Lubitz e la depressione, andiamoci piano
Una psichiatra spiega che trarre conclusioni avventate sulle condizioni del copilota di Germanwings è sbagliato: chi uccide 150 persone non ha semplici intenzioni suicide
di Anne Skomorowsky – Slate
Il copilota Andreas Lubitz si è ucciso facendo volontariamente precipitare un aereo di Germanwings con altre 149 persone a bordo in una montagna nelle Alpi: sulla base di questo si è ipotizzato che soffrisse di “depressione”, una possibilità rinforzata dalla scoperta di farmaci antidepressivi nella sua casa e di informazioni sul fatto che avesse ricevuto cure in centri medici specializzati in psichiatria e neurologia. Molte persone che soffrono di questi disturbi, o che hanno amici o parenti coinvolti, sono preoccupate dal fatto che il comportamento di Lubitz possa portare a una sorta di condanna sociale di chi ha questo tipo di malattie mentali.
È sicuramente vero che uno stigma di questo tipo potrebbe portare le persone che ne hanno bisogno a evitare le cure mediche. Quando lavoravo come psichiatra in una clinica per pazienti affetti da HIV, ero sconcertato dal livello di vergogna che provavano le persone che venivano a consultarmi. I pazienti della clinica avevano forme avanzate di AIDS, spesso dovute all’uso di aghi infetti o di rapporti sessuali non protetti, e molti continuavano ad avere rapporti sessuali non protetti nonostante l’alta concentrazione del virus nel loro organismo. Alcuni erano fuori dal carcere con la condizionale, molti altri avevano perso l’affidamento dei loro figli, altri ancora vivevano in stanze in affitto e sniffavano cocaina ogni giorno. Ma tutti questi problemi per loro erano in un certo modo meno imbarazzanti del fatto di dovere essere valutati da uno psichiatra. I miei pazienti si vergognavano del fatto di avere malattie mentali. Non era invece così male per loro avere comportamenti antisociali come stile di vita.
Penso che i miei pazienti avessero intuito qualcosa. I cattivi comportamenti – anche quelli di tipo suicida – non sono la stessa cosa della depressione. Il fatto che in psichiatria la depressione non sia spesso diagnosticata nel modo opportuno è ormai considerato un’ovvietà. Ma da psichiatra che ha a che fare ogni giorno con il “problema” dei pazienti nell’ospedale dove lavoro, posso dire che la depressione viene anche spesso sovra-diagnosticata. Capita che siano gli stessi medici generici a invocare la “depressione” per spiegare qualsiasi cosa che un adulto ragionevole non farebbe. Per esempio: comportarsi totalmente da menefreghista, chiudersi nella cabina di pilotaggio da solo e fare precipitare deliberatamente un aeroplano pieno di persone. Non so che cosa sia questa cosa, ma non è depressione.
Nell’ospedale dove lavoro, una piccola ma costante parte dei pazienti è costituita da maschi giovani rimasti feriti nel corso di una sparatoria, di solito legata ad attività di bande criminali. Sono paralizzati e vengono ricoverati per ulcere da decubito o per infezioni al tratto urinario. Queste persone erano abituate a ottenere ciò che volevano attraverso l’intimidazione, la violenza e in molti casi l’omicidio: ora dipendono dagli infermieri e dagli altri assistenti per le loro cure mediche, ma questo non li ha resi affatto più gentili. Terrorizzano il personale medico lanciando gli orinatoi, il cibo o molestando sessualmente chi si sta prendendo cura di loro. Quando mi viene chiesto di valutare la loro “depressione”, ci vedo disperazione, rabbia e il fatto che pensino che ci sia sempre qualcosa di dovuto. E non sono solo questi comportamenti antisociali a essere definiti “depressione”.
Mi viene chiesto spesso di visitare pazienti con malattie croniche seguite malamente: per esempio diabetici che non fanno regolarmente il test del sangue, quello che si fa bucandosi un dito per testare i livelli di zuccheri nell’organismo. Di recente ho fatto un consulto per una paziente in dialisi che non segue il consiglio del medico di seguire una dieta povera di sale. La sua insistenza a continuare a mangiare pacchetti di patatine fritte ha portato il suo nefrologo a chiedersi se non sia in qualche modo depressa: dopotutto una persona sana di mente smetterebbe di mangiare cibo spazzatura per salvarsi la vita, no? La risposta la conosciamo tutti.
Ogni giorno in ospedale mi capita di vedere vedove anziane e sole. Molte vivono in palazzi senza ascensore ma non possono più camminare, e nemmeno i loro amici; i loro figli vivono lontano. Quando chiedo che cosa gli piace fare, mi rispondono: fare maglia, ballare e andare a trovare i nipotini. Poi però esitano un momento e ammettono di non avere fatto nessuna di queste cose da un pezzo. Passano tutta la loro vita a guardare la televisione. Sono depresse? O sono “depresse”?
La parola “depressione” viene usata per indicare malattie sociali di vario tipo per le quali non sappiamo ipotizzare una soluzione, dai comportamenti violenti e talvolta omicidi al dimenticarsi delle persone anziane. Trasformare le mancanze sociali in un problema medico è un guaio, perché i trattamenti specifici per la depressione non funzioneranno mai su persone che in realtà non sono depresse. Le persone che hanno bisogno di aiuto dal punto di vista sociale possono trarre vantaggi dai programmi che mirano a dare loro sostegno sociale: non dagli psichiatri.
I pazienti che soffrono davvero di depressione beneficeranno invece dai trattamenti con farmaci antidepressivi e altre particolari terapie decise dai loro psichiatri. Per le nonne rimaste sole, i dipendenti dal cibo spazzatura e i paraplegici violenti, deve esserci un altro tipo di intervento per sistemare le cose. Dobbiamo mettere da parte questo modello dello stress emotivo utilizzato in modo improprio e capire che i problemi psicologici di un individuo si formano in sistemi sociali, e non solo nella loro mente.
Andreas Lubitz era depresso? Non lo sappiamo: un certificato medico stracciato e una confezione di pillole non ci dicono molto. Molte persone che si suicidano soffrono di un disturbo mentale, molto spesso la depressione. Ma definire le sue azioni “suicide” è fuorviante. Lubitz non è morto nella tranquillità della sua casa. Ha perfidamente progettato un incidente aereo spettacolare in cui sono morte 150 persone. I pensieri suicidi possono essere un segno di depressione, ma l’uccisione di massa è una bestia di tutt’altro tipo.
Usare la parola “depressione” per descrivere un comportamento inspiegabile o violento manda due falsi segnali: primo, che la società non ha nessuna responsabilità per quanto riguarda la nostra felicità, perché l’infelicità è una condizione medica; secondo, che una persona depressa corre il pericolo di compiere atti abominevoli. Le persone depresse hanno bisogno di aiuto. Le persone “depresse” anche, ma non dello stesso tipo.
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