Da che parte tirare i rigori
Spiegazioni scientifiche di eventi sportivi, nel nuovo libro di Marco Malvaldi
È uscito per Rizzoli il libro Le regole del gioco di Marco Malvaldi, autore di gialli di successo, chimico e ex ricercatore all’Università di Pisa. Nel libro Malvaldi analizza con tono leggero e approccio scientifico eventi sportivi di cui al grande pubblico sfugge la spiegazione, dalla traiettoria dei calci di punizione di Pirlo, a come sopravvivere alla “lotteria dei calci di rigore”, alla difficoltà di tuffarsi da un trampolino, a quanto sia difficile per un guardalinee di accorgersi di un fuorigioco, fino a come segnare un gol da 50 metri dalla porta.
In questo estratto, il capitolo dedicato al lato della porta preferito dai portieri per tuffarsi sui calci di rigore.
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Mosca, stadio Luzhniki, 21 maggio 2008. Siamo alla fine di Chelsea-Manchester United: una partita che i cronisti, il giorno dopo, definiranno «equilibrata», mentre il telespettatore medio avrebbe senz’altro usato il termine «pallosa», se non fosse che si trattava della finale di Champions League.
Dopo centoventi minuti di gioco, sul risultato di 1-1, tocca andare ai calci di rigore. Per fortuna del telespettatore medio, sempre lui, che ha così la possibilità di vivere un po’ di tensione agonistica dopo settemiladuecento secondi di inni al parroco, solo sporadicamente interrotti da qualche maldestro tentativo di azione da gol.
Dopo la serie normale, da cinque rigori, la situazione è ancora di parità. Si va quindi a oltranza, un tiro per uno. Per il Manchester si presenta Anderson, che segna. Subito dopo, per il Chelsea, Solamon Kalou infila diligentemente il pallone alla sinistra del portiere avversario, Edwin van der Sar. Si deve continuare. Per il Manchester, il cartellino viene timbrato da Ryan Giggs, che fa il suo dovere e insacca; per il Chelsea, si presenta sul dischetto Nicolas Anelka, mentre sulla linea di porta si piazza il solito van der Sar.
O meglio, non proprio il solito van der Sar.
L’atteggiamento del portiere del Manchester non è quello dei sei rigori precedenti: l’olandese si avvicina alla porta con decisione, battendo vigorosamente le mani, e si piazza in modo assertivo tra i pali della cui incolumità è responsabile. Fin qui potrebbe sembrare training autogeno di routine; quello che succede in seguito, mentre l’attaccante del Chelsea posiziona il pallone sul dischetto, è invero piuttosto inusuale. Dopo aver alzato le braccia, van der Sar indica chiaramente ad Anelka la propria sinistra, col dito, per due volte. Come a dire: «So che me lo tirerai lì».
Anelka, visibilmente nervoso, prende la rincorsa e tira. E van der Sar, ben prima che Anelka tocchi il pallone, si tuffa a destra, respingendo con facilità il tiro a mezz’altezza del francese.
Tripudio. Per il Manchester, ovvio.
Che cosa nota van der Sar? È molto semplice.
Kalou aveva calciato a sinistra, così come John Terry e i quattro prima di lui. Sei rigori su sei a sinistra. A quel punto, anche il più disattento degli esseri umani avrebbe subodorato qualcosa.
Van der Sar quindi, prima di prepararsi al rigore, pensa bene di far sapere al settimo tiratore del Chelsea di aver capito il loro schema. Anelka, che come scopriremo tra poco era stato effettivamente istruito a tirare a sinistra, dopo essere stato sborniato in mondovisione si innervosisce alquanto e decide in situ di cambiare idea, col risultato che sappiamo.
Strategie da seguire rigorosamente
In questo capitolo, esamineremo in che modo si possa determinare la migliore strategia per battere una sequenza di calci di rigore. Faremo uso sia della matematica – la cara, vecchia statistica che tutti noi abbiamo imparato a odiare – che delle neuroscienze.
Prima di andare avanti, però, trovo necessario fornire una piccola anticipazione. Effettivamente, Edwin van der Sar era nel giusto nel ritenere che la sequenza dei rigori del Chelsea fosse stata in qualche modo studiata a tavolino.
Ma ai giocatori del Chelsea, nessuno aveva detto di tirare sempre alla sinistra del portiere.
Van der Sar, nel 2008, era un portiere molto noto: così un matematico israeliano amico di Avram Grant, all’epoca allenatore del Chelsea, si era preso il disturbo di studiare il suo comportamento di fronte ai penalty. Dal suo meticolosissimo lavoro, era emerso che il portierone tendeva spesso a tuffarsi dal lato naturale del rigorista: di fronte a un tiratore destro si tuffava alla propria destra, di fronte a un mancino faceva l’opposto.
