Quattro anni di guerra in Siria
Breve storia del conflitto cominciato il 15 marzo del 2011 - come è cambiato, chi ci combatte - e che ancora oggi non si ha idea di come fermare
Il 15 marzo del 2011 migliaia di persone scesero per le strade di Damasco e Aleppo, in Siria, in una delle prime grandi manifestazioni del paese contro il regime del presidente siriano alauita Bashar al Assad (gli alauiti sono un gruppo religioso musulmano affine agli sciiti). Il governo cercò di reprimere le proteste con la forza, senza successo. Cominciò una guerra civile che fu “siriana” solo per pochi mesi: molto presto arrivarono i primi “foreign fighters”, i combattenti stranieri, per combattere soprattutto al fianco dei ribelli. La guerra, che è diventata sempre più violenta di anno in anno, ha provocato la morte di oltre 200mila siriani. Molte città della Siria oggi sono distrutte e l’elettricità manca per buona parte del giorno.
L’inizio delle rivolte contro Assad
Il 6 marzo del 2011 a Dar’a, una città a maggioranza sunnita nel sud della Siria, un gruppo di ragazzi dai 13 ai 16 anni scrisse alcuni graffiti sul muro di una scuola. Uno diceva: “Il popolo vuole rovesciare il regime”; un altro “È il tuo turno, dottore”, che era un messaggio rivolto al presidente Assad, laureato in oftalmologia. Il giorno dopo la scuola era piena di poliziotti e agenti dei servizi di sicurezza. Uno a uno, una decina di ragazzi furono arrestati. La polizia andò a prelevarli direttamente a casa loro. Gli ufficiali promisero che i ragazzi sarebbero stati trattenuti soltanto per poche ore, ma le cose andarono diversamente.
I ragazzi di Dar’a non furono i soli a essere trattenuti dalla polizia senza che venissero date notizie alle famiglie: in tutta la Siria migliaia di persone non sapevano nulla dei loro figli, fratelli o sorelle arrestati. Da metà gennaio si trasmettevano anche in Siria le immagini delle cosiddette “primavere arabe” e dei successi che avevano ottenuto per esempio in Tunisia, e poi in Egitto. Il 15 marzo, per la prima volta da molti anni, migliaia di persone in tutta la Siria decisero di protestare contro il regime di Assad, accusato di governare in maniera autoritaria e di non garantire certi standard economici nel paese. Nei giorni seguenti furono organizzate altre proteste e l’esercito rispose con la violenza. Nel nord della Siria, alcuni manifestanti cominciarono ad assaltare le caserme e a impossessarsi delle armi. Costretti a sparare sulla folla, alcuni soldati siriani cominciarono a disertare e si unirono ai manifestanti. Il 29 luglio, quattro mesi dopo le prime proteste, un gruppo di ufficiali disertori proclamò la nascita dell’Esercito Libero Siriano (la “Free Syrian Army”, FSA). Le manifestazioni contro il regime si erano trasformate in una guerra civile.
Una mappa delle divisioni etnico religiose della Siria (si ingrandisce con un clic)
La “guerra per procura”
Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 la guerra diventò sempre più violenta: i ribelli ottennero l’appoggio dei disertori dell’esercito siriano e i finanziamenti di alcuni paesi arabi con cui cominciarono a comprare armi sempre più sofisticate. Le forze del regime fecero un ricorso sempre più massiccio agli armamenti pesanti, in particolare durante l’assedio di Homs, una grande città nel centro della Siria considerata dai ribelli la “capitale della rivolta”. A luglio gli scontri si intensificarono anche a Damasco, la capitale del paese.
