Le elezioni nel Regno Unito, spiegate bene
Le cose fondamentali da sapere per prepararsi alle elezioni britanniche più incerte di sempre: quando si vota, chi può vincere e la complicata partita delle coalizioni
di Arianna Cavallo – @ariannacavallo
Giovedì 7 maggio i cittadini di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord voteranno per eleggere il nuovo Parlamento britannico, e di conseguenza il nuovo governo e il nuovo primo ministro del Regno Unito. Queste elezioni sono considerate straordinariamente incerte, con i due principali partiti – i Conservatori di David Cameron al governo e il Labour di Ed Miliband all’opposizione – dati alla pari nei sondaggi da svariate settimane: si aggirano tra il 32 e il 35 per cento, che corrispondono a circa 270 seggi: per avere la maggioranza assoluta ce ne vogliono 326.
Secondo l’ultimo sondaggio del Guardian, a due settimane dalle elezioni i Conservatori sono al 35 per cento contro il 32 dei Laburisti, mentre stando alla media dei sondaggi degli ultimi cinque giorni i due partiti sono dati praticamente pari, al 33 per cento. I sondaggi politici nel Regno Unito sono considerati piuttosto affidabili: nel 2010 addirittura gli exit poll azzeccarono l’esito finale in modo quasi perfetto.
Qual è il sistema elettorale britannico?
I deputati della Camera dei Comuni – quelli che votano la fiducia al governo – sono eletti con il sistema maggioritario uninominale, detto anche “first-past-the-post”. Il Regno Unito è diviso in 650 collegi; ogni collegio elegge un solo candidato, quello che ha ottenuto più voti; ogni partito candida una sola persona in ogni collegio.
Insomma, ogni elettore potrà scegliere se votare il candidato scelto nel suo collegio dal partito Conservatore, oppure quello del partito Laburista, oppure quello dell’UKIP, oppure quello dei Liberaldemocratici, e così via. Il candidato più votato vince il seggio, che ottenga il 31 o il 90 per cento dei voti non fa differenza. Possono quindi esserci degli sbilanciamenti nella distribuzione dei seggi rispetto alla distribuzione del voto popolare: se nel collegio X i Laburisti vincono col 51 per cento e nel collegio Y i Conservatori vincono col 90 per cento, i due partiti avranno un numero pari di seggi mentre un partito avrà ottenuto molti più voti dell’altro; allo stesso modo, un partito che ottiene nazionalmente il 15 per cento dei voti potrebbe non ottenere nessun seggio.
Possono votare tutti i cittadini che hanno compiuto 18 anni e che non hanno perso i diritti politici. Per votare è necessario iscriversi al registro elettorale. Alla fine si contano i deputati eletti, collegio per collegio, e si vede quale partito ne ha messi insieme di più.
Gli elettori sceglieranno direttamente il prossimo primo ministro?
Per l’appunto, no. Il Regno Unito è una democrazia parlamentare: significa che gli elettori votano soltanto il candidato del collegio che li rappresenterà direttamente in Parlamento. Il governo è formato dal partito – o dalla coalizione – che ottiene la maggioranza di seggi nella Camera dei Comuni; il leader di questo partito diventa primo ministro “automaticamente”, tanto che in caso di elezione di un nuovo segretario del partito di governo a legislatura in corso, il primo ministro si dimette e la Regina assegna al nuovo segretario l’incarico di formare un nuovo governo.
I leader di partito sono candidati alla Camera, ognuno nel suo collegio. L’attuale primo ministro David Cameron è candidato a Witney, un ricco collegio dell’Oxfordshire: questi saranno gli unici elettori a poterlo votare direttamente. Nel 2010 Cameron era stato eletto nel suo collegio con il 60 per cento dei voti ed è praticamente certo di essere rieletto. Ed Miliband, leader del Labour, è a sua volta candidato come deputato nella circoscrizione di Doncaster North, in South Yorkshire. È stato eletto in questa circoscrizione dal 2005 e anche lui è certo della rielezione.
Il governo è formato dal partito che ottiene più seggi?
Di norma funziona così, ma non sempre. Per formare il governo non basta ottenere la maggioranza relativa, ma quella assoluta: quindi 326 voti (ma potrebbero essere qualcuno in meno, se qualche deputato dovesse astenersi) per passare il voto di fiducia alla Camera. Alle ultime elezioni del 2010, per esempio, i Conservatori ottennero 306 seggi: più di tutti gli altri partiti ma non abbastanza per passare il voto di fiducia. Questa circostanza, che nel gergo della politica britannica viene definita hung parliament, “parlamento appeso”, ha portato a lunghe trattative politiche che si sono concluse con la formazione di una coalizione di governo con i Liberaldemocratici, arrivati terzi dopo il Labour con il 23 per cento dei voti. Alla fine della fiera conta chi riesce a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, non quella relativa: quindi il partito che ottiene più seggi degli altri può governare solo se riesce ad arrivare a 326 o a formare una coalizione.
