L’affondamento della “Thunder”
Una nave di attivisti ha inseguito per 110 giorni dei sospetti pescatori di frodo, che alla fine hanno preferito affondare pur di eliminare le prove
di Christopher Pala – Slate
Un’avventura straordinaria si è conclusa drammaticamente lunedì: il capitano di una nave da pesca di frodo, la “Thunder”, è stato inseguito da un gruppo di attivisti per più di tre mesi. L’inseguimento è partito dal Mare di Ross, nell’Antartico, fino alla costa occidentale dell’Africa. Secondo gli attivisti, l’equipaggio della “Thunder” avrebbe poi preferito addirittura affondare la propria nave, cercando di evitare così l’arresto per il carico illegale di pesce.
È finita che i pescatori di frodo sono stati soccorsi dai loro inseguitori: in particolare due navi appartenenti alla Sea Shepherd Conservation Society (un’organizzazione non-profit che si occupa di preservazione dell’ambiente marino), la “Sam Simon” (chiamata così in onore di uno dei creatori dei Simpson, morto da poco dopo aver dato tutto in beneficenza) e la “Bob Barker” (in onore del primo storico conduttore americano di Ok, il prezzo è giusto).
Siddharth Chakravarty è il capitano della “Sam Simon”. In un’intervista telefonica ha detto che il capitano della “Thunder” sostiene che la nave sia affondata per una collisione con il fondale marino: una storia poco verosimile. «Alcuni di noi sono saliti sulla nave e tutte le porte erano state lasciate aperte, che è esattamente il contrario di quello che si fa in mare dopo una collisione», ha detto Siddharth Chakravarty. «Inoltre avevano ordinatamente impacchettato tutte le loro cose, quindi non ho dubbi che fosse tutto pianificato: hanno affondato intenzionalmente la nave in modo da eliminare le prove».
Il capitano della “Bob Barker”, Peter Hammarstedt, ha scritto in un’email: «L’equipaggio della “Thunder”, inclusi gli ufficiali, cantava e applaudiva dalle scialuppe di salvataggio mentre la nave affondava. Difficilmente persone sotto shock per l’affondamento della loro nave reagiscono così».
I pescatori di frodo sono stati sistemati sulla poppa della “Sam Simon”, dove erano state ammucchiate le reti illegali usate dalla “Thunder” tre mesi prima e che l’equipaggio della “Sam Simon” aveva recuperato. La “Thunder” era stata individuata al largo della costa australiana, dove la pesca è regolata dalla Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine dell’Antartico.
Il pesce in questione, che è stato pescato illegalmente, è noto nei ristoranti più raffinati come “spigola cilena” e spesso è il piatto più caro presente sul menù, ma il suo vero nome è “Merluzzo dell’Antartico”: un pesce che vive sul fondo del mare ed è caratterizzato da una doppia fila di denti, come gli squali. Nel Mare Antartico è di gran lunga il pesce più grande ed è in cima alla catena alimentare: teme solo le foche o le orche. Ha un battito cardiaco ogni sei secondi. Gli animali dell’Antartico hanno una proteina anti-gelo che gli permette di nuotare anche in acque con temperature inferiori allo zero.
Gli attivisti dicono di aver visto dei Merluzzi dell’Antartico sulla “Thunder”, quando l’hanno attraccata per recuperarne l’equipaggio, ma non sono in grado di dire quanti fossero. La “Thunder”, che ha cambiato nome più di dodici volte nel corso della sua lunga carriera di pesca di frodo, è registrata a Lagos, in Nigeria. Le autorità nigeriane l’hanno cancellata dai registri la settimana scorsa, rendendola ufficialmente una nave pirata per i pochi giorni che ha navigato prima che affondasse.
La Convenzione del Mare ha recentemente stabilito che le nazioni la cui bandiera è battuta da una nave sono responsabili per la pesca illegale che quella nave eventualmente compie. Duncan Currie, un avvocato di diritto ambientale e diritto internazionale e membro della “Deep Sea Conservation Coalition”, ha detto che questa decisione comporterà un grosso cambiamento per la pirateria: finora gli stati non erano ritenuti responsabili per i danni finanziari o ambientali provocati da navi che battessero la loro bandiera.
Secondo il comandante Chakravarty la “Thunder” ha infranto la legge pescando con reti da fondo – proibite nella regione del Mare di Ross per la loro mortale efficacia – non solo Merluzzi dell’Antartico ma anche pesci che non hanno alcun valore commerciale ma vengono comunque catturati perché restano impigliati nelle reti. Chakravarty ha detto che «dalle cinque reti che la mia nave ha recuperato abbiamo liberato 50.000 chili di Merluzzi dell’Antartico. Si tratta di circa 20 merluzzi per chilometro di rete, che è un ammontare di pesce gigantesco. […] Inoltre c’era una gigantesca quantità di altri pesci rimasto impigliato, più di tre volte quello che si pescherebbe con metodi legali».
Quando è cominciata la corsa al Merluzzo dell’Antartico, negli anni Novanta, la popolazione di questo pesce – che può raggiungere i due metri di lunghezza – si è velocemente ridotta. A causare questa riduzione sono stati in larga parte quelli che Sea Shepherd chiama i “Sei Banditi”: sei navi la cui proprietà è stata ricollegata da loro a delle società spagnole. La “Thunder” era una di queste sei.
Queste navi sono state più volte individuate ma fino a oggi sono sempre riuscite a vendere il loro pesce, pagando solo qualche piccola multa. Quest’anno Sea Shepherd ha lanciato l'”Operazione Icefish” per dimostrare che i “Sei Banditi” potevano essere trovati e arrestati dalle autorità dell’Australia e della Nuova Zelanda, se solo queste avessero voluto. Questa almeno era l’idea di Paul Watson, fondatore dell’organizzazione, che si è lamentato di come nessuna nazione si sia occupata di questi pescatori di frodo con sufficiente determinazione.
L'”Operazione Icefish” ha funzionato. La “Sam Simon” ha individuato due navi: la “Kunlun”, che ora è in arresto a Phuket, in Thailandia, e la “Yongding”, che al momento è scomparsa. Nel frattempo un terzo membro dei “Sei Banditi”, la nave “Viking” è sotto sequestro in Malesia su richiesta dell’Interpol. La “Bob Barker” ha trovato e seguito la “Thunder” per 110 giorni: la speranza degli attivisti era che finisse il carburante e fosse costretta ad attraccare in un porto dove l’equipaggio sarebbe potuto essere arrestato. «Non ci saremmo mai aspettati che avrebbero affondato la nave», ha detto Chakravarty.
La Sam Simon si è diretta allora verso Sao Tome, un’isola al largo del Gabon, dove l’equipaggio della “Thunder” – che hanno salvato – verrà consegnato alle autorità.
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