Cosa dice D’Alema (del vino e del resto)
L'intervista sul Corriere della Sera sulle accuse diffuse dai magistrati napoletani senza accusare
L’arresto del sindaco di Ischia Giuseppe “Giosi” Ferrandino (del Partito Democratico) il 30 marzo con l’accusa di corruzione a seguito di un’indagine del del procuratore aggiunto Alfonso D’avino e dei sostituti procuratori Woodcock, Carrano e Loreto è stato, come spesso capita, accompagnato dalla diffusione attraverso i principali giornali italiani di intercettazioni relative a quell’inchiesta. Intercettazioni in cui da altri viene fatto il nome di Massimo D’Alema – ex dirigente del PCI, del PDS e dei DS ed ex presidente del Consiglio – che, oltre a non essere una delle persone intercettate, non è indagato per nessun reato. Nelle intercettazioni il sindaco di Ischia – che D’Alema afferma di aver conosciuto nel 2014, «quindi quando il presunto reato era eventualmente già stato consumato» – parla di D’Alema come di un politico da ingraziarsi comprando il vino che la sua famiglia produce in Puglia e acquistando numerose copie del libro Non solo euro, scritto da D’Alema per la fondazione di cui è presidente, Italianieuropei (si parla di 500 libri e 2000 bottiglie di vino).
D’Alema già ieri su Repubblica aveva definito scandalosa la diffusione delle intercettazioni che lo riguardano, dicendo che «La giustizia ha il compito di individuare i reati, non deve avere come fine lo sputtanamento delle persone». D’Alema, intervistato oggi dal Corriere della Sera, si definisce «garantista ma anche legalitario» e analizza di nuovo la situazione, parlando del «sospetto che ci sia un motivo, per così dire, extra-processuale» dietro la scelta di utilizzare contro di lui «intercettazioni fra terze persone, senza valore probatorio» nei suoi confronti.
Dubito che la notizia dell’arresto del sindaco di Ischia e qualche suo presunto complice sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali, se nell’ordinanza non fossero stati citati D’Alema, Tremonti, Lotti o qualche altro personaggio di richiamo. Ma se questa fosse la logica che ha ispirato i magistrati, ci sarebbe da preoccuparsi. Non per me, ma per il funzionamento della giustizia. Anche perché negli ultimi tempi si sono susseguite diverse assoluzioni che hanno sconfessato le indagini, soprattutto nei confronti di amministratori locali addirittura arrestati. Se le inchieste avessero l’obiettivo di una più efficace ricerca delle prove, anziché di qualche forma di pubblicità, credo sarebbe più utile alla giustizia e alla moralità pubblica.
Che fa, delegittima anche lei la magistratura solo perché stavolta è stato toccato dal «pubblico ludibrio» delle intercettazioni?
Io non delegittimo nessuno. Sono stato a lungo indagato e sempre prosciolto, anche quando avevo responsabilità di governo. Un pm ha dovuto risarcirmi per i tempi troppo lunghi di accertamento della verità, a spese dei contribuenti, come credo che per altre ragioni sia capitato pure al pm di Napoli titolare di questa indagine. Credo però che l’organo di autogoverno della magistratura, il Csm, ma anche l’Associazione magistrati, dovrebbero esercitare una maggiore vigilanza affinché certe misure non siano superate e la magistratura non si delegittimi da sola. Non ritengo legittimo un uso delle intercettazioni come quello che è stato fatto nei miei confronti.
Ha riforme da suggerire?
No, dico che serve maggiore autocontrollo tenendo presente che i magistrati devono accertare fatti e reati, senza attribuirsi funzioni politiche o pubblicistiche di altro genere. Proprio per mantenere integro il rispetto che si deve alla funzione giudiziaria e che io conservo: sono un garantista, ma anche un legalitario.