Ci sono le elezioni in Sudan
Si vota fino a giovedì, sono le prime dalla separazione del Sud Sudan ma la loro validità è messa in dubbio da molti: il favorito è Omar al Bashir, al potere dal 1989
Sono in corso fino a domani le elezioni politiche e presidenziali in Sudan, le prime tenute nello stato africano dopo la separazione del Sud Sudan avvenuta tramite un referendum nel 2011. I seggi sono aperti da lunedì 13 aprile, e gli elettori registrati sono più di 13 milioni. Le elezioni dovevano concludersi oggi ma la commissione elettorale ha deciso di estenderle fino a domani: ieri la commissione aveva detto che in alcuni seggi il materiale per votare non era arrivato in tempo. Lo spoglio inizierà subito dopo la chiusura dei seggi, ma durerà diversi giorni: secondo Al Jazeera il risultato delle elezioni sarà annunciato il 27 aprile.
Oltre a votare per il presidente della repubblica, i sudanesi voteranno anche per la composizione del parlamento federale e di quelli statali (il Sudan è una repubblica federale, di cui fanno parte 18 stati). Secondo diversi analisti le elezioni saranno vinte con facilità da Omar Ahmad al Bashir, che detiene la carica da quando l’ha ottenuta nel giugno del 1989 in seguito a un colpo di stato. Diversi partiti di opposizione hanno già annunciato da mesi che boicotteranno le elezioni. La commissione elettorale del Sudan non ha diffuso dati sull’affluenza dei primi due giorni di voto, ma il Sudan Tribune – un quotidiano online di opposizione con sede a Parigi – ha scritto che è stata del 10 per cento.
Il Sudan è un paese di circa 30 milioni di abitanti dell’Africa centrale. Confina a nord con l’Egitto e la Libia, ad ovest con il Ciad e a sud con la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan, l’Etiopia e l’Eritrea. Buona parte delle regioni settentrionali del Sudan sono desertiche. La sua capitale è Khartum. La situazione economica del Sudan è molto precaria dal luglio 2011 quando il Sud Sudan, prevalentemente cristiano, ha ottenuto l’indipendenza (il nord è a prevalenza musulmana): in Sud Sudan è infatti concentrato il 75 per cento delle riserve di greggio che prima erano gestite dal governo sudanese. Lo stesso Bashir è un personaggio piuttosto controverso: negli anni è stato accusato di genocidio dalla Corte Penale Internazionale per il suo ruolo nel cosiddetto “conflitto del Darfur”, una ribellione di alcune etnie nei confronti del governo centrale sudanese iniziata nel 2003 che secondo l’ONU ha causato la morte di 300mila persone (l’inchiesta nei confronti di al Bashir è stata però recentemente sospesa).
Negli ultimi tempi il governo è stato accusato di avere imprigionato diversi oppositori politici, di avere chiuso giornali critici e di avere compiuto ulteriori violenze nel Darfur e in altre regioni dove sono ancora in corso scontri fra gruppi ribelli e forze governative: il governo ha annunciato che per ragioni di sicurezza le elezioni non si terranno in un distretto del Darfur e in sette del Sud Kordofan, uno stato meridionale. Il Washington Post ha spiegato che negli ultimi tempi, in particolare, Bashir ha ottenuto diverse critiche per avere assicurato un dialogo politico con i partiti di opposizione e i gruppi ribelli per poi tirarsi indietro poco prima che iniziassero gli incontri preparatori, previsti per la settimana scorsa. L’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Federica Mogherini ha detto che l’Europa «è amareggiata dal fatto che il governo del Sudan ha mancato di rispondere agli sforzi dell’Unione Africana di avviare un dialogo con tutte le parti interessate» e che per questo motivo non ha inviato osservatori indipendenti a sorvegliare il processo elettorale.
Hassan Osman Rizig, vicepresidente del partito di opposizione Reform Now Movement (che fa parte di quelli che stanno boicottando le elezioni), ha detto che il partito di al Bashir, il National Congress, «oltre a controllare il governo federale e quello statale si occupa della gestione economica e controlla le forze armate e di polizia. È difficile competere con questo partito, in questo genere di elezioni». Nelle elezioni del 2010 il National Congress ottenne il 68,24 per cento dei voti, pari a 323 seggi sui 450 del parlamento federale.