Da dove arriva Podemos?
La storia di come un gruppo di docenti universitari di sinistra ha fondato un partito che sembra avere già cambiato la politica spagnola, raccontato dal Guardian
Giles Tremlett – giornalista inglese che vive in Spagna e che collabora da molti anni con la stampa britannica – ha scritto per il Guardian un lungo articolo su Podemos, il partito ambientalista e di sinistra considerato la più grande novità della politica spagnola degli ultimi anni. Tremlett racconta come Podemos sia nato da un piccolo gruppo di accademici all’interno dell’Universidad Complutense di Madrid – la principale università della capitale spagnola – e di come nel giro di poco tempo sia riuscito a cambiare l’intero sistema politico della Spagna.
Podemos e l’Universidad Complutense di Madrid
In origine, scrive Tremlett, Podemos era semplicemente un movimento fatto da poche persone: tra queste c’era anche Pablo Iglesias, un docente di 29 anni con un piercing sul sopracciglio e la coda di cavallo. Tremlett descrive Iglesias come un insegnante brillante, iperattivo e abile a guidare la protesta studentesca: non il classico intellettuale di sinistra. Una persona con le idee ben chiare di quali siano «i mali del mondo», per esempio il capitalismo globalizzato, che secondo Iglesias con Ronald Reagan e Margaret Thatcher si è insediato come ideologia dominante del mondo sviluppato. Tremlett racconta che durante l’anno accademico 2008 Iglesias ha accolto i suoi studenti della Facoltà di Scienze Politiche dell’università di Madrid invitandoli a salire in piedi sulle loro sedie: «L’idea era rivivere una scena del film L’attimo fuggente. Il messaggio di Iglesias era semplice. I suoi studenti erano lì per studiare il potere, e chi detiene il potere può essere cambiato».
Iglesias ha fatto il suo “salto” di popolarità il 25 aprile del 2013, quando ha partecipato a un dibattito su Intereconomia, un canale televisivo di destra. Da allora in poi è diventato sempre più conosciuto e presente sulle principali reti nazionali. Scrive Tremlett:
«Con una caviglia appoggiata su un ginocchio e un braccio casualmente gettato dietro la sedia, il suo sorriso a volte scivola nella condiscendenza. Ripete che la colpa dei mali della Spagna risiede nella casta, il nome dato alle élite politiche e economiche corrotte che, a suo dire, hanno venduto il paese alle banche. L’altro nemico è la cancelliera tedesca Angela Merkel e i funzionari non eletti che governano l’euro dalla Banca Centrale Europea.»
Dopo essere diventato molto conosciuto, nell’agosto del 2013 Iglesias ha cominciato a lavorare per formare un suo partito: «Il piano era audace e altamente improbabile. Un assalto al potere lungo 18 mesi, con l’obiettivo finale di sostituire il PSOE alla guida della sinistra spagnola e spodestare il primo ministro Rajoy alle elezioni del 2015». Il nome “Podemos” è stato scelto per due ragioni: primo perché ricordava lo “Yes we can” di Barack Obama, secondo perché riprendeva un jingle molto famoso trasmesso in televisione dopo la vittoria della nazionale spagnola ai Mondiali di calcio del 2010.
La nascita di Podemos, tempi difficili
Prima di annunciare la nascita del suo partito, il 17 gennaio 2014, Iglesias ha collaborato con i leader politici di sinistra di alcuni paesi dell’America Latina (Rafael Correa in Ecuador e Evo Morales in Bolivia). Tremlett scrive che i primi tempi di Podemos sono stati molto difficili: Iglesias era praticamente senza soldi con cui finanziare le sue attività, senza strutture e con poche idee politiche concrete. Podemos sembrava poter diventare uno dei tanti movimenti anti-austerità destinati a scomparire in pochi mesi. Nel giro di un anno le cose sono però cambiate notevolmente. Il 31 gennaio del 2015 circa 150 mila persone hanno partecipato alla “Marcia per il cambiamento”, una manifestazione organizzata da Podemos a Madrid. Iglesias si è rivolto alla folla con una retorica molto appassionata, la stessa per cui i suoi avversari politici lo hanno definito un pericoloso populista di sinistra. Iglesias ha criticato il «totalitarismo della finanza», ha detto di voler conquistare il potere delle élites e di volerlo consegnare al popolo, ha esortato le persone a «prendere sul serio i loro sogni». «Siamo in grado di sognare, possiamo vincere!».