Tutto questo, apparentemente, non è strano. Per calciare con potenza e precisione, quello che serve per siglare un rigore, si usa quasi esclusivamente l’interno piede. Nessuno sano di mente tira un rigore di esterno: è più facile ottenere un tiro efficace mirando dalla parte della gamba di appoggio. Il movimento è più naturale, e questo il portiere lo sa. Tutti i portieri tendono a tuffarsi di preferenza dalla parte «naturale» del tiro, Van der Sar esasperava semplicemente questa preferenza all’eccesso.
La consegna, quindi, era di tirare i rigori dalla parte innaturale: la destra per i destri (sinistra, per il portiere), e viceversa. Il fatto è che tutti i rigoristi che si presentarono di fronte al guardiano della porta del Manchester in occasione della finale erano destri. Tutti, a parte Ashley Cole, il quale purtroppo si confuse, dimenticandosi letteralmente le istruzioni ricevute, e tirando anche lui alla sinistra di Van der Sar.
Segnando, è vero, ma anche perseverando.
E dando quindi al portiere il destro per capire.
Bene. Posso immaginare sul viso di molti di voi un’espressione di autentico sollievo. Perché, a ben guardare, una strategia che preveda di tirare dalla stessa parte del portiere per sei-sette volte consecutive sarebbe eccezionalmente cretina, no?
Ecco, non proprio. Anzi, sulla base di quello che si sa dell’essere umano, tirare sempre dalla stessa parte – la sinistra – potrebbe essere, in assoluto, la migliore strategia possibile.
La fallacia dello scommettitore
Qual è la probabilità che un giocatore sbagli un calcio di rigore, nel corso di una partita? Non così bassa: circa il 15%, secondo le statistiche. E che probabilità c’è, invece, che un giocatore sbagli due rigori nella stessa partita?
Be’, intuitivamente, dovrebbe essere molto minore. E infatti, gli autori di simili imprese si contano sulle dita di una mano: da Evaristo Beccalossi, che realizzò la poco lusinghiera doppietta nel 1983, a Rogelio Chávez del Cruz Azul, nel corso della Copa Libertadores del 2014.
E che probabilità ci sono che un giocatore, nel corso dello stesso match, ne sbagli tre? Qui, l’intuito inizia a vacillare. Se lo stesso giocatore ha sbagliato due rigori nella stessa partita, se la sentirebbe mai di tirarne un terzo?
Ci vogliono persone coraggiose come Martín Palermo, che il 4 luglio del 1999, nel corso di Argentina-Colombia, si presentò sul dischetto per la terza volta consecutiva, dopo aver fallito le prime due. Convinto, forse, che dopo averne sbagliati due di fila il terzo dovesse entrare per semplici questioni statistiche. Ne ho ciccati due, potrò mai sbagliare il terzo?
Disgraziatamente, le statistiche non hanno la precisione necessaria per spingere un pallone in porta. Grazie alle proprie errate convinzioni sulle leggi della probabilità, Martín Palermo rimane l’unico giocatore al mondo ad aver sbagliato tre rigori nella stessa partita.
«Una delle più interessanti convinzioni errate riguardo alla statistica è quella relativa a come dovrebbe apparire una distribuzione casuale» ha scritto il matematico inglese John Barrow. Detto in altri termini, siamo in grossa difficoltà quando cerchiamo di capire se una certa sequenza è frutto del caso o meno, e la stragrande maggioranza di noi non è in grado di produrre una serie di eventi realmente casuale, o di riconoscerne una quando gli capita sott’occhio.
Per convincersi, e per convincerci, Barrow propone il seguente esempio. Supponiamo di prendere una moneta e di giocare a testa o croce per novantasei volte di seguito, e di segnarci i risultati. Fatto ciò, battendo i tasti T o C a caso sulla tastiera del computer, produciamo una «finta» sequenza di lanci. Ecco qui i rispettivi risultati:
CTTCTCTCTCTCTCTCTCCCTCTCTCTCTCTTCTTTCTCTCTTCTCTTTCTCTCTCTTTCTCTTCTT
CTTCCTTTCTCCTCTTCTCCTCTTCTCC
CTTTTCCCCTCCTTTTCCTCTTCCTCCTCTTTTCCCCTTTCTCCTTTTCCCTCCCCTTCCCCCTCC
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La maggior parte delle persone direbbe che la sequenza generata da veri lanci di moneta è la prima: la seconda presenta delle vistose regolarità piuttosto sospette, come quella sfilza di sette croci verso la fine.
