La mostra su Elaine de Kooning a Washington
Fu una grande artista che cercò di conciliare l'espressionismo astratto con la ritrattistica, a cui la National Portrait Gallery ha appena dedicato una mostra
di Anne Midgette - Washington Post
L’espressionismo astratto è l’arte del gesto, del processo sopra al prodotto finale, della superficie sopra il soggetto. La ritrattistica è l’arte della documentazione, del letterale. La pittrice Elaine de Kooning tentò di mettere insieme questi due estremi così lontani: la mostra “Elaine de Kooning: Ritratti”, che ha aperto il 13 marzo alla “National Portrait Gallery” di Washington, è un racconto di come de Kooning abbia cercato, con alterni successi, questo genere di conciliazione degli estremi.
I quadri di de Kooning si notano immediatamente: la pittrice usa i tratti liberi dell’espressionismo astratto, ma ci aggiunge un volto, una somiglianza con la realtà che si intromette nella relazione pura tra la pittura e la tela. Trovare il modo di gestire i volti dei soggetti è la preoccupazione più grande di de Kooning, che emerge anche dai lavori in mostra a Washington: dai primi autoritratti degli anni Quaranta, visibilmente influenzati dal lavoro del suo maestro e marito Willem de Kooning, fino a una colorata galleria di ritratti di familiari, amici, artisti e amanti: Merce Cunningham e Fairfield Porter, Donald Barthelme e Alex Katz e, ovviamente, John F. Kennedy, il cui ritratto commissionato nel 1962 portò alla realizzazione di una serie di disegni e dipinti focalizzati sul volto del presidente.
Nei disegni di de Kooning, i volti emergono luminosi da minuscoli segni di matita; i bozzetti di Kennedy e Ornette Coleman mostrano che de Kooning cominciava a disegnare occhi e naso e poi definiva il resto del volto. Molti dei suoi ritratti si concentrano sulla parte superiore del corpo: il volto e la parte alta del torso, mentre sotto le figure svaniscono in una trasparenza evanescente, come nel ritratto del critico (e a volte amante) Harold Rosenberg.
In alcuni lavori – per esempio nel suo ritratto del poeta Frank O’Hara – de Kooning rimuove completamente il volto. Il curatore della mostra, Brandon Brame Fortune, dice che de Kooning stava esplorando il corpo come segno in sé per sé, cercando di capire cosa distingue le persone al di là delle differenze nei volti. Una ragione più scontata per eliminare i volti è che così si può rimuovere del tutto il contrasto tra realismo e astrattismo. Come puoi impedire che il volto del tuo soggetto finisca con il dominare tutto il dipinto? Basta eliminarlo. In questo modo si può superare tutto il difficile lavoro di bilanciamento tra i due estremi: il dipinto del 1950 “Uomo seduto (Conrad)”, un ritratto di suo fratello, con le sue esuberanti pennellate verde-ocra, è uno dei più soddisfacenti dipinti di tutta la mostra.
Se solo fosse stato tutto così facile. De Kooning era troppo interessata ai suoi soggetti per accontentarsi di dipingere figure anonime e senza volto ed era del tutto cosciente della contraddizione di quello che stava cercando di fare. In uno dei testi che accompagnano il catalogo dell’esibizione, la critica Ann Eden Gibson ricorda che i pittori possono eseguire dei lavori “puri” ogni volta che desiderano, ma nei suoi ritratti, con il loro misto di realismo e astrattismo, de Kooning cercava di fare qualcosa di più. Eppure, osservando i suoi dipinti non si può fare a meno di pensare che non riuscì mai a trovare una risposta che la soddisfacesse.
Anche le pennellate di de Kooning sono una questione che merita di essere affrontata. Una delle stranezze dei suoi lavori è che le sue immagini sono molto forti, mentre i gesti e le pennellate sono stranamente inarticolati. I suoi segni di matita sono modesti: un suo luminoso autoritratto del 1942 sembra saltare fuori dalla carta senza intermediari. Le linee che traccia de Kooning sono indistinte, i colpi di pennello ondeggiano incerti, oppure escono fuori in maniera capricciosa, con aggressive pennellate verde cadmio e ocra che sembra siano state applicate direttamente dal tubetto (come per esempio nello sfondo del ritratto di Kennedy appeso nella collezione permanente della National Portrait Gallery).
C’è una sfida, in questa particolare mostra, a evitare le questioni di genere. De Kooning lottò per restare fuori dall’ombra di suo marito e fu a pieno titolo una grande pittrice, quindi viene naturale esitare a comparare i due grandi artisti, anche se seguivano due agende distinte, ma simili. Lei dipingeva uomini, mentre lui dipingeva donne; lei dava alle sue figure individualità e un certo ascetismo mentre lui indugiava nella loro anonima sessualità. La mostra evita accuratamente di accennare alle implicazioni di questi fatti, fino al punto da evitare di menzionare l’interesse romantico di de Kooning per alcuni suoi soggetti, come Thomas Hess, il direttore di Art News, per il quale de Kooning scrisse per anni e che nella mostra compare in due ritratti estremamente differenti. Uno molto forte, del 1956, in cui una testa muta emerge sopra un corpo intricato, come le ali di una farfalla inchiodate alla tela da collosi tratti di grigio e giallo; e uno piuttosto brutto, del 1963, dove una testa convenzionale è resa “artistica” dall’uso espressionistico del tratto di pennello per abbozzare il vestito e parte dello sfondo intorno alla testa.
A giudicare da questa mostra, il vero sforzo di de Kooning fu distaccarsi dalla sua formazione di ritrattista. Più avanti nella sua vita – certamente dopo l’anno di pausa seguito all’assassinio di Kennedy – de Kooning sembrò aver semplicemente abbandonato la lotta. De Kooning realizzò un paio di lavori notevoli nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta, incluso un dipinto dello scrittore Donald Barthelme in cui il dilemma tra raffigurare il volto e rendere anonimo il soggetto trova una risposta negli occhiali di Barthelme, mentre la sagoma della figlia piccola che tiene in braccio mostra una persona che si trova ancora all’interno del processo del divenire senza esserne ancora completamente emersa. Ma nel 1980 i bei dipinti di famiglia, quelli degli amici o del calciatore Pelé hanno oramai perso mordente. La faccia ha vinto. L’arte, evidentemente, ha perso.
© Washington Post 2014