Nel maggio 2014 ci sono state le elezioni per il Parlamento europeo: Podemos ha ottenuto l’8 per cento dei voti, conquistando cinque seggi – Iglesias è stato eletto – e diventando il terzo partito spagnolo appena quattro mesi dopo la sua fondazione ufficiale, avvenuta il 17 maggio del 2014 in un piccolo teatro di Lavapiés, quartiere di Madrid che negli ultimi dieci anni si è riempito di librerie alternative, gallerie e bar.
Per vincere e guadagnare consenso, Podemos ha rafforzato il potere dei vertici nel partito e ha ceduto a qualche compromesso: perché, come precisa Tremlett, l’obiettivo era quello di vincere. Da allora Podemos è cresciuto nei sondaggi: negli ultimi pubblicati da El País, risulta essere il primo partito del paese (al 22 per cento) davanti al Partito Socialista spagnolo e al Partito Popolare del primo ministro Mariano Rajoy. El Pais ha accompagnato i dati con un editoriale in cui ha annunciato la fine del bipartitismo e l’inizio di un nuovo sistema in cui a giocarsela sono quattro partiti (il quarto è Ciudadanos): «La Spagna si sta avviando a entrare in uno scenario politico completamente inedito». Secondo Tremlett, Podemos continuerà a crescere e Iglesias potrebbe anche diventare primo ministro della Spagna. Le prossime elezioni politiche si svolgeranno nel novembre del 2015.
Da dove arriva il successo di Podemos?
Il grande aumento di consensi ottenuto da Podemos «sembra miracoloso», scrive Tremlett, ma in realtà il progetto si è evoluto nel corso di un lungo periodo di tempo: gli scandali legati alla corruzione che hanno colpito il Partito Socialista e Partito Popolare e la crisi economica e finanziaria globale sono stati una grande opportunità per Podemos. La Spagna è uscita dalla recessione nell’ottobre del 2013 ma il deficit pubblico è rimasto molto alto, così come il tasso di disoccupazione. Le diseguaglianze economiche sono cresciute a un ritmo più veloce rispetto a qualunque altro paese europeo, colpendo in particolare i giovani e quelli che erano già poveri all’inizio della crisi. Il tasso di occupazione è migliorato perché è diminuita la forza lavoro complessiva del paese (il numero di lavoratori stranieri è sceso di 51 mila unità nel terzo trimestre dell’anno) e perché sono state introdotte delle leggi di riforma del lavoro che hanno reso il mercato più flessibile (per esempio, sono stati ridotti della metà i costi dei licenziamenti per le imprese in difficoltà ed è stato reso più semplice ridurre i loro stipendi).
Il recupero economico in generale è stato causato soprattutto dall’aumento dei consumi privati, da una forte ripresa della fiducia da parte dei consumatori, da una ripresa degli investimenti delle imprese e da un miglioramento delle esportazioni. Sono aumentate le tasse per rafforzare le entrate fiscali, come quelle universitarie. Gli ammortizzatori sociali, gli investimenti pubblici e i costi della pubblica amministrazione sono stati tagliati, il settore finanziario è stato reso più solido, anche grazie al prestito da 41 miliardi di euro alle banche da parte dell’UE e della BCE. È stato rivisto il sistema pensionistico: tutti interventi che – almeno sulla carta – hanno portato a dati e numeri positivi, ma che hanno causato nel paese manifestazioni e proteste. «La crisi politica è il momento in cui bisogna avere coraggio», ha detto Iglesias in un recente comizio, «ed è il momento in cui un rivoluzionario è in grado di guardare la gente negli occhi e dire: “Guarda, queste persone sono i tuoi nemici”».
