempo degli ultimi giorni hanno reso impossibile l’accesso all’area, ha spiegato la polizia nepalese.
Dopo una settimana dal terremoto, le condizioni del tempo sembrano essere diventate piuttosto stabili, permettendo agli elicotteri e ai soccorritori di raggiungere anche le aree montuose e più remote del Nepal. Nella capitale Katmandu prosegue la rimozione dei detriti, ma allo stesso tempo, scrive il New York Times, i residenti hanno ricominciato a svolgere le loro attività quotidiane. In Nepal la domenica è il primo giorno lavorativo della settimana: oggi diverse attività commerciali hanno riaperto, per la prima volta dopo il terremoto. A Katmandu è anche tornata l’elettricità, dopo un lungo blackout dei giorni scorsi. Inoltre, il fatto che l’aeroporto cittadino non abbia subito danni così gravi da dover essere chiuso ha permesso l’arrivo di soccorsi e aiuti umanitari.
Bahadur Khatria è uno dei responsabili della tendopoli di Tundikhel Park, vicino a Katmandu, che una settimana fa accoglieva circa 150mila persone. Khatria ha detto che oggi il campo è abitato da circa 10mila persone, perché molti nepalesi sono tornati nelle loro case. Allo stesso tempo, però, molti nepalesi delle aree rurali sono ancora in attesa delle tende in cui vivere provvisoriamente prima di ricostruire la loro casa o almeno rendere agibile quella vecchia. Secondo le Nazioni Unite, il Nepal ha bisogno di più di 400 milioni di euro in aiuti umanitari soltanto per i prossimi tre mesi: finora sono stati raccolti circa 5 milioni, l’uno per cento. E a complicare i soccorsi c’è anche il fatto che, come ha spiegato proprio Valerie Amos, la responsabile delle Nazioni Unite per le operazioni umanitarie, “c’è molta preoccupazione” riguardo al fatto che l’eccessiva burocrazia nepalese stia rallentando i soccorsi e gli aiuti umanitari per il Nepal.
Foto: Tre uomini nepalesi fanno una pausa a Bhaktapur, il 2 maggio 2015 (© Taylor Weidman/ZUMA Wire)