Com’è andato il governo Cameron?
David Cameron ha 49 anni, è parlamentare dal 2001, leader dei Conservatori dal 2005 e primo ministro dal 2010. Viene da una ricca e nobile famiglia inglese ed è stato più volte accusato di appartenere a un’élite viziata lontana dai bisogni della gente comune. Ha studiato in scuole private, si è laureato a Eton e ha trascorso un anno sabbatico a Hong Kong e poi in Unione Sovietica. È sposato con Samantha Gwendoline Sheffield, che discende da re Carlo II. Insieme hanno avuto quattro figli: il primo, Ivan, è morto a sei anni per una malattia genetica, l’encefalopatia epilettica, nel 2009. Il principale merito di Cameron è aver modernizzato il partito conservatore sia nell’immagine che nei contenuti, e averlo reso nuovamente interessante anche per gli elettori più giovani. Il suo tasso di gradimento è tuttora molto alto e secondo i recenti sondaggi il 50 per cento degli elettori pensa che stia facendo un buon lavoro.
I temi della campagna elettorale sono stati sostanzialmente due, connessi tra loro: il sistema sanitario nazionale (NHS) e la crisi economica. Affrontare la crisi è stato il principale obiettivo del governo Cameron, che ha fatto uscire il Regno Unito dalla recessione con misure di austerità, tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni, così da ridurre il debito pubblico e rilanciare la crescita. Il governo ha aumentato molto il numero di persone con un posto di lavoro, anche se gli stipendi di questi nuovi lavoratori sono spesso bassi (si è parlato a lungo per esempio dello “zero-hours contract”, un contratto che permette al datore di lavoro di chiamare il lavoratore solo quando ce n’è bisogno, senza alcun tipo di garanzia).
I Laburisti contestano a Cameron che la ripresa economica è stata troppo lenta e che il governo non è riuscito a ottenere il pareggio di bilancio per il 2015, come aveva promesso. Inoltre la pressione fiscale è complessivamente aumentata – soltanto le tasse universitarie sono state triplicate, tra molte proteste – e questo, unito ai nuovi tagli che i Conservatori hanno in programma, potrebbe avere conseguenze negative sulla crescita secondo l’opposizione. Se Cameron taglierà ancora la spesa pubblica, come ha promesso, la porterebbe su un livello inferiore agli anni Trenta: quando ancora non esisteva il sistema sanitario nazionale. A causa dei tagli al sistema sanitario pubblico, il numero di persone visitate entro quattro ore nei pronto soccorso britannici è il più basso da quando si è iniziato a misurare e registrare le prestazioni del sistema sanitario. Gli ultimi sondaggi mostrano che l’NHS è il tema decisivo della campagna elettorale: è infatti l’argomento che interessa di più al 30 per cento degli elettori, seguito da “lavoro, prezzi e stipendi” (16 per cento) e dall’immigrazione (al 14 per cento).
Chi è lo sfidante di Cameron?
Ce ne sono più di uno, ma l’unico che può credibilmente sottrargli l’incarico di primo ministro è il capo del Labour, Ed Miliband. Ha 46 anni, ed è nato a Londra da una famiglia di ebrei – la madre polacca, il padre (un famoso studioso del marxismo) belga – scappati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Da piccolo ha vissuto due anni negli Stati Uniti dove la famiglia si era trasferita per il lavoro del padre; si è poi laureato in Politica ed Economia e ha preso un master in Economia alla London School of Economics. È parlamentare dal 2005. Dopo le elezioni del 2010 e le dimissioni del leader del Labour Gordon Brown, ha sfidato suo fratello David – considerato il più brillante, innovatore e popolare dei due – per la leadership del partito: vinse grazie anche alle sue posizioni di sinistra più tradizionali, che gli valsero il voto dei delegati congressuali legati ai sindacati. Da allora non è riuscito a cancellare negli elettori il dubbio che il fratello sarebbe stato più capace di lui (come gli hanno chiesto nel primo evento tv della campagna elettorale) e si è fatto l’immagine di tipo indeciso e privo di carattere: ribaltarla è stato il suo principale obiettivo della campagna elettorale.
Se né Cameron né Miliband ottengono la maggioranza assoluta da soli, dovranno formare una coalizione. Con chi?
Stando ai sondaggi, sia i Laburisti che i Conservatori metteranno insieme circa 270 seggi e avranno quindi bisogno di allearsi con altri partiti per raggiungere la maggioranza assoluta di 326.