A chi si è ispirato Iglesias
«Non è la prima volta», scrive Tremlett, «che un Pablo Iglesias scuote l’ordine politico della Spagna». L’attuale leader di Podemos, infatti, si chiama come l’uomo che nel 1979 ha fondato il Partito Socialista spagnolo. Da adolescente Pablo Iglesias ha militato tra i giovani comunisti di Vallecas, una delle zone più povere di Madrid dove ancora oggi vive in un modesto palazzo pieno di scritte e graffiti. Poco più che 20enne, Iglesias ha fatto parte del movimento no global, partecipando al G8 di Genova. Ha studiato Giurisprudenza all’Università Complutense, ha preso una seconda laurea in Scienze politiche e poi un dottorato. La sua tesi in Diritto si intitolava “Multitud y acción colectiva postnacional: un estudio comparado de los desobedientes: de Italia a Madrid”. Tra i pensatori che maggiormente lo hanno influenzato ci sono Antonio Gramsci, il filosofo argentino Ernesto Laclau e sua moglie Chantal Mouffe, femminista e politologa belga che insegna all’università di Westminster nel Regno Unito. Uno dei testi di maggior successo di Laclau-Mouffe è “Hegemony and Socialist Strategy” (“Egemonia e strategia socialista”): Tremlett scrive che è anche uno dei testi di riferimento di Podemos e del suo leader.
«C’è troppo consenso e non abbastanza dissenso nella politica di sinistra», ha detto Mouffe in un’intervista lo scorso febbraio. Pablo Iglesias ha cercato di convogliare il dissenso contro i “neoliberisti”, ma anche contro i socialdemocratici e i politici di sinistra descritti come «sciocchi ben intenzionati», e l’ha fatto attraverso un efficace programma comunicativo, prima come presentatore e moderatore di assemblee pubbliche, poi come conduttore di un programma tv di grande successo, “La Tuerka”, registrato in un garage dismesso di Vallecas e trasmesso sull’emittente locale di Madrid Tele K. Poi ci sono stati altri programmi, diventati nel frattempo il riferimento del Movimento 15-M – quello cosiddetto degli “indignados”, esaurito dopo una breve esperienza e archiviato con la vittoria del 2011 del conservatore Mariano Rajoy. Il più celebre di questi programmi è “Fort Apache”, trasmesso su Hispan Tv, il canale in lingua spagnola del governo iraniano: nel trailer c’è Iglesias in sella a una moto che dice «Stai attento, uomo bianco. Questo è Fort Apache».
Contraddizioni e punti deboli di Podemos
Nella fondazione di Podemos, scrive Tremlett, ci sono già le due contraddizioni che sarebbero poi diventate sempre più evidenti nel corso del tempo. Podemos sarebbe stato un partito «sia radicale che pragmatico nella sua ricerca del potere». Sarebbe stata inoltre un’organizzazione orizzontale fondata sulla partecipazione dei circoli e un grande coinvolgimento degli attivisti: e tutto questo nonostante la sua popolarità dipendesse da un solo uomo. «Sono un attivista, non un maschio alfa. Nessuno è insostituibile», ha detto Iglesias.
Nonostante il tentativo di un voto online tra i sostenitori per scegliere una leadership condivisa, Podemos viene identificato sostanzialmente con Pablo Iglesias. Della “dirigenza” del partito fanno parte altre 60 persone circa: sono quasi tutti uomini – nonostante il partito insista sulla parità di genere – con un’età media di 26 anni. «Molti vorrebbero lavorare per Podemos», scrive Tremlett, ma sarebbe economicamente poco sostenibile.
Poi ci sono state le elezioni in Grecia: Iglesias che ha chiuso la campagna elettorale di Syriza sul palco con l’attuale primo ministro greco Alexis Tsipras. Alle elezioni in Andalusia Podemos ha praticamente raddoppiato il risultato delle Europee, ottenendo quasi il 15 per cento dei voti, nonostante poi abbiano vinto i socialisti. A maggio si voterà in altre 13 comunità locali; il prossimo novembre ci saranno le elezioni politiche. Nel frattempo, conclude Tremlett, «il terremoto Podemos ha già rotto lo status quo, costringendo il PSOE a eleggere un nuovo giovane leader – Pedro Sánchez – mentre Izquierda Unida si sta disintegrando in lotte intestine». La tentazione è guardare Podemos come fosse un’operazione ben pianificata da un gruppo di studiosi di talento, scrive Tremlett, ma sarebbe troppo semplice: «Podemos è davvero il risultato di uno sforzo iniziato da un gruppo di idealisti non ortodossi per ottenere un cambiamento, gruppo che unisce la convinzione giovanile con il desiderio di sperimentare le proprie idee nel mondo reale».