Ma allora la Tunisia è pericolosa?
È ancora il paese più stabile uscito dalle "primavere arabe", ma i pericoli del terrorismo islamico - comunque si chiarisca l'attacco di ieri - la riguardano
Fino all’attacco di ieri a Tunisi, la Tunisia era considerata il paese con il sistema più democratico e stabile di tutto il mondo arabo, l’unico dove le cosiddette “primavere arabe” avevano avuto successo. Fino al gennaio del 2011 la Tunisia era governata dal presidente Zine El Abidine Ben Ali, che aveva instaurato un regime autoritario e laico. Negli ultimi quattro anni, dopo l’allontanamento di Ben Ali, la Tunisia ha avuto diverse crisi politiche, alcune molto gravi, ma i governi che si sono succeduti sono riusciti a riportare la stabilità necessaria per scrivere una nuova Costituzione e per tenere elezioni presidenziali libere. L’attacco terroristico di mercoledì al Parlamento e al Museo del Bardo di Tunisi ha però mostrato che anche la Tunisia è un paese a rischio per quanto riguarda la presenza e l’azione di gruppi terroristici, che siano o meno legati al terrorismo internazionale.
La Tunisia è un modello per i paesi arabi?
Dopo l’allontanamento dal potere di Ben Ali, che aveva governato in senso autoritario per 24 anni consecutivi, in Tunisia era cominciata una difficile transizione verso un sistema democratico. Fin dall’inizio la versione tunisina delle “primavere arabe” era considerata la più riuscita: il suo governo post-rivoluzionario, guidato dal partito islamista Ennahda vincitore delle elezioni nell’ottobre 2011, era stabile, moderato e schierato con l’Occidente. La prima grande crisi politica era cominciata con l’omicidio di Chokri Belaïd, uno dei leader della coalizione di sinistra all’opposizione. La crisi si era aggravata con l’omicidio di Mohamed Brahmi, fondatore di uno dei partiti laici del paese, il 25 luglio del 2013. Ennahda era stato considerato da alcuni come il “mandante morale” dell’omicidio di Belaïd, accusato di avere contribuito ad aumentare le tensioni tra islamisti e opposizioni laiche insistendo sull’inserimento di leggi ispirate alla sharia nell’ordinamento statale.
La crisi era finita nel gennaio del 2014, quando era stata approvata la nuova Costituzione e il Parlamento aveva votato la fiducia a un nuovo governo. Entrambi gli accordi erano il risultato di un accordo tra islamisti e laici. Nel dicembre del 2014 si erano tenute anche le elezioni presidenziali, vinte dal candidato laico Beji Caid Essebsi. La Tunisia era considerata di nuovo un esempio per tutti gli altri paesi arabi del Nord Africa e Medio Oriente: il settimanale Economist, condividendo l’entusiasmo di molti, aveva scelto la Tunisia come il “paese dell’anno”, perché “il pragmatismo e la moderazione della Tunisia hanno dato speranza a una regione disgraziata e a un mondo inquieto”. Nel frattempo in Tunisia succedevano però anche altre cose: alcuni cominciavano a definire quella tunisina una “rivoluzione incompiuta“, a causa di diffusi problemi di sicurezza, crescenti difficoltà economiche e violazioni dei diritti umani. Inoltre, la democrazia tunisina aveva permesso una nuova libertà di movimento e di espressione a coloro che cercavano di reclutare nuovi militanti nei piccoli gruppi estremisti e jihadisti che agivano nel paese e che erano stati duramente soppressi durante l’autoritarismo di Ben Ali.
