Perché le notizie sull’ambiente ci annoiano?
Nonostante le frequenti brutte notizie sul clima e l'ambiente, all'opinione pubblica non importa granché: è colpa dei giornalisti, degli ambientalisti o dell'opinione pubblica?
di Krista Langlois – Slate
Sono una giornalista che si occupa di ambiente, quindi inizio ogni mia giornata districandomi tra cinque o sei notizie sull’ambiente. Sono sempre sconvolgenti e deprimenti: prima ancora di aver finito il mio primo caffè bio sono travolta da storie che raccontano come il cambiamento climatico sta rovinando le nostre vite e come un’infinità di animali sta morendo davanti ai nostri occhi e come aziende ingorde e politici corrotti stiano aggravando la situazione.
Tutto questo dovrebbe rendermi piuttosto cinica riguardo all’inclinazione degli esseri umani a proteggere il loro pianeta, invece sono stata piuttosto sorpresa nel leggere il sondaggio del 2015 sull’ambiente fatto da Gallup (una delle principali società di sondaggi statunitensi), che ha rivelato come gli americani sono oggi meno preoccupati dalle tematiche ambientali di quanto non lo siano mai stati negli ultimi vent’anni. Questo ottimismo persiste nonostante alcune rilevanti notizie che, nell’ultimo anno, avrebbero dovuto farli riflettere: la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è oggi di 400 parti per milione, un valore mai raggiunto prima; e uno studio di Nature ha spiegato che siamo appena usciti dalla sesta grande estinzione del pianeta, con il 41 per cento degli anfibi, il 26 per cento dei mammiferi e il 13 per cento degli uccelli che rischiano l’estinzione.
Dato che centinaia di giornalisti, tra cui io, dedicano la loro vita professionale a sensibilizzare i cittadini sulle condizioni dell’ambiente e le calamità naturali, abbiamo fallito? Jeffrey M. Jones e Rebecca Riffkin, due analisti di Gallup, propongono alcune osservazioni per spiegare il perché di questi dati: perché nonostante il nostro impegno di sensibilizzazione e nonostante i fatti, gli americani pensano che l’ambiente se la passi piuttosto bene.
1. Le persone sono soprattutto preoccupate dalle minacce imminenti: in generale tendono a preoccuparsi di più dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua e di meno di minacce apparentemente lontane come, per esempio, i cambiamenti climatici o la riduzione delle foreste tropicali. È così da decenni.
2. Nonostante questa evidente tendenza, le associazioni ambientaliste stanno concentrando sempre più i loro sforzi su queste minacce apparentemente lontane. Noi giornalisti spesso facciamo la stessa cosa, e così facendo perdiamo di vista i nostri lettori. “Le scelte dei temi ambientali su cui concentrarsi potrebbero aver influenzato indirettamente il livello di preoccupazione degli americani”, ha scritto Jones. Questo perché “l’interesse primario del movimento per l’ambiente si è spostato su problemi di lungo termine come il riscaldamento globale: argomenti per i quali gli americani tendono a preoccuparsi di meno”.
3. L’ambiente è diventato una questione politica polarizzante. Di per sé questo non è un problema, ma lo sono i numeri: su sei diverse questioni ambientali misurate dal 2000 al 2015 la percentuale di elettori americani di centrodestra che hanno detto di “preoccuparsi molto” è scesa del 20 per cento. Guardando a una sola delle sei questioni, il cambiamento climatico, il 29 per cento degli elettori di centrodestra si diceva “molto preoccupato”, mentre oggi lo dicono solo 13 su cento. Chi vota a sinistra è invece più preoccupato oggi rispetto a 15 anni fa. Questo significa che il divario tra i due partiti è aumentato ed è sempre più difficile colmarlo.
4. Il punto di vista sull’ambiente cambia a seconda di chi è al governo. Il numero di vertebrati oggi sulla Terra è la metà di quello che era nel 1970. Ma un presidente come Barack Obama – che ha rafforzato le leggi a difesa dell’ambiente – fa credere alle persone che le cose stanno andando meglio, mentre un presidente meno “ambientalista” come George W. Bush porta gli americani a preoccuparsi: “dal 2003 al 2009 il 41 per cento ha detto che la qualità dell’ambiente era buona o eccellente, con un valore minino del 39 per cento, registrato nel 2009”. Scrive Riffkin, “da allora, in coincidenza del primo anno dell’amministrazione Obama, la media è salita al 47 per cento, un valore simile a quello registrato tra il 2001 e il 2002 (il mandato di Clinton finì nel gennaio 2001).
5. Il sondaggio più recente mostra che gli americani che considerano l’ambiente in buono o ottimo stato è salito al 50 per cento: “l’opinione più ottimista sull’ambiente da quando Gallup a iniziato a misurare la situazione, nel 2001”, scrive Riffkin. In effetti il numero di americani che si preoccupano del riscaldamento globale non è più alto di quanto non fosse nel 1989. Quindi non è passato il messaggio che lo scioglimento dei ghiacci ha superato il punto di non ritorno? O i giornalisti hanno presentato una situazione così terribile che preoccuparsene è troppo difficile e sconvolgente?
Lo scorso mese i ricercatori di Natural Climate Change hanno analizzato la copertura mediatica dell’ultima stima fatta dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (organo scientifico creato nel 1988 per monitorare il cambiamento climatico) scoprendo che sì, c’entrano i giornalisti. Il tipo di notizie negative che vengono diffuse dai media genera un senso di sconforto che a sua volta genera distacco. O meglio, come scrive uno degli autori della ricerca, l’opinione pubblica soffre di un “affaticamento da articoli e notizie sull’ambiente”.
All’High Country News, la rivista per cui spesso scrivo, non ci serviva uno studio scientifico per osservare che gli articoli e le storie che offrono speranza sono molto più popolari di quelle tristi e deprimenti. Stiamo appunto lavorando a una rubrica chiamata “il bicchiere mezzo pieno” che racconta per esempio come l’America occidentale sta rispondendo alla siccità, e in generale cerchiamo di proporre una soluzione ogni volta che presentiamo un problema.
Ma il giornalismo positivo e ottimista può sembrare edulcorante. Noi vogliamo che le persone s’interessino, ma non vogliamo nemmeno nascondere quello che succede. Se editori e giornalisti vogliono che il giornalismo ambientale resti rilevante, dobbiamo impegnarci per bilanciare le due cose.
@Slate 2015