Il regime dei Khmer Rossi iniziò 40 anni fa
Il 17 aprile 1975 i comunisti cambogiani conquistarono Phnom Penh, costringendo due milioni di persone a lasciare una città in poche ore e dando inizio a una delle dittature più violente del Ventesimo secolo
Il 17 aprile 1975, esattamente 40 anni fa, i seguaci del Partito Comunista cambogiano – i cosiddetti “Khmer Rossi” – entrarono con i carri armati a Phnom Penh, la capitale della Cambogia, dopo avere sconfitto il regime di Lon Nol sostenuto dagli americani. Nel giro di poche ore i Khmer Rossi costrinsero la popolazione di Phnom Penh – circa 2 milioni di persone – a lasciare la città, in quella che fu una delle più grande migrazioni forzate della storia recente e che trasformò la capitale cambogiana in una cosiddetta “città fantasma”. Il 17 aprile 1975 è considerata la data dell’inizio della dittatura dei Khmer Rossi in Cambogia, durata fino al 1979: in questi quattro anni circa 2 milioni di persone – un quarto dell’intera popolazione cambogiana – fu uccisa dai Khmer Rossi o morì per le conseguenze del duro regime imposto su tutto il paese.
I Khmer Rossi erano nati nel 1968 come una divisione dell’Esercito Popolare vietnamita del Vietnam del Nord: il loro obiettivo era creare una società agraria completamente autosufficiente, in cui i vertici del partito – conosciuti in quegli anni con il nome di “Angkar” – controllassero tutti gli aspetti della vita dei cambogiani. Si trattava di un’ideologia che univa alcuni elementi del marxismo con una versione estremizzata del nazionalismo khmer, termine che indica il gruppo etnico più grande della Cambogia. I Khmer Rossi instaurarono una delle dittature più violente e terribili del Ventesimo secolo: nei quattro anni di regime costruirono in diverse parti del paese prigioni e campi di sterminio.
Chhung Kong, insegnante cambogiano di francese, ha raccontato ad AFP che quel 17 aprile i Khmer Rossi entrarono a Phnom Penh guidando dei carri armati e sventolando delle bandiere comuniste. La maggior parte della popolazione li accolse festeggiandoli per strada come dei “liberatori”. Nel giro di poche ore, tuttavia, i Khmer Rossi costrinsero l’intera popolazione di Phnom Penh a lasciare la città, dicendo che si trattava di una misura temporanea. Chhung Kong ha raccontato:
«Le persone hanno cominciato a lasciare la città, alcune portandosi dietro qualche effetto personale, altri po’ di riso. Io non avevo niente, i miei parenti misero insieme un po’ di riso. Ma dovevamo stare via solo tre giorni, perché avremmo dovuto portare a dietro più cose?»
Centinaia di migliaia di persone furono portate a lavorare nei campi. I sopravvissuti del regime hanno raccontato che il lavoro il campagna era massacrante: le persone erano costrette a lavorare più di 10 ore al giorno, e normalmente venivano date loro solo due ciotole di riso, una a pranzo e una a cena. Chi veniva trovato a rubare – anche solo della frutta – veniva ucciso. Furono uccisi moltissimi monaci buddisti e persone appartenenti a classi sociali elevate. Tra le categorie più colpite ci fu quella degli insegnanti: i sopravvissuti raccontano ancora oggi che chi portava gli occhiali veniva arrestato, perché gli occhiali erano associati a un alto grado di istruzione.
Dal 1975 al 1979 non furono uccisi solo civili, ma anche Khmer Rossi considerati dei traditori del regime. Ancora oggi, scrive il Guardian, la Cambogia sta cercando di risolvere la complicata questione di chi sono i colpevoli e chi sono gli innocenti: in quegli anni molti ragazzini furono costretti ad arruolarsi nell’esercito di regime o furono indottrinati allo scopo di impedirgli di scegliere diversamente. Pol Pot – il leader dei Khmer Rossi, chiamato anche “Fratello numero 1 – morì il 15 aprile del 1998: la sua morte significò per molti cambogiani la fine definitiva della minaccia dei khmer rossi. Da anni intanto vanno avanti i processi contro alcuni esponenti importanti del partito comunista: se ne sta occupando il Tribunale speciale per Khmer Rossi, un tribunale misto istituito da un accordo tra Cambogia e Nazioni Unite. Lo scorso agosto il Tribunale ha condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità Khieu Samphan, capo di stato del regime, e Nuon Chea, allora capo ideologo del partito.