L’Economist sostiene David Cameron
Il più autorevole settimanale britannico ha pubblicato il suo endorsement per "le elezioni più strane e incerte da molti anni": dice che bisogna scegliere tra due minacce
L’Economist, settimanale britannico tra le più famose e autorevoli riviste del mondo, ha annunciato il suo sostegno per David Cameron alle prossime elezioni del Regno Unito, che descrive come “le più strane e incerte da molti anni a questa parte”. Nel giornalismo anglosassone è una prassi annunciare e argomentare il sostegno a un candidato prima delle elezioni con un endorsement; l’orientamento liberale dell’Economist – che dice di credere nel “libero mercato, in uno Stato di portata limitata e in una società aperta e meritocratica” – lo ha portato a sostenere più volte i Conservatori, ma nel 2001 e nel 2005 il giornale si schierò con il Labour di Tony Blair e alle ultime tre elezioni presidenziali statunitensi ha sostenuto i candidati Democratici. Riguardo il voto del prossimo 7 maggio, scrive l’Economist, la premessa è che “il paese è diretto verso un cambiamento profondo e potenzialmente irrevocabile”.
L’articolo allude al fatto che, secondo i sondaggi, nell’incertezza generale uno degli esiti più probabili è che né i Laburisti né i Conservatori abbiano da soli una maggioranza parlamentare, e quindi che diventi realistica – è già considerata tale – un’alleanza tra il Labour e lo Scottish National Party (SNP), il partito indipendentista scozzese. Ma c’entra anche la promessa dei Conservatori di organizzare un referendum nel 2017 per far decidere agli elettori se restare o no nell’Unione Europea. L’Economist scrive che Ed Miliband, qualora fosse eletto, sarebbe “il primo ministro britannico più radicale” dai tempi di Margaret Thatcher, ma che sostenere i Conservatori è diventato più difficile rispetto a cinque anni fa.
L’eurofobia dei Conservatori, che criticammo cinque anni fa, potrebbe fare adesso gravi danni. Un’uscita dall’UE sarebbe un disastro sia per il Regno Unito che per l’Europa. Il Labour e i Liberaldemocratici hanno posizioni migliori, su questa faccenda. Ma il livello di scetticismo con cui molti britannici guardano a Bruxelles ha reso forse inevitabile un referendum: e pensiamo che sia un referendum che si possa vincere. Apprezziamo i Liberaldemocratici per le loro idee accoglienti sull’immigrazione e per l’intenzione di riformare la legge elettorale, ma loro possono essere al massimo soci di minoranza in una coalizione. Gli elettori e questo giornale hanno davanti la scelta tra un governo dominato dai Conservatori e uno dominato dai Laburisti, e nonostante i rischi sull’Europa la scelta migliore sono i Conservatori di David Cameron.
La decisione dipende dall’economia, scrive l’Economist, e dai buoni risultati ottenuti dal governo uscente composto da Conservatori e Liberaldemocratici. I problemi ci sono – il deficit di bilancio, la produttività bassa nonostante l’alta occupazione, la diminuzione degli stipendi, la scelta del governo di privilegiare i pensionati a scapito dei giovani – ma ci sono tre cose positive: il taglio del deficit è stato “più pragmatico e progressivo” di quanto ammettano i critici del governo e le diseguaglianze non si sono allargate; la spesa pubblica è scesa dal 45,7 al 40,7 per cento del PIL, sono stati tagliati un milione di posti di lavoro nel settore pubblico ma il Regno Unito non ha mai avuto così tanti occupati nella sua storia; la ripresa è stata lenta, sì, ma è stata lenta un po’ dappertutto e altrove – l’Economist cita Francia e Italia – molto più lenta se non addirittura inesistente.
Il Labour ha un programma di centrosinistra moderato, scrive l’Economist, e i suoi piani per il taglio del deficit sono persino più ragionevoli di quelli dei Conservatori: “ma i numeri sono molto vaghi e i precedenti inducono a non fidarsi del Labour”. Anche le sue proposte redistributive sono “ragionevoli” per quanto rischino, messe insieme, di “cacciare dal paese i più grandi talenti globali, soprattutto quelli attratti da Londra”. Ma non è questo il vero problema del Labour, secondo l’Economist, bensì la sua intenzione di mettere le mani nel mercato (l’articolo usa il verbo “meddling”, fare ingerenza): congelare i prezzi dell’energia, mettere un tetto agli affitti, proibire i contratti di lavoro più flessibili, penalizzare i privati che offrono servizi in competizione col settore pubblico.
Miliband paragona spesso le sue idee progressiste a quelle di Teddy Roosevelt. Ma è un paragone fasullo. Invece che usare lo Stato per rilanciare il mercato e la libera concorrenza, come fece Roosevelt, Miliband vuole che lo Stato usi la mano pesante nei mercati: e tradisce così una fede malriposta nella saggezza e nel disinteresse del settore pubblico. Anche un piccolo e limitato intervento pubblico può avere conseguenze negative durature negli investimenti e nelle imprese: basta guardare agli effetti della tassazione del 75 per cento dei ricchi decisa in Francia da François Hollande. Il pericolo è aggravato dal fatto che un governo del Labour sarebbe probabilmente dipendente dall’umore dello SNP, che è ancora più di sinistra.
Il 7 maggio, conclude l’Economist, i britannici dovranno scegliere tra la minaccia dei danni all’economia che potrebbe fare il Labour e la minaccia dell’uscita dall’UE a cui potrebbero portare i Conservatori: ma mentre un’alleanza del Labour con lo SNP rafforzerebbe la prima minaccia, un’alleanza dei Conservatori con i Liberaldemocratici ridurrebbe la seconda.
Per questo la migliore speranza per il Regno Unito è una prosecuzione della coalizione di governo guidata dai Conservatori. Per questo il nostro voto va a David Cameron.
foto: David Cameron. (TOBY MELVILLE/AFP/Getty Images)