Cosa fu il genocidio armeno
Breve storia dello sterminio che iniziò cento anni fa a Istanbul ed è tuttora oggetto di grandi contestazioni: l'ultima riguarda le cose che ha detto domenica il Papa
di Matteo Miele
Domenica 12 aprile, Papa Francesco ha tenuto una messa nella Basilica di San Pietro a Roma, per celebrare i 100 anni del genocidio del popolo armeno. Durante la funzione, il Papa ha usato il termine “genocidio” per riferirsi al massacro degli armeni, avvenuto nel 1915: «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del Ventesimo secolo; essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana». La Turchia non è stata molto contenta: i vari governi turchi che si sono succeduti negli anni hanno sempre negato che sia mai avvenuto un massacro di queste proporzioni.
Un anno fa, in occasione del 99esimo anniversario del genocidio, l’attuale presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha fatto delle scuse, molto generiche, nei confronti delle persone di tutte le etnie e religioni uccise in quelli che ha definito “gli incidenti” del 1915. Erdogan non ha mai utilizzato la parola “genocidio” e tuttora il governo turco è molto critico con chiunque associ questo termine ai massacri del 1915. Dopo la funzione del papa, il governo turco ha convocato l’ambasciatore dello Stato del Vaticano. La formula “genocidio” era già stata utilizzata da un altro papa: nel 2001, in un comunicato congiunto con Karekin II, leader della chiesa armena, Giovanni Paolo II aveva descritto con le stesse parole quello che gli armeni chiamano il “Medz Yeghern”, il “Grande Crimine”.
Lo sterminio sistematico degli armeni nei territori dell’Impero ottomano iniziò la notte del 24 aprile 1915. L’obiettivo dei Giovani Turchi, organizzazione nazionalista nata all’inizio del Ventesimo secolo, era creare uno stato nazionale turco sul modello dei nuovi paesi europei nati nell’Ottocento: creare dunque la Turchia e unirla con il mondo turcofono dell’Asia centrale (il Turkestan). Gli armeni, cristiani ed indoeuropei, erano l’ostacolo più evidente da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista di un immenso territorio che dal Mediterraneo arrivasse fino allo Xinjiang cinese. Il primo passo era la nascita di un nuovo paese abitato soltanto da turchi. Le popolazioni cristiane, che per secoli si erano organizzate in diversi millet (le comunità religiose e nazionali), dovevano sparire dal territorio: la definizione “Stato nazionale” prevede un paese linguisticamente e culturalmente omogeneo, con una popolazione composta in larga misura da un unico gruppo etnico e dove le altre popolazioni si limitano a piccole minoranze (l’Italia ne è un esempio). L’idea dei Giovani Turchi era dunque conseguire con la forza le condizioni che la storia non aveva realizzato. Armeni, greci, assiri, le tre più importanti comunità cristiane, erano i primi obiettivi. Inizialmente i Giovani Turchi si servirono anche dei curdi (iranici, ma musulmani) per portare avanti le stragi.
Gli armeni erano stati i primi al mondo a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale del proprio paese, nell’anno 301. Secondo la tradizione la fondazione della Chiesa armena viene fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo (due apostoli di Gesù), ma fu solo all’inizio del IV secolo che San Gregorio Illuminatore battezzò il re armeno Tiridate III. Da allora il Cristianesimo è diventato il pilastro dell’identità armena. Religione e cultura furono i segni distintivi degli armeni, per secoli sotto dominazioni straniere. In ogni casa, anche la più povera, non mancano mai i libri e nelle biblioteche è possibile scovare antichi volumi a forma di bottiglia per nasconderli meglio dalla distruzione degli invasori e preservare la propria storia e il proprio futuro. Prima di convertirsi al Vangelo, Tiridate aveva fatto rinchiudere San Gregorio in un pozzo sul quale oggi sorge il monastero di Khor Virap, dal quale è possibile ammirare il Monte Ararat, simbolo dell’Armenia. Secondo la Bibbia fu proprio sulle alture dell’Ararat che l’arca di Noè si sarebbe fermata.
Il genocidio del 1915 iniziò però lontano dall’Ararat, a molti chilometri di distanza dall’Armenia storica: a Istanbul nella notte del 24 aprile, nelle case degli intellettuali, degli studiosi, dei poeti. Poi, sistematicamente, il massacro andò avanti più a Oriente, nelle terre abitate da millenni dal popolo armeno, uccidendo gli uomini e deportando i bambini e le donne nel deserto siriano, dove morirono per la fame e per la sete, abbandonati. Ad alcuni bambini vennero inchiodati ai piedi i ferri di cavallo. I beni sequestrati andarono ad arricchire alcune famiglie turche. Fu il Medz Yeghern, il “Grande Male”.
Oggi gran parte dell’Armenia storica si trova in territorio turco: in primo luogo per via del genocidio che annientò le vite di un milione e mezzo di armeni, e poi per il tradimento delle potenze occidentali che nel 1923 firmarono a Losanna un nuovo trattato che annullava quello di Sévres del 1920, che avrebbe dovuto dare vita a un’Armenia indipendente nel territorio dell’Armenia storica, secondo quanto voluto dal presidente americano Woodrow Wilson. Agli armeni non rimase dunque che una piccola porzione di territorio, la Repubblica democratica armena, che entrata a far parte dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Venti, ritroverà l’indipendenza solo nel 1991. Nell’Armenia occidentale restarono solo chiese diroccate, monasteri deserti, villaggi abbandonati. La cattedrale di Akhtamar, importantissimo centro della cristianità armena su un’isola del lago di Van, è stata trasformata pochi anni fa in un museo dal governo turco. I nomi stessi di quei luoghi sono monumenti dolorosi di un mondo distrutto dall’odio nazionalista che tuttora continua sistematicamente a negare le proprie responsabilità.
La storiografia ufficiale turca cerca infatti di inserire i massacri all’interno della Prima guerra mondiale, negando un piano specifico di sterminio dell’intera popolazione armena. Il solo nominare la parola “genocidio” in Turchia può costare diversi anni di carcere e il riconoscimento da parte di un paese terzo porta regolarmente alle proteste di Ankara. In realtà la Grande guerra fu solo un’utile circostanza per condurre a termine un progetto ideato molto prima. Il massacro di Adana del 1909 e prima ancora i massacri hamidiani di fine Ottocento ne sono tragiche prove, così come aver accompagnato al genocidio armeno, il genocidio assiro ed il genocidio greco. Oggi anche l’Ararat si trova oltreconfine, in territorio turco. Può essere contemplato da Yerevan, la capitale della Repubblica armena, ma quella frontiera così vicina rimane forse la più imponente testimonianza della tragedia.
foto: la città di Shushi, nella regione armena di Karbakh, dopo la distruzione dell’impero ottomano. (STR/AFP/Getty Images)