L’estremismo islamico in Tunisia, da dove arriva
Nonostante l’attentato non sia stato ancora rivendicato da alcun gruppo, analisti ed esperti di politica del Nord Africa parlano da ieri di “estremismo islamico”, che è anche l’ipotesi più credibile finora. In Tunisia agiscono vari gruppi estremisti islamisti, in particolare di ispirazione salafita, una scuola dell’Islam sunnita considerata molto radicale. Il problema dell’estremismo islamista era stato molto ridimensionato dal governo tunisino, per paura che il settore del turismo, che vale circa il 12 per cento del PIL nazionale, ne risentisse. Il ministro del Turismo tunisino, Selma Alluni Rekik, aveva detto martedì all’agenzia ANSA che in Tunisia non c’era alcun rischio legato al terrorismo e che i video di minaccia al paese diffusi online erano falsi: «I nostri confini sono assolutamente impermeabili a qualsiasi tentativo di infiltrazione [terroristica]».
Il problema del terrorismo è però noto al governo tunisino da tempo. L’esercito, per esempio, compie con una certa frequenza operazioni di rastrellamento contro piccoli gruppi jihadisti nelle aree periferiche di diverse città del paese e in quelle montagnose, soprattutto al confine con l’Algeria. Il gruppo estremista più forte in Tunisia, scrive Liberation, è la brigata Akba Ibn Nafaa, che fa riferimento ad al Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM, un gruppo legato ad al Qaida). Al momento dell’inizio dell’attacco a Tunisi, il Parlamento stava discutendo una nuova legge anti-terrorismo, pensata per dare più potere alle forze di sicurezza nel contrastare le attività dei gruppi estremisti. In sintesi, quello della sicurezza era considerato uno dei temi più importanti di cui continuare ad occuparsi (per avere un’idea, il sito Inkifada ha messo insieme in un articolo interattivo tutti gli scontri tra forze di sicurezza tunisine e gruppi armati, gli attentati e gli omicidi politici dal gennaio 2011 ad oggi).
Cosa c’entra lo Stato Islamico (ISIS)?
Negli ultimi mesi la stampa di tutto il mondo, anche quella italiana, ha parlato dell’estremismo in Tunisia facendo riferimento allo Stato Islamico (o ISIS): sulla base dei dati di alcuni centri specializzati di estremismi – tra cui il Centro Internazionale per gli Studi sul Radicalismo e il Soufan Group – negli ultimi tre anni la Tunisia è il paese da cui è arrivato il numero maggiore di combattenti stranieri che sono andati a combattere in Siria. Già dall’inizio del 2012 lo schieramento dei ribelli nella guerra in Siria è stato formato da diversi gruppi e fazioni, molti dei quali molto radicali e composti soprattutto da stranieri. Tra i tunisini arrivati in Siria – circa 3mila, anche se ci sono stime più alte – molti si sono uniti all’ISIS.
La situazione è peggiorata da quando alcuni gruppi estremisti della Libia – paese che confina a ovest con la Tunisia – hanno dichiarato fedeltà all’ISIS. Non si conosce con precisione il numero dei tunisini che si sono affiliati all’ISIS libico, ma si sa che ci sono. Sabato scorso, per esempio, nella città libica di Sirte è stato ucciso il comandante dell’ISIS Ahmed al Rouissi, conosciuto anche con il nome “Abi Zaccaria al Tunisi”. Roussi era ricercato in Tunisia con l’accusa di essere stato il mandante degli omicidi dei due importanti politici tunisini, Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi, uccisi rispettivamente nel febbraio e nel luglio del 2013. I due omicidi avevano provocato la più grave crisi politica in Tunisia dalla fine del regime di Ben Ali. Roussi era anche uno dei capi di Ansar al Sharia, gruppo radicale salafita presente da tempo in Tunisia. A riguardo, Daniele Raineri ha scritto sul Foglio: «Se la leadership dello Stato Islamico ha cooptato i leader tunisini, c’è una ragione in più per temere che l’esperimento democratico e islamico tunisino sia sotto attacco dei jihadisti che lo considerano come una blasfemia “da riparare”».
nella foto: Saif Eddine Errais, portavoce del gruppo radicale Ansar al Sharia, durante una conferenza stampa in una moschea vicino a Tunisi. (AP Photo/Amine Landoulsi)