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  • Venerdì 24 aprile 2015

Il crollo del palazzo a Dacca, due anni fa

Il 24 aprile del 2013 nella capitale del Bangladesh morirono 1.129 persone: i controlli e le misure di sicurezza sono aumentati, ma non sono ancora sufficienti

In this Monday, April 20, 2015 photo, a Bangladeshi man walks near a monument erected in memory of the victims of Rana Plaza building collapse, the worst in the history of the garment industry in Savar, near Dhaka, Bangladesh. Human Rights Watch has criticized the Bangladeshi government for failing to protect workers, saying not enough is being done to eliminate assault, intimidation and other abuses still common in the garment industry. Bangladesh suffered its worst industrial disaster when Rana Plaza, an illegally built, multistoried building located outside of Dhaka, Bangladesh's capital, collapsed in 2013 killing 1,127 people and injuring about 2,500. (AP Photo/A.M. Ahad)
In this Monday, April 20, 2015 photo, a Bangladeshi man walks near a monument erected in memory of the victims of Rana Plaza building collapse, the worst in the history of the garment industry in Savar, near Dhaka, Bangladesh. Human Rights Watch has criticized the Bangladeshi government for failing to protect workers, saying not enough is being done to eliminate assault, intimidation and other abuses still common in the garment industry. Bangladesh suffered its worst industrial disaster when Rana Plaza, an illegally built, multistoried building located outside of Dhaka, Bangladesh's capital, collapsed in 2013 killing 1,127 people and injuring about 2,500. (AP Photo/A.M. Ahad)

Il 24 aprile del 2013, due anni fa oggi, a Dacca – la capitale del Bangladesh – crollò il Rana Plaza, un palazzo di nove piani in cui c’erano negozi e banche al piano terra e moltissimi laboratori di manifattura tessile sugli altri piani: morirono 1.129 persone. Il palazzo crollò a causa di alcuni problemi strutturali che erano emersi già nei giorni precedenti: erano state segnalate crepe sui muri e il palazzo era stato evacuato per precauzione, prima che fosse deciso di riaprirlo per non dover chiudere i laboratori tessili troppo a lungo. A due anni di distanza, come racconta Raimondo Bultrini su Repubblica – alcune cose sono cambiate e ci sono più controlli negli stabilimenti tessili del Bangladesh, tuttavia le zone grigie sono ancora molte e lo sfruttamento della manodopera, compresa quella infantile, è frequente.

Quasi ogni mattina i parenti delle vittime del Rana Plaza vanno a osservare lo stagno verdastro proprio lì, dove un tempo c’erano otto piani con banche, negozi e, dal secondo in su, pesanti macchinari tessili azionati da cinquemila uomini e donne. Non c’è nessuna lapide, solo un monumento in cemento: due braccia reggono una falce e martello per ricordare i 1129 morti e i quasi tremila feriti, centinaia disabili, di quel 24 aprile 2013. L’anziano Fazul Haque, col berretto bianco dei musulmani e una lunga e sottile barba candida, fissa lo spazio lasciato vuoto dove talvolta — dice — riaffiora dalla memoria il volto da bravo ragazzo del figlio ventenne. Proprio lì, assieme al suo Rabbi, giacciono ancora 158 operai e operaie dichiarati scomparsi da quasi due anni. Qualcuno dice che sono tutti bambini, del cui conto si vogliono far perdere le tracce per timore di uno scandalo mondiale.

(Continua a leggere sul sito di Repubblica)

 

Foto: il monumento in cemento costruito dove prima c’era il Rana Plaza (AP)