La questione Dolce e Gabbana passerà?
No, spiega il New York Times, che però nota come i direttori dei giornali di moda non vogliano rischiare di esporsi sulle critiche alle famiglie gay di Stefano Gabbana, grande inserzionista
Domenica scorsa è iniziata una polemica pubblica intorno a una cosa detta dallo stilista Domenica Dolce (fondatore del marchio Dolce&Gabbana insieme a Domenico Dolce) sulle coppie gay e i figli. Dolce aveva difeso la famiglia tradizionale in un’intervista al settimanale Panorama uscita due giorni prima, e il cantante Elton John aveva commentato severamente quella risposta e annunciato di voler boicottare i prodotti di Dolce&Gabbana.
Come osate chiamare i miei bellissimi bambini “sintetici”. E vergognatevi di alzare le vostre piccole dita per giudicare la FIVET [la tecnica di fecondazione assistita che prevede la fecondazione dell’ovulo fuori dal corpo della donna e il successivo trasferimento dell’embrione nell’utero] – un miracolo che ha permesso a una moltitudine di persone amorevoli, sia etero che gay, di realizzare il proprio sogno di avere dei figli. Le vostre idee arcaiche non sono al passo coi tempi, esattamente come i vostri vestiti. Non vestirò mai più Dolce & Gabbana. #BoycottDolceGabbana
Dolce e Gabbana sono tra gli stilisti italiani più famosi nel mondo: sono entrambi omosessuali, e in passato per circa venti anni hanno avuto una relazione sentimentale. Elton John e il suo compagno David Furnish sono sposati dal 2014, ma già nel 2005 avevano stipulato un contratto di unione civile. Hanno due figli, Zachary e Elijah, concepiti con la fecondazione assistita. In un passaggio dell’intervista a Panorama, Dolce aveva detto:
Non l’abbiamo inventata mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni.
La polemica e le discussioni sono proseguite dopo l’intervento di Elton John e hanno coinvolto diversi altri personaggi famosi del mondo della musica e dello spettacolo (Madonna su Instagram, per esempio). Non si tratta di una polemica come un’altra intorno a una frase discutibile o ai temi legati alle coppie omosessuali: perché riguarda non solo rapporti e relazioni umane molto intensi tra il mondo della moda e quello della musica e delle celebrities in genere, ma anche l’immagine di un brand che opera in un campo in cui l’immagine è rilevantissima e in cui questi temi sono molto sentiti.
Qualcuno ha paragonato le reazioni alle frasi di Gabbana e le potenziali conseguenze sul lavoro di Dolce e Gabbana a quello che successe con l’opinione espressa a suo tempo da Guido Barilla sulle famiglie omosessuali e le complicazioni che ne vennero per la sua società alimentare, che richiesero interventi e correzioni strategiche. Ma in quel caso le proteste e le minacce di boicottaggio non vennero dagli ambienti più vicini a quell’impresa, dai suoi testimonial reali e potenziali, mentre per Dolce e Gabbana le cose dette nell’intervista a Panorama potrebbero pesare più in termini di convivenza e rapporti con gli addetti ai lavori del loro business che non con il mercato in generale (il direttore del magazine pubblicato da Dolce e Gabbana si è dimesso dopo l’intervista a Panorama). L’anno scorso, su temi simili, imprese e addetti del mondo della moda avevano promosso un esteso boicottaggio degli alberghi di proprietà del sultano del Brunei (tra i quali alberghi c’è il Principe di Savoia di Milano), paese che stava discutendo leggi molto severe contro l’omosessualità.
Di un aspetto particolare di questo fronte della polemica parla un articolo sul New York Times di mercoledì scorso: ovvero dell’apparente ritrosia dei direttori dei giornali di moda a prendervi parte, suggerendo che questo abbia a che fare con lo scivoloso rapporto tra giornali e inserzionisti, rapporto che nel caso della moda è particolarmente intenso e confuso (Dolce e Gabbana furono protagonisti anni fa di un memorabile litigio con il quotidiano Sole 24 Ore fatto di critiche e di taglio dei finanziamenti pubblicitari). Nel caso degli alberghi boicottati nel 2014 la protesta contro l’omofobia aveva coinvolto molti giornalisti e direttori abituati a frequentare quegli alberghi; questa volta le cose sono diverse, scrive il New York Times.
La differenza stavolta è quello che pare un tacito riconoscimento del potere che un grande inserzionista detiene nel mondo editoriale: nessun direttore di un giornale di moda contattato per questo articolo ha voluto commentare né essere intervistato sul boicottaggio proposto; nemmeno Anna Wintour di Vogue, che sulla questione del Brunei prese una posizione pubblica molto forte, vietando ai dipendenti di Vogue di stare in quegli alberghi e incoraggiando gli altri dirigenti di Condé Nast a fare lo stesso.
Questa volta, insieme a Wintour, non hanno voluto parlare né Cindi Leive, direttrice di Glamour, né Roberta Myers, direttrice di Elle, né Ariel Foxman, direttore di InStyle apertamente gay (e sposato di recente).
Altre persone coinvolte nel business della moda interpellate dal New York Times hanno invece espresso più apertamente la loro opinione che questa polemica non si scioglierà tanto rapidamente e graverà nello stretto rapporto di Dolce e Gabbana con i molti personaggi famosi che hanno spesso esibito i loro vestiti in occasioni pubbliche, eventi, e apparizioni strafotografate (lo stesso sostiene Tom Telcholz su Forbes).
Adesso tutte queste persone stanno venendo raggiunte dalle organizzazioni per i diritti degli omosessuali e dai loro uffici di comunicazione. “Alla prossima annuale Media Awards Saturday Night ci saranno un sacco di ospiti e diremo a tutti loro che preferiamo non indossino capi di Dolce&Gabbana”, ha detto Sarah Kate Ellis di Glaad, organizzazione per i diritti gay. Simon Halls, fondatore dell’agenzia di pubbliche relazioni dello spettacolo Slate PR, dice: “Non credo che questa cosa passerà. Penso che la gente li costringerà ad affrontarla. Parliamo di famiglie. Di bambini”. Halls è lui stesso padre di un figlio ottenuto con la fecondazione in vitro insieme a suo marito, l’attore Matt Bomer.
Nel frattempo una nuova questione è nata intorno a una pubblicità americana di Dolce&Gabbana accusata di alludere a una violenza sessuale di gruppo nei confronti di una donna. E secondo altri pareri ascoltati dal New York Times, Dolce e Gabbana potrebbero trovarsi a rispondere oggi di un atteggiamento vissuto da molti loro interlocutori come spesso prepotente e aggressivo negli anni passati: “è una questione di debiti da pagare”, dice Lynn Hirschberg, direttrice della rivista W.