I morti di Milano sono persone, non simboli
E quindi sarebbe meglio evitare "manipolazioni emotive della realtà" come quella di Gherardo Colombo, scrive Massimo Gramellini sulla Stampa
Sulla Stampa di oggi Massimo Gramellini critica chi ha messo in relazione l’attentato di giovedì al Tribunale di Milano con il “clima ostile creatosi attorno alla magistratura”, sostenendo che sia stata una “manipolazione emotiva della realtà” strumentale e vittimistica: il riferimento esplicito è alle parole di Gherardo Colombo, ex magistrato milanese famoso soprattutto per le inchieste di Tangentopoli, dal 2012 membro del cda della RAI su indicazione del PD di Bersani; ma anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto dopo l’attentato che “va respinta con chiarezza ogni forma di discredito” nei confronti dei magistrati.
Un paranoide condannato per bancarotta fraudolenta compie una strage a palazzo di Giustizia, ammazzando tra gli altri anche un giudice, e immancabilmente salta su qualcuno a denunciare il clima ostile creatosi intorno alla magistratura. Come se ad armare la mano omicida fosse stata la polemica politica sulla responsabilità civile e le ferie dei giudici. Come se quel magistrato fosse stato ucciso in quanto simbolo dell’indipendenza delle toghe e non in quanto bersaglio di una resa dei conti maturata nella testa di un uomo ossessivamente ripiegato sui fattacci suoi. (A cui nessuno aveva pensato di togliere il porto d’armi dopo la condanna: è questo, oltre alle difese colabrodo del tribunale, il vero mistero e il vero scandalo).
Poiché la lista dei morti è completata da un avvocato e da un socio dell’assassino, se ne deve forse dedurre che anche le categorie degli avvocati e dei soci avrebbero diritto di lamentare un atteggiamento persecutorio nei loro confronti?