La rinascita degli indipendentisti scozzesi
Perché dopo una sconfitta molto dura – la vittoria dei No al referendum sull'indipendenza – i sondaggi attribuiscono percentuali altissime allo Scottish National Party?
di Arianna Cavallo – @ariannacavallo
Uno degli aspetti più inaspettati e probabilmente decisivi della campagna elettorale in Regno Unito – si voterà il prossimo 7 maggio per rinnovare il parlamento ed eleggere il nuovo primo ministro – è l’ascesa dello Scottish National Party (SNP), il partito nazionalista scozzese guidato da Nicola Sturgeon. Mentre Laburisti e Conservatori, i due principali partiti, sono dati da settimane praticamente alla pari – secondo i sondaggi oscillano tra il 32 e il 34 per cento – i sondaggi per lo SNP sono sempre migliori: e tutto questo avviene pochi mesi dopo quella che è stata forse la più grave sconfitta politica nella storia del partito, cioè la vittoria dei No al referendum sull’indipendenza della Scozia.
La risalita nei sondaggi dello SNP non riguarda tanto l’intero Regno Unito, dove non arriva al 4 per cento, bensì specificamente la Scozia, dove si parla addirittura del 45 per cento dei consensi (secondo alcune proiezioni addirittura al 49). Il risultato è che lo SNP potrebbe aggiudicarsi tra i 45 e i 50 seggi, o anche più, dei 59 riservati in tutto alla Scozia; per farsi un’idea, alle elezioni del 2010 ne aveva ottenuti soltanto 6. La maggior parte di questi seggi sarebbero sottratti ai Laburisti, che sono – erano? – storicamente molto forti in Scozia.
Il Labour oggi in Scozia è dato al 25 per cento e rischia di perdere 30 dei 41 seggi che aveva ottenuto nel 2010. Come spiega Jason Douglas sul Wall Street Journal, se non fosse per la crescita dello SNP i laburisti probabilmente avrebbero già in tasca gli oltre 300 seggi necessari per andare al governo.
Labour only lead by 0.8% in our 2-wk avg of the polls, but that’s enough to give them a 14-seat lead over the Tories. pic.twitter.com/dYBirBach8
— Andrew Neil (@afneil) April 9, 2015
Un simile successo può sembrare sorprendente, dato che lo SNP era uscito sconfitto dal referendum per l’indipendenza scozzese lo scorso settembre: il 55 per cento degli scozzesi aveva infatti votato a favore della permanenza nel Regno Unito, portando l’allora leader dello SNP Alex Salmond a dimettersi e facendo pensare a una probabile crisi del partito. Il risultato è stato invece un rafforzamento del movimento indipendentista e l’avvicinamento alla politica di molte persone che prima se se disinteressavano. La campagna elettorale per il referendum non solo ha fatto rinascere sentimenti indipendentisti nel paese, ma il fallimento del referendum ha spinto molti elettori a trasformarsi in attivisti dello SNP. In breve tempo il partito ha visto aumentare di molto il numero dei suoi iscritti, che ora si aggira intorno ai 100 mila. Inoltre, la decisione del Labour di schierarsi con i Conservatori e contro lo SNP nel referendum sull’indipendenza ha contribuito alla sua crisi, alimentando diffidenza e rancore. Infine, secondo gli analisti anche molti che al referendum hanno votato No alle elezioni voteranno SNP, perché lo considerano comunque l’unico partito che garantirà gli interessi della Scozia in Parlamento: e il referendum, anche se perso, ha confermato questa immagine.
Con ogni probabilità né i Conservatori né i Laburisti riusciranno a ottenere i voti necessari per andare al governo e saranno costretti a formare una coalizione, lo SNP rischia così di essere determinante. Stando alle proiezioni del Guardian, una coalizione tra laburisti e SNP arriverebbe a 324 voti contro i 300 di Conservatori e Liberaldemocratici. L’incarico di formare una coalizione sarà affidato però innanzitutto al partito che ha ricevuto più voti e come abbiamo visto è soprattutto il Labour a essere indebolito dal successo dello SNP: più seggi sottrarrà ai laburisti in Scozia, minori saranno le possibilità di formare una coalizione insieme.
In qualche modo, lo SNP rappresenta per il Labour quello che l’UKIP è per i conservatori: un partito che appartiene in qualche modo alla sua “famiglia politica” ma con posizioni più estreme e quindi potenzialità di attrarre elettori delusi in uscita; allo stesso modo, però, un partito con cui è complicato se non impossibile allearsi dopo le elezioni. Così come Cameron dice che votare UKIP vuol dire fare un favore ai Laburisti, Miliband dice che votare SNP vuol dire fare un favore ai Conservatori. Anche per questo Miliband sta cercando di limitare la scelta tra sé e Cameron: «La gente in Scozia vuole davvero il cambiamento. Se volete sbarazzarvi dei Conservatori al governo allora dovete votare il Labour», ha detto. Sturgeon – il cui carisma personale ha un certo peso nell’ascesa dello SNP – ha detto più volte di essere disposta ad allearsi coi Laburisti; martedì ha ribadito in tv che «non voglio che Cameron resti primo ministro. Offro il mio aiuto per far sì che lo diventi Miliband». Miliband però ha escluso un’alleanza con lo SNP, almeno per il momento.
In ogni caso, scrive Douglas, se i sondaggi venissero confermati, in Parlamento ci sarà un «nuovo rumoroso blocco di parlamentari ostili alle politiche di austerità, contrario al possesso di armi nucleari da parte del Regno Unito e intenzionato a ottenere una maggiore autonomia per la Scozia». Il fenomeno è in linea con una tendenza sempre più diffusa in Europa: l’ascesa di piccoli partiti, spesso populisti, a discapito di quelli più grossi e tradizionali, accusati di non aver saputo affrontare la crisi e non aver fatto ripartire l’economia.
Foto: Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon a Livingston, in Scozia, 7 aprile 2015. (Jeff J Mitchell/Getty Images)