I Conservatori già oggi sono al governo con una coalizione. Nel 2010 i LibDem di Nick Clegg avevano beneficiato dell’hung parliament: pur essendo arrivati terzi erano andati al governo con una coalizione ottenendo alcune concessioni. Ora però la situazione è molto più complicata. I LibDem nel 2010 erano visti come un’alternativa ai partiti dell’establishment, un partito a cui dare un voto di protesta; ora sono diventati parte dell’establishment e hanno deluso molti dei loro elettori. Al momento sono dati al 9 per cento, contro il 23 per cento del 2010. Sono invece in crescita lo UKIP, il partito di estrema destra guidato da Nigel Farage, e i Verdi, che alle scorse elezioni avevano ottenuto pochi voti e che ora sono sempre più forti: nessuno dei due sarà decisivo, ma sono dati rispettivamente al 13 e al 5 per cento. Il punto è che, se i sondaggi saranno confermati, ai Conservatori potrebbe non bastare allearsi con i LibDem per arrivare alla maggioranza assoluta: potrebbe essere necessario mettere insieme anche i deputati dell’UKIP e quelli unionisti dell’Irlanda del Nord. Ma sarebbe una coalizione complicatissima: solo per fare un esempio, LibDem e UKIP sono rispettivamente il partito più europeista e il meno europeista della politica britannica.
Il Labour ha una strada teoricamente più semplice. Il piccolo partito più decisivo con ogni probabilità sarà lo Scottish National Party (SNP), il partito indipendentista scozzese guidato da Nicola Sturgeon, che dato è sempre più in ascesa nei sondaggi.
La Scozia, dunque
La Scozia è molto di sinistra: il partito più votato da quelle parti è sempre stato il Labour. Dal 2010 però, e in particolare dopo il referendum sull’indipendenza del 2014, che vide il Labour schierarsi per il No insieme ai Conservatori, lo SNP di Nicola Sturgeon è cresciuto sempre di più, tanto che secondo i sondaggi potrebbe ottenere più di 50 dei 59 seggi portati dalla Scozia: nel 2010 ne aveva ottenuti 6. Il successo dell’SNP danneggia politicamente i laburisti e sta rendendo incerta una vittoria di Miliband che altrimenti sarebbe stata molto probabile. Gli indipendentisti scozzesi sono i più naturali alleati del Labour in vista di un governo di coalizione: ma hanno posizioni più estreme del Labour e per questo Miliband pensa che un’alleanza sarebbe infruttuosa e impopolare, e durante la campagna elettorale l’ha sempre esclusa. E poi si tratterebbe di allearsi al governo del Regno Unito con un partito che vuole la fine del Regno Unito: non una cosa semplicissima.
Lo SNP farà certamente parte di una coalizione di governo?
No. Nicola Sturgeon, leader dell’SNP, ha detto più volte che non sosterrà mai un partito di destra e ha invece offerto più volte a Miliband di lavorare insieme – e insieme anche ai Verdi e al partito indipendentista gallese, Plaid Cymru – per sconfiggere insieme i Conservatori. Ma è stato Miliband a rifiutare, ribadendo che il modo migliore per mandare a casa Cameron è votare Labour (mentre votare SNP sarebbe fare un favore a Cameron e alla destra).
Naturalmente è possibile che Miliband cambi idea dopo le elezioni, decidendo di formare una coalizione con l’SNP, oppure che i due partiti si accordino in un modo meno formale e vincolante. Il Labour potrebbe anche tentare di formare un governo di minoranza e convincere l’SNP a sostenerlo in alcuni momenti chiave della legislatura, volta per volta. Non è ancora chiaro cosa chiederà l’SNP per accettare un simile accordo, e molto dipenderà dai risultati elettorali del 7 maggio. Il Labour potrebbe anche decidere di formare un governo senza alcun accordo formale con l’SNP, scommettendo che gli scozzesi non gli voterebbe contro nei momenti cruciali per non rischiare di far cadere il governo, riportare il paese alle elezioni e dare una nuova occasione di vittoria ai conservatori. Perché si ponga questo problema, però, il Labour deve essere il primo partito alle elezioni, e per far questo deve evitare che lo SNP gli porti via troppi seggi in Scozia: anche per questo Miliband per il momento non può che incoraggiare gli elettori a votare per il Labour, escludendo di volersi alleare con lo SNP e restringendo la scelta tra lui e Cameron. Lo stesso sta facendo Cameron a destra con l’UKIP, per evitare che gli sottragga molti voti.
In sostanza: per quanto i Conservatori abbiano un piccolo vantaggio nazionale di voti, secondo i sondaggi, gli esperti considerano Miliband in una posizione avvantaggiata perché considerano più realistico che riesca lui a formare una coalizione – con lo SNP – piuttosto che Cameron con UKIP e LibDem. Ma qualora i sondaggi stessero sovrastimando questi partiti minori, soprattutto l’UKIP a destra e lo SNP a sinistra, Labour e Conservatori potrebbero ottenere più voti di quanto si creda oggi e trovarsi davanti una strada più facile.
Foto: Ed Miliband a un evento di campagna elettorale a Stockton, in Inghilterra, 27 aprile 2015. (EPA/Nigel Roddis)