C’è un nuovo sviluppo nel caso Willingham
Il procuratore che ottenne una delle più discusse condanne a morte degli anni recenti è stato accusato di aver forzato segretamente una testimonianza
Negli Stati Uniti si riparla da mercoledì sera del caso Willingham: è una delle storie più drammatiche e discusse legate all’esecuzione della pena di morte per un uomo sulla cui colpevolezza sono successivamente nati moltissimi dubbi. Lo State Bar of Texas, l’agenzia che si occupa di verificare l’idoneità e i requisiti di chi lavora nei tribunali del Texas, ha avviato un’indagine disciplinare nei confronti di John H. Jackson – uno dei pubblici ministeri che seguì il caso di Cameron Todd Willingham – accusandolo di non avere rivelato alla difesa un accordo con uno dei testimoni durante il processo che portò alla condanna di Willingham.
Nel 1992 il testimone disse che Willingham gli aveva confessato di essere stato l’autore dell’omicidio delle sue tre figlie in seguito al rogo della sua casa avvenuto nel 1991. Durante il processo disse di avere raccolto questa testimonianza mentre si trovava in carcere con Willingham che era in attesa di processo. Il testimone diede elementi fondamentali per consentire a Jackson di ottenere la condanna a morte dell’imputato.
Secondo una commissione dello State Bar, Jackson offrì al testimone un “trattamento di favore” in cambio della sua testimonianza, ma non fece mai sapere nulla agli avvocati della difesa, che avrebbero potuto usare quel dettaglio per smontare l’attendibilità della testimonianza: testimonianza che in seguito fu inoltre ritrattata. L’agenzia non ha il potere per chiedere il carcere per Jackson, ma ha comunque la possibilità di emettere un richiamo formale per il pubblico ministero, sospenderne le attività o farlo radiare. La commissione incaricata di esaminare il caso sentirà Jackson e probabilmente altri testimoni nel corso di una serie di audizioni, per le quali non è stata ancora fissata una data. Non è chiaro se eventuali azioni disciplinari nei suoi confronti potranno avere conseguenze sui processi già celebrati contro Willingham.
Il caso Willingham divenne conosciuto in tutto il mondo nel 2009 in seguito a una lunga inchiesta giornalistica del New Yorker, che raccontò molte cose dell’incidente e di come fu gestito il caso giudiziario.
Il 23 dicembre del 1991 la casa di Cameron Todd Willingham, a Corsicana, in Texas, era andata a fuoco. L’uomo disse di essere stato svegliato dalle urla di una delle sue tre figlie e di aver provato a salvarle, ma che fu costretto ad uscire dalla casa per il fumo e il fuoco. I pompieri non riuscirono a salvare in tempo le bambine, che morirono tutte. Le perizie successive esclusero che si potesse trattare di un incidente: Willingham fu accusato di aver appiccato l’incendio per avere i soldi dell’assicurazione e venne condannato a morte nel 1992, complice il suo rifiuto di dichiararsi colpevole. Poco prima della sua esecuzione, nuovi pareri di esperti su come era stata effettuata la prima perizia mostrarono pesanti errori da parte di chi aveva svolto le indagini soprattutto negli studi sulle dinamiche dello sviluppo di un incendio – ma i nuovi elementi non vennero presi in considerazione e Willingham venne ucciso il 16 febbraio 2004.
Il suo caso è spesso citato nei dibattiti sui rischi di errore con la pena di morte. Un’altra ragione della permanente attualità del caso Willingham è che uno dei protagonisti della vicenda fu il governatore del Texas Rick Perry – in carica dal 2000 e rieletto ancora nel novembre 2010 – perché a pochi giorni dall’esecuzione di Willingham rifiutò di rimandarla di 30 giorni per analizzare le nuove perizie sul rogo: e secondo alcuni ostacolò la commissione che doveva rivedere il caso. Perry è un grande sostenitore della pena capitale e di lui si parla di nuovo rispetto a un’eventuale candidatura a presidente degli Stati Uniti, dopo quella del 2012 (quando fu sconfitto da Romney alle primarie).