In realtà, in questo caso la sequenza reale di lanci è proprio la seconda. Ed è proprio la lunga successione di teste e di croci nel suo dipanarsi che ce lo dice.
Ogni volta che lanciamo una monetina, c’è una probabilità del 50% (o, in termini unitari, di 1⁄2) di avere testa o croce, e tale probabilità è completamente indipendente dal risultato del lancio precedente. La monetina, al contrario di noi, non ha memoria di quello che succede. Data questa assenza di memoria, si può dire che i lanci successivi sono indipendenti l’uno dall’altro, e la probabilità che una particolare serie si realizzi è data semplicemente dal prodotto delle probabilità delle singole uscite. Una serie di sette teste (o croci) consecutive ha una probabilità di (1⁄2)7, cioè 1⁄2 moltiplicato per se stesso sette volte. Però, se io lancio una moneta novantasei volte, ho a disposizione 96-7=89 punti di partenza diversi per una sequenza di sette lanci, e la mia probabilità di ottenere una sequenza di sette croci andrebbe moltiplicata per ottantanove.
Un evento diventa molto probabile quando la sua probabilità si avvicina a 1, ovvero al 100%; se io moltiplico 89 per (1⁄2)7, ottengo una probabilità di 0,688, ovvero il 69% circa. È quindi più probabile che una serie da sette teste ci sia, in una sequenza da novantasei lanci, piuttosto che non compaia mai.
Tutto questo accade perché la monetina, come abbiamo detto, non ha memoria dei lanci precedenti. Noi, invece, ci ricordiamo benissimo dei risultati in questione, e quindi tendiamo a credere che testa o croce debbano alternarsi non solo come percentuale di presenze, ma anche per ordine di apparizione. Questa è la differenza cruciale: anche quando il risultato precedente non ha alcuna influenza su quello successivo, noi tendiamo a credere che il mondo sia tenuto a ristabilire in qualche modo gli equilibri.
Questo errore cognitivo – la «fallacia dello scommettitore» – è alla base della dissoluzione di un certo numero di patrimoni familiari.
Un portiere, di fronte a una serie di rigoristi, ha esattamente lo stesso problema. Ovvero, scontrandosi con una successione di eventi con direzione che ci si aspetta essere casuale (destra/sinistra), è convinto che la probabilità che i rigoristi tirino tutti dalla stessa parte sia di fatto inesistente.
Questo aspetto della psiche dei portieri è stato rivelato da uno studio di neuroscienza cognitiva realizzato allo University College di Londra, nel quale sono stati esaminati i 361 calci di rigore tirati, alla fine dei supplementari, nel corso dei Campionati Mondiali ed Europei dal 1974 in poi. Esaminando tutti i filmati (sì, a volte anche il lavoro del ricercatore è palloso) si è notato che, in seguito a una serie di n rigori calciati ripetutamente nella stessa direzione, i portieri tendevano a tuffarsi nella direzione opposta per il tiro successivo. E più la sequenza è lunga, più è alta la probabilità che il portiere si tuffi dall’altra parte di fronte al tiro n+1. Tanto per dare un’idea: dopo tre tiri a destra, in occasione del quarto rigore i portieri si buttavano a sinistra in più del 95% dei casi.
Questo è uno degli aspetti più crudeli della lotteria dei rigori: la sfida di un singolo contro un branco. Il portiere da solo fronteggia cinque o più individui, i quali oltretutto hanno un manifesto vantaggio dal punto di vista strategico. Solitamente, infatti, chi calcia conosce le abitudini del portiere, spesso anzi le studia al microscopio. Dato che c’è un solo portiere per squadra, è molto improbabile che chi va a calciare un rigore dopo i tempi supplementari non conosca a fondo le sue abitudini. Viceversa, è impensabile che il portiere conosca a menadito le caratteristiche di tutti i rigoristi. Ben pochi tra i tiratori sono specialisti dal dischetto; solitamente di rigoristi designati ce ne sono uno o due, e di rado in campionato si vede un Belletti o un Kalou tirare un penalty.
Il punto debole dei portieri, tuttavia, non viene praticamente mai sfruttato: i calciatori che si presentano sul dischetto tirano in maniera assolutamente indipendente l’uno dall’altro, invece di considerare i rigori precedenti come possibile base per predire il comportamento del portiere. Scarsa comunicazione o mancanza di consapevolezza, non si sa; l’unica cosa certa è che questa tendenza dell’estremo difensore a evitare l’angolo del tiro precedente non viene considerata manco per sbaglio.
