Zapatero su Berlusconi: «Non dirò una parola contro di lui»
L'ex primo ministro spagnolo sulla situazione politica spagnola e italiana
José Luis Zapatero, primo ministro della Spagna dall’aprile 2004 al dicembre 2011, è stato intervistato dalla Stampa in un lungo articolo riguardo la politica spagnola e le sue opinioni in merito ad alcune situazioni attuali. Zapatero ha parlato del nuovo partito socialdemocratico Podemos – che ha ottenuto un importante risultato alle elezioni in Andalusia di domenica – delle critiche subite per essere andato a Cuba a parlare con Fidel Castro, ma anche della situazione in Italia, tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, sul quale ha detto:
Non dirò una parola contro di lui. Oggi sarebbe facile, ma ho lavorato bene con Berlusconi. Mi stupisce soltanto che sia ancora lì a far politica.
Nel suo libro ha accennato a quello che successe all’Italia al G20 di Cannes, perché le sono rimasti impressi quei giorni?
Non dimenticherò mai quello che ho visto in Francia. Andai con il timore che potessimo essere nel mirino dei sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia.
Cosa successe?
Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi. Loro non cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò strano.
Monti poco dopo divenne premier e Berlusconi parla di golpe.
Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo. Era vero che l’Italia aveva problemi finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una nazione. È un caso che va studiato.
Lei divenne un mito per la sinistra italiana. Se ne rese conto?
Sì, ho anche visto Viva Zapatero, il film della Guzzanti. Diventai popolare per il ritiro delle truppe in Iraq e per l’allargamento dei diritti sociali. Le chiamarono leggi sexy, ma matrimoni gay, aborto, diritti delle donne sono conquiste democratiche talmente radicate che la destra non le ha cancellate. Ho lottato per ottenerle, i vescovi mi chiamavano relativista, un modo gentile di dire eretico.