La nuova Costituzione della Thailandia
L'Economist ha esaminato una bozza del nuovo documento preparato dalla giunta militare che ha preso il potere l'anno scorso: e non è un granché
La Thailandia è governata dal maggio del 2014 da una giunta militare che ha preso il potere dopo un colpo di stato contro un governo che era stato democraticamente eletto. Il colpo di stato era il risultato di una lunga e complessa crisi iniziata nel novembre 2013, quando il principale partito di opposizione aveva cominciato a organizzare enormi manifestazioni a Bangkok per protestare contro una legge sull’amnistia presentata dal governo che era in carica a quel tempo. L’amnistia era stata ritirata, ma le proteste erano continuate e si era così arrivati a elezioni anticipate invalidate dalla Corte Costituzionale perché in centinaia di seggi c’erano stati dei boicottaggi e non si era votato. A maggio la prima ministra Yingluck Shinawatra era stata rimossa dal suo incarico con l’accusa di abuso di potere e poco dopo l’esercito aveva annunciato l’imposizione della legge marziale per “mantenere l’ordine”.
La giunta, che si è autoproclamata formalmente “Consiglio per il mantenimento dell’ordine e della pace nazionale”, ha anche annullato la Costituzione. Dopodiché ha istituito un comitato nazionale, formato per lo più da militari o da membri vicini alla giunta, incaricato di riscriverla: l’Economist ha analizzato la prima bozza che è stata depositata e che è “trapelata” lo scorso 17 aprile e scrive che la nuova Carta «non guarirà le profonde ferite politiche della Thailandia. Anzi: potrebbe aggravarle», dato che lo scopo principale sembra essere ridefinire la democrazia in modo da diminuire l’importanza delle elezioni e dei partiti e di rafforzare i corpi di controllo.
Il testo, dice l’Economist, avrebbe come primo obiettivo limitare Pheu Thai, partito di orientamento populista che ha vinto sotto varie forme tutte le elezioni dal 2001 in poi. Il Pheu Thai è stato fondato nel 2008 per sostituire il Partito del Potere Popolare, che a sua volta aveva sostituito Thai Rak Thai, fondato nel 1998 da Thaksin Shinawatra, il fratello di Yingluck Shinawatra, prima ministra rimossa dal colpo di stato. Semplificando: negli ultimi tredici anni, a parte due periodi compresi tra ottobre 2008 e agosto 2011, il potere in Thailandia è sempre stato in mano ai populisti combattuti dalla giunta militare. Negli ultimi anni la divisione politica più importante in Thailandia è stata infatti tra “camicie gialle” e “camicie rosse”. Le camicie gialle sono principalmente le élites di Bangkok; le camicie rosse sono le masse povere delle campagne e delle città del nord e del nord-est, sostenitori dei governi populisti. I militari in Thailandia sono tradizionalmente vicini alle camicie gialle; i governi populisti, cioè Pheu Thai, vicini alle camicie rosse.
La nuova Costituzione renderà difficile ottenere una maggioranza parlamentare e costringerebbe Pheu Thai ad allearsi con altri partiti, anche con quelli vicini alla giunta. Si prevede anche un Senato più largo e potente, con la metà dei membri nominati e il resto “eletti indirettamente”. Questo, precisa l’Economist, favorirà i candidati controllati dalle élites. Nella nuova Costituzione si permette anche a un membro non eletto del parlamento di diventare primo ministro e la creazione di una decina di istituzioni che «contribuiranno a fare da baby-sitter ai politici»: tra queste, una “Assemblea Nazionale della morale”, che punirà coloro che agiscono in modo non etico (e che potrebbe essere utilizzata per punire, invece, i critici e i dissidenti) e selezionerà i candidati politici più adatti. Una clausola sembra inoltre limitare in modo esplicito la capacità del re di intervenire in caso di crisi, «forse per paura che il prossimo monarca si riveli morbido nei confronti dei nemici della costituzione», proprio come Thaksin Shinawatra, ex primo ministro latitante che controlla il Pheu Thai dall’esilio. Infine sarà permesso all’esercito di mantenere il controllo dopo la morte del re e fino alla successione, ma molto probabilmente, aggiunge l’Economist, anche «per molto tempo dopo».
La nuova Costituzione – la ventesima dal 1932 – sarà molto diversa da quella adottata nel 1997, che era già stata fortemente modificata da un altro governo militare otto anni fa. Quella del 1997 era conosciuta come la “Costituzione del popolo”, era il risultato di un ampio processo di consultazione e, finora, resta il documento più democratico che la Thaliandia abbia mai avuto. Mancano pochi mesi prima che il nuovo documento entri in vigore – settembre 2015 – per poi andare a nuove elezioni a metà del prossimo anno. «Gli ottimisti», conclude l’Economist, «fanno notare che l’esercito ha ridimensionato alcune proposte originarie in risposta alle denunce pubbliche», ma sarà molto probabile che si tratterà di modifiche semplicemente «estetiche». Le speranze poi che venga indetto un referendum per l’approvazione della bozza finale sono piuttosto basse.