Una pericolosa deriva verso destra
I calciatori, abbiamo visto, conoscono le abitudini di un portiere specifico, del portiere contro il quale vanno a cercare gloria; ma del portiere come archetipo, come tipologia di essere umano, no.
Solo per il fatto di trovarsi tra due pali e una traversa, uno probabilmente ha qualcosa di diverso, di particolare. In fondo, come dice Dino Zoff, «Siamo noi che abbiamo scelto di partecipare al gioco solo interrompendolo». Non so se, per il mero fatto di aver scelto l’unico ruolo in cui si usano le mani, i portieri abbiano delle caratteristiche psicologiche comuni. Quello che so per certo è che sono esseri umani, e quindi soggetti a tutte le storture cognitive a cui gran parte di noi inconsapevolmente soggiace quando gioca per vincere. Conoscere il portiere in quanto appartenente alla specie homo sapiens potrebbe dare dei vantaggi non indifferenti, come dimostra il seguente esempio.
Supponiamo che, camminando per la strada, incontriate un vecchio amico o una persona di vostra conoscenza che viene verso di voi per salutarvi. Che cosa fate?
Io, di solito, porgo la mano o scambio una specie di bacio simbolico sulla guancia (dipende se l’amico è maschio o femmina, e se si lava regolarmente). Senza eccezione porgo la mano destra, e senza eccezione piego la testa verso destra.
Questa preferenza è decisamente preponderante nel genere umano. Attenzione: non sto parlando del fatto di usare più volentieri la mano destra o la mano sinistra per afferrare un oggetto, ma del fatto che la maggioranza del genere umano trovi naturale spostarsi verso destra quando interagisce dinamicamente con qualcuno, che sia per salutarlo o per fuggire.
Tale preferenza, però, non è di pertinenza esclusiva degli esseri umani. Alcuni ricercatori olandesi, tempo fa, nel corso di una di quelle belle chiacchierate al pub che sono uno dei più validi motivi per vivere in Olanda, si misero a discutere del fatto che i cani, quando provano gioia per la vista del padrone, di un cane amico o di un buon pasto, tendono a scodinzolare prevalentemente verso destra. Al contrario, di fronte a una presenza non particolarmente apprezzata, scodinzolano perlopiù verso sinistra.
Questa osservazione, che cominciava a essere suffragata da un numero di articoli piuttosto consistente, fece loro sorgere un dubbio. Ovvero: non è che per caso anche gli esseri umani mostrano questo genere di asimmetria, se chiamati a interagire uno contro uno in situazioni di stress o di piacere?
Non sappiamo quali circostanze avrebbero scelto i ricercatori se avessero deciso di investigare i momenti di piacere; io qualche ipotesi ce l’ho, ma l’editore sostiene che questo libro potrebbe andare in mano anche a dei minorenni. Per quanto riguarda la situazione di stress, invece, niente di meglio della lotteria dei rigori. Per la precisione, i 204 rigori tirati nel corso della Coppa del Mondo dal 1982 a oggi.
Esaminando queste serie, i ricercatori si resero conto di due cose interessanti. Primo: i portieri si tuffano. Grazie al cavolo, direte voi, sei lì che devi parare un rigore, cosa devi fare, metterti in meditazione a gambe incrociate sulla riga di porta? Senza arrivare a tale esagerazione, il punto è che nessun portiere dà importanza al fatto che il 10% circa dei rigori viene tirato al centro. Il che, a ragionarci un secondo, va bene: se il 90% dei rigori viene angolato, tuffarsi come regola di vita è una scelta perfettamente logica.
Quello che è meno logico, semmai, è il modo in cui i portieri scelgono la direzione in cui tuffarsi. Se la propria squadra è in vantaggio, o in parità, il numero uno (o sedici, o novantanove, o qualsiasi altro numero la moderna perversione da football americano gli abbia serigrafato sulla schiena) si butta indifferentemente sul lato destro o sul sinistro. Ma se la propria squadra si trova in svantaggio, il portiere si tuffa sul lato destro il 71% delle volte. Questo nonostante i tiri non evidenzino alcuna netta tendenza: i rigoristi tirano con una lieve preferenza verso destra (il 52%, talmente bassa da non avere rilevanza statistica), che si trovino in vantaggio, in svantaggio oppure in parità.
