Expo, a che punto siamo
Un reportage di Carlo Verdelli su Repubblica prova a capirlo con molte metafore e molte informazioni
Expo 2015, la grande esposizione universale che si svolgerà a Milano, aprirà il primo maggio tra allarmi e rassicurazioni, e poca chiarezza su cosa davvero sarà sia per i visitatori che per i milanesi, e sul punto in cui siamo. Carlo Verdelli ne scrive oggi su Repubblica su due pagine, mettendo insieme dati, informazioni, indagini sul posto ed evocazioni suggestive.
A un soffio dal via della seconda Esposizione Universale che ci siamo andati a cercare (la prima, nel 1906, cominciò un anno dopo il previsto, guarda caso per ritardi), vagando per il cantiere destinato a diventare per i prossimi sei mesi la nostra bandiera issata su un vero villaggio globale, viene la tentazione di buttarsi in ginocchio sullo sterrato e invocare l’intervento di Harry Potter, Mary Poppins e la fata di Cenerentola, sperando che un magico “bidibi bodibi bu” corale possa compiere il prodigio di completare in 21 giorni quello che a oggi sembra lontano anni luce dall’avere una forma presentabile.
Immaginate una superficie grande quanto l’antica Paestum, l’equivalente di 160 campi da calcio, circondata da un canale lungo 6 chilometri e mezzo e da una rete alta 3 metri e 15, sormontata di filo spinato. Intorno, una periferia di comune mestizia. Su un fianco, c’è il carcere di Bollate; sull’altro, il ponte di una tangenziale. In mezzo, una sagoma a forma di pesce, con la testa rivolta a Milano e la coda a Rho, un “non luogo” che l’allora premier Enrico Letta, nei 10 mesi del suo governo, indicò come «la via per uscire dalla cappa di svalutazione e autolesionismo che incombe sull’Italia».
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(GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)