Cosa c’è nel disegno di legge sulla tortura
È stato approvato dalla Camera, ora torna al Senato: il testo era stato presentato da Luigi Manconi, che dopo le modifiche però l'ha definito «mediocre»
La Camera ha approvato giovedì l’introduzione del reato di tortura con 244 voti favorevoli, 14 contrari e 50 astenuti. Ora il testo del disegno di legge dovrà tornare al Senato, dove era già stato votato in prima lettura il 5 marzo del 2014 ma con un testo diverso. L’Italia ha ratificato la convenzione dell’ONU contro la tortura ma non ha ancora introdotto nel proprio ordinamento il reato di tortura. Dopo la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti dell’Italia per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz al G8 di Genova del 2001, si è tornati a discutere dell’introduzione del reato di tortura: la Corte, nello specifico, ha anche criticato la legislazione penale italiana, giudicandola inadeguata perché non prevede tale reato e non ha nemmeno delle norme in grado di prevenire in modo efficace il ripetersi di tali possibili violenze da parte della polizia. Il problema, si leggeva nel comunicato stampa della sentenza, è «strutturale».
L’iter del disegno di legge
Il disegno di legge approvato alla Camera si intitola “Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”: è stato presentato il 19 giugno del 2013 da Luigi Manconi, senatore del Partito democratico. Dopo l’approvazione in prima lettura al Senato nel marzo del 2014, l’esame alla commissione giustizia della Camera era durato dieci mesi e erano state apportate delle modifiche: il 23 marzo del 2015 si era tenuta la discussione generale alla Camera con il voto degli emendamenti e giovedì 9 aprile il voto.
Cosa c’è nel disegno di legge
Il testo è composto da sei articoli:
– Il disegno di legge introduce il reato di tortura come reato comune punibile con la reclusione da 4 a 10 anni. All’articolo 1, si dice:
«Chiunque, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni».
– Sono previste anche delle aggravanti. Le pene sono diverse se a commettere il fatto è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio «con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio»: in questo caso «si applica la pena della reclusione da cinque a dodici anni» ma solo se la sofferenza inflitta è «ulteriore» rispetto «all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti». Se dal fatto deriva una lesione personale le pene sono aumentate: di un terzo se la «lesione personale è grave», della metà «in caso di lesione personale gravissima». Se dal fatto deriva la morte «quale conseguenza non voluta», la pena è la reclusione a trent’anni. Se la morte è causata da un atto volontario, la pena è l’ergastolo.
– Il disegno di legge introduce anche il reato di istigazione a commettere tortura: se un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio istiga un collega, la pena è stabilita con la reclusione da sei mesi a tre anni e questo indipendentemente dal fatto che il reato di tortura venga poi effettivamente commesso.
– Le dichiarazioni ottenute attraverso il delitto di tortura non sono utilizzabili in un processo penale.
– I termini di prescrizione per il delitto di tortura sono raddoppiati.
– Si stabilisce anche che «in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o oggetto di tortura, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani».
– Non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica «ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale».
Le critiche
Il testo ha ricevuto diverse critiche: una delle principali è condivisa dal Movimento 5 Stelle ed è arrivata proprio da Luigi Manconi, che aveva proposto il primo testo al Senato: ha a che fare con la definizione di “reato comune”. Secondo Manconi il disegno di legge modificato alla Camera «è meglio di niente», ma resta un testo «mediocre» e spiega perché nel suo blog su Internazionale:
«Il testo approvato alla Camera ha cancellato il riferimento allo stato di privazione della libertà e alla condizione di minorata difesa che nel testo del senato erano il necessario corollario della scelta di qualificare la tortura come un reato comune. A differenza di quanto previsto dal mio disegno di legge, puntualmente ricalcato sulla definizione di tortura elaborata dalle Nazioni Unite.
Reato comune è quello commettibile da “chiunque” abbia in affidamento, cura o custodia la vittima. Reato proprio è quello imputabile ai pubblici ufficiali e a chi eserciti pubbliche funzioni, e deriva da un abuso di potere commesso da chi, eccedendo i limiti dell’autorità legalmente detenuta, compia atti illegali e infligga pene e maltrattamenti inumani e degradanti ai danni della persona sotto custodia. Questa formulazione non è stata accolta e il senato ha approvato un testo dove la tortura è reato comune.
A questo primo limite se ne aggiunge ora un altro. La condizione di privazione della libertà non è più rilevante e la tortura può essere genericamente inferta nei confronti di chiunque sia affidato o sottoposto all’autorità, vigilanza o custodia dell’autore. Per capirci, se in senato si discuteva del fatto che il reato potesse essere contestato non solo ai poliziotti, ma anche ai sequestratori, con il testo della camera emergono, tra i possibili autori di reato, anche i genitori e gli insegnanti.
Di più: l’introduzione nel testo della camera di un dolo specifico (la tortura finalizzata a “ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”) fa temere che resti fuori proprio la forma peggiore di tortura. Quella, cioè, dovuta a mero sadismo e a violenza non solo del tutto priva di giustificazione, ma anche di qualsivoglia – seppur deteriore – motivazione. Esattamente quanto avvenuto nel corso del G8 di Genova nel 2001».
Altre critiche riguardano la cancellazione di un passaggio dell’articolo 5, che prevedeva l’istituzione di un fondo per le vittime di tortura, e il fatto che le forze dell’ordine colpevoli di tortura abbiano pene inferiori rispetto a quelle previste da altri paesi europei.