Alcuni di voi potrebbero obiettare che non viene considerato, nello studio, se chi tira il rigore è destro o mancino, cosa che per un portiere ha la sua importanza. Ma questo aspetto, a un’occhiata più attenta, non dovrebbe essere in alcun modo rilevante: quello che conta è che c’è differenza nel comportamento dei portieri se si trovano in vantaggio o in svantaggio. Ora, l’ordine dei rigoristi viene deciso prima: non è che l’allenatore possa scegliere di cambiare un destro con un mancino, nel caso in cui la squadra stia perdendo. Per cui, si può ragionevolmente ipotizzare che i rigoristi saranno equamente distribuiti tra destri e mancini sia che vadano a calciare con la loro squadra in vantaggio, sia viceversa. Quello che conta, in questo caso, è la clamorosa differenza tra i due comportamenti del portiere in situazioni diverse come tipo di pressione (essere in svantaggio non è mai piacevole), ma analoghe rispetto alle probabilità di avere di fronte un destro o un mancino.
Altri, invece, potrebbero avanzare un dubbio più sottile, ovvero il fatto che non si tiene conto se il portiere stesso sia destro o mancino. Perché, di sicuro, anche il portiere avrà una mano e un piede di riferimento. E la maggioranza dei portieri sarà destra, proprio come la maggioranza dei calciatori.
Il corpo umano presenta asimmetrie in ogni sua parte. Molte di queste sono funzionali: per fare un esempio elegante, l’asimmetria scrotale (ovvero avere una palla più in basso dell’altra) è presente nella quasi totalità dei maschietti, e una attenta analisi di sculture come il David di Donatello ci rivela come essa fosse manifesta già in epoca rinascimentale. Tale asimmetria è funzionale, come si diceva, perché serve a massimizzare la superficie dei testicoli e quindi a facilitarne il raffreddamento, in quanto queste parti del corpo così delicate, a cui noi tutti teniamo tanto pur trovando sensato usarne il nome per offendere, hanno bisogno di stare a una temperatura più bassa del resto del corpo.
Quindi, tutti noi siamo asimmetrici. Però questa asimmetria non è olomorfa: alcune asimmetrie rimangono identiche per destri e mancini. L’area di Broca, la prima area dell’encefalo a essere stata individuata come legata a una specifica funzione (il linguaggio), si trova nel lobo temporale sinistro per tutti, mancini e destri; e molte asimmetrie della nostra corteccia cerebrale sono identiche per tutti noi, indipendentemente da quale mano usiamo per lavarci i denti o compiere altri gesti più o meno nobili.
Una delle asimmetrie più curiose, scoperta nel corso degli anni Novanta da Richard J. Davidson, riguarda il fatto che lati del cervello differenti rispondono a emozioni differenti. A seguito di un ictus, rilevava lo studio, può succedere che le persone manifestino comportamenti inadeguati, con crisi ricorrenti di pianto o di riso parossistico. Senza eccezione, i pazienti che in seguito all’infarto cerebrale erano sprofondati nella più cupa depressione avevano riportato danni all’emisfero sinistro; viceversa, quelli che l’ictus aveva trasformato in inguaribili ottimistoni, pronti a vedere il lato positivo anche nell’invasione nazista della Polonia, erano stati colpiti dall’infarto cerebrale nell’emisfero destro. Da tale osservazione, Davidson giunge a quello che è uno dei risultati più importanti delle attuali neuroscienze, e cioè che la nostra risposta a emozioni differenti è regolata da emisferi differenti.
Tale asimmetria cerebrale si traduce spesso anche in un’asimmetria nei gesti.
Per capire come, provate a fare questo esperimento: stando davanti allo specchio (meglio ancora, riprendendovi con il vostro smartphone), rispondete alla seguente domanda: «Qual è il contrario di indifferente?».
È una domanda che riguarda il linguaggio e quindi coinvolge l’area di Broca, nell’emisfero sinistro: poiché ogni emisfero controlla i movimenti del lato opposto, coinvolgere l’emisfero sinistro probabilmente farà sì che i vostri occhi si muoveranno verso destra. Viceversa, proviamo a reagire a una richiesta come: «Immagina di fare un nodo scorsoio»; in questo caso la domanda è di tipo visuale, e coinvolge un ragionamento nello spazio. Tale ragionamento chiama in causa necessariamente l’emisfero destro, e di conseguenza i nostri occhi si muoveranno verso sinistra.
Alla luce di quest’ultima informazione, credo che l’evidenza sperimentale diventi un po’ più convincente: i portieri, in una situazione di stress, tendono a tuffarsi a destra più spesso di quanto dovrebbero. Se i rigoristi ne tenessero conto (cosa che, a vedere i dati, non fanno), il loro vantaggio nei confronti dell’uomo coi guanti avrebbe un’impennata ulteriore.
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