Nel frattempo, soprattutto nello schieramento dei ribelli, si stavano verificando importanti cambiamenti: per esempio cominciarono ad arrivare sempre più combattenti stranieri, molti dei quali con alle spalle già un’esperienza militare. Alcuni di loro si arruolarono nella FSA, mentre altri fondarono brigate e bande autonome. Tra loro c’era un gruppo di combattimenti che arrivava dall’Iraq e che aveva combattuto insieme a Abu Musab al Zarqawi, capo di al Qaida in Iraq: loro, insieme ad altri miliziani, formarono il 23 gennaio 2012 il Fronte al Nusra, un gruppo molto estremista, unico “rappresentante” di al Qaida in Siria. Inizialmente le forze più laiche della FSA accettarono di combattere accanto ad al Nusra e protestarono contro la decisione degli Stati Uniti di inserire il gruppo nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Col passare del tempo, al Nusra si dimostrò più abile dei ribelli alleati a raccogliere fondi all’estero e ad attrarre volontari, e i rapporti tra i due gruppi cominciarono a peggiorare. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 molti esperti cominciarono a parlare della guerra siriana come di una “guerra per procura”: tramite gruppi di miliziani locali, in Siria erano entrati in competizione i paesi arabi sunniti, alcuni dei quali direttamente finanziatori dei ribelli, e i paesi (l’Iran) e i gruppi (Hezbollah) sciiti della regione, che appoggiavano Assad.
La nascita dell’ISIS e dello Stato Islamico
Nei primi mesi del 2013 il regime siriano cominciò a guadagnare terreno – soprattutto nei confronti della FSA – e nel frattempo ci si preparava a una scissione nel campo jihadista, con gli scontri sempre più frequenti tra leadership siriana e i miliziani di ISI (Stato Islamico dell’Iraq), guidati da Abu Bakr al Baghdadi. Nell’aprile del 2013 al Baghdadi proclamò la nascita dell’ISIS, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante: i rapporti diventarono sempre più tesi, fino alla divisione definitiva nel febbraio del 2014. Nell’estate del 2010 l’ISIS cominciò una serie di attacchi soprattutto in Iraq occidentale e riuscì a conquistare moltissimi territori. A giugno al Baghdadi annunciò la nascita di un nuovo Stato Islamico di cui si autoproclamò califfo.
La situazione oggi
All’inizio del 2015 le due forze principali in Siria sono rimaste il regime di Assad e l’ISIS. Il regime controlla la gran parte delle aree costiere del paese, a maggioranza alauita o cristiana, oltre alla capitale Damasco e gran parte del sud del paese (un’area che comprenda circa il 60 per cento degli abitanti della Siria). L’ISIS controlla circa un terzo del paese nella parte nord-orientale e ha stabilito la sua capitale a Raqqa. In questa zona si trovano le principali installazioni petrolifere siriane che hanno garantito al gruppo un costante afflusso di denaro. La FSA controlla oramai soltanto una piccola area nel nord-ovest della Siria, intorno alla città di Aleppo, e un’altra a sud, intorno alla città di Dar’a (qui c’è una mappa che indica chi controlla cosa, aggiornata al primo marzo). Dall’offensiva compiuta dall’ISIS nell’estate del 2014 sembra che la situazione si sia bloccata e che nessuna forza sia al momento in grado di interrompere lo stallo. Lo scorso ottobre l’ISIS ha cercato di conquistare la città di Kobane, controllata da curdi siriani, ma l’attacco è fallito e i miliziani dell’ISIS hanno subito perdite notevoli di uomini e materiale.
La coalizione internazionale
Dallo scorso settembre una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti ha cominciato ad attaccare l’ISIS in varie parti della Siria. Gli attacchi si sono focalizzati intorno a Kobane, per via dell’alta concentrazione di uomini e mezzi dello Stato Islamico, ma sono state colpite anche la capitale Raqqa e le installazione petrolifere catturate dal gruppo. Ottenere risultati determinanti soltanto con gli attacchi aerei è però molto complicato, anche perché gli Stati Uniti non hanno truppe schierate a terra che possono aiutare i piloti a identificare e colpire i bersagli. Per sopperire alla mancanza di truppe di terra, il governo americano in Iraq si è appoggiato alle milizie curde e all’esercito regolare iracheno. In Siria, però, le forze laiche non sembrano abbastanza affidabili per svolgere lo stesso ruolo. Domenica 15 marzo, per la prima volta, il segretario di Stato John Kerry ha dichiarato che gli Stati Uniti intendono trattare con Assad per trovare una soluzione alla guerra. Fino ad allora, la condizione per ogni negoziato, era che Assad accettasse di abbandonare il potere.