Il crollo del palazzo a Dacca, due anni fa
Il 24 aprile del 2013 nella capitale del Bangladesh morirono 1.129 persone: i controlli e le misure di sicurezza sono aumentati, ma non sono ancora sufficienti
Il 24 aprile del 2013, due anni fa oggi, a Dacca – la capitale del Bangladesh – crollò il Rana Plaza, un palazzo di nove piani in cui c’erano negozi e banche al piano terra e moltissimi laboratori di manifattura tessile sugli altri piani: morirono 1.129 persone. Il palazzo crollò a causa di alcuni problemi strutturali che erano emersi già nei giorni precedenti: erano state segnalate crepe sui muri e il palazzo era stato evacuato per precauzione, prima che fosse deciso di riaprirlo per non dover chiudere i laboratori tessili troppo a lungo. A due anni di distanza, come racconta Raimondo Bultrini su Repubblica – alcune cose sono cambiate e ci sono più controlli negli stabilimenti tessili del Bangladesh, tuttavia le zone grigie sono ancora molte e lo sfruttamento della manodopera, compresa quella infantile, è frequente.
Quasi ogni mattina i parenti delle vittime del Rana Plaza vanno a osservare lo stagno verdastro proprio lì, dove un tempo c’erano otto piani con banche, negozi e, dal secondo in su, pesanti macchinari tessili azionati da cinquemila uomini e donne. Non c’è nessuna lapide, solo un monumento in cemento: due braccia reggono una falce e martello per ricordare i 1129 morti e i quasi tremila feriti, centinaia disabili, di quel 24 aprile 2013. L’anziano Fazul Haque, col berretto bianco dei musulmani e una lunga e sottile barba candida, fissa lo spazio lasciato vuoto dove talvolta — dice — riaffiora dalla memoria il volto da bravo ragazzo del figlio ventenne. Proprio lì, assieme al suo Rabbi, giacciono ancora 158 operai e operaie dichiarati scomparsi da quasi due anni. Qualcuno dice che sono tutti bambini, del cui conto si vogliono far perdere le tracce per timore di uno scandalo mondiale.
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Foto: il monumento in cemento costruito dove prima c’era il Rana Plaza (AP)