La volta che Mercedes copiò un pesce per fare un’auto
Negli anni Duemila realizzò un prototipo basato sull'affascinante formea del pesce scatola, ma i progettisti fraintesero tutto e fu un fallimento
di Jake Buehler - Slate
Negli anni Novanta Mercedes Benz voleva progettare un’automobile. Ma non una macchina qualsiasi. Mercedes Benz cercò di progettare un veicolo che fosse allo stesso tempo aerodinamico, sicuro, efficiente e manovrabile: per raggiungere questi obiettivi, cercò di ispirarsi alla natura. Dopo molte ricerche, la società decise di prendere come modello il pesce scatola, un piccolo pesce della barriera corallina tropicale. A differenza di praticamente tutti gli altri animali dotati di pinne, il pesce scatola è interamente racchiuso in un guscio osseo quadrato o triangolare, leggero, rigido – chiamato anche carapace – che deriva da moltissime piccole placche fuse assieme, e sembra quasi un nido d’ape che ha incrociato lo sguardo di Medusa.
In particolare gli ingegneri si interessarono alla forma del carapace del pesce scatola, poiché pensarono avesse caratteristiche aerodinamiche impressionanti. Notarono che il corpo del pesce scatola, nonostante sia un ampio blocco arrotondato (convenientemente simile a quello di un’automobile), poneva pochissima resistenza. Inoltre, il carapace aveva teoricamente un’unica innata proprietà di auto-stabilizzazione, che dirigeva la corrente d’acqua in modo da mantenere il pesce scatola in rotta nonostante le onde tumultuose. Questa miracolosa combinazione – corpo spazioso, bassa resistenza e alta stabilità – rendeva il pesce scatola una scelta perfetta come modello, e il team di progettisti si mise al lavoro adottando la sua strana forma come base per la lavorazione dei contorni del nuovo veicolo.
Nel 2005 Mercedes Benz presentò quindi Bionic, un prototipo di autovettura ispirata al pesce scatola. L’elegante debutto del veicolo ricevette grande attenzione. Sul serio. Le persone parlarono di questa macchina, per molti anni. La strana auto a forma di pesce di Mercedes Benz fu considerata una rivoluzionaria applicazione del concetto di bionica, nel quale la tecnologia si basa e viene modellata sul mondo biologico. Bionic fu considerata generalmente come il simbolo del potere della collaborazione tra biologia, ingegneria e design, e un esempio dell’utilità di creare direttamente dalle invenzioni già modellate da milioni di anni di evoluzione.
Tuttavia pare che Mercedes Benz abbia completamente frainteso il pesce scatola. Secondo un recente articolo pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface, la società avrebbe interpretato male il profilo idrodinamico del pesce e quindi anche quello del prototipo Bionic. Gli autori dell’articolo, ricercatori dell’Università di Anversa in Belgio, dell’Università di Groningen nei Paesi Bassi, e della UCLA, sostengono che la forma del corpo del pesce scatola non primeggi particolarmente nella riduzione della resistenza. Non solo: quella forma causa instabilità durante la nuotata, invece che minimizzarla. Questo contraddice completamente l’intera premessa del prototipo di Mercedes Benz.
I ricercatori hanno dimostrato l’errore risolvendo “il paradosso della nuotata del pesce scatola”. Il paradosso si trova nel conflitto tra la teoria corrente, influenzata dalla forma del corpo del pesce scatola, e i bisogni giornalieri di un pesce che vive in un sistema come quello della barriera corallina. Si era pensato che la forma del corpo, modellata dal carapace osseo, funzionasse come stabilizzatore incorporato. Se sei un pesce scatola e ricevi una spinta tale da farti impennare a un certo angolo, si pensa che i vortici che si formano intorno ai tuoi lati ti riporteranno sul percorso che stavi seguendo prima. Ma se ricevi una spinta laterale? Si forma un ulteriore vortice lungo il tuo corpo e, dopo esserti riallineato, tutto torna a posto. Il fenomeno è conosciuto come “alzata da vortice”, lo stesso meccanismo che permette ai jet da guerra di assumere inclinazioni spettacolari senza che si verifichino incidenti durante il volo.
Questo meccanismo di adattamento diventa però un problema se vuoi fare una curva di tua spontanea volontà. Sempre, in qualsiasi caso. Girare è, per definizione, una deviazione da un percorso dritto: precisamente l’azione che dovrebbe essere vanificata dalle caratteristiche idrodinamiche del vostro corpo meraviglioso e quadrato. Teoricamente quindi se il meccanismo di stabilizzazione fosse sufficiente, diventereste un treno legato ai suoi binari, intrappolato lungo un percorso lineare, dove una deviazione da quest’ultimo richiederebbe un grandissimo utilizzo di energia.
Questo non è un modo realistico di vivere per un animale, figuriamoci un qualsiasi pesce, dato il suo ambiente tridimensionale. È impensabile soprattutto se si prende in considerazione la realtà ecologica e comportamentale di un pesce scatola. I pesci scatola riescono a nuotare girandosi nel caos della barriera corallina dove vivono. Lo fanno frequentemente e lo fanno veramente bene. I pesci scatola passano i loro giorni a volteggiare nel complesso habitat della barriera, pieno di fessure strette e cavità tra i rami di corallo, necessitando quindi di una grande abilità di manovra. Un pesce scatola cambia direzione in un attimo al primo segno di pericolo e si barrica sapientemente nella protezione data dai coralli. La discrepanza tra quello che vediamo in natura e quello che troviamo nei dati di fluidodinamica è il cuore di questo paradosso. Il pesce scatola è in qualche modo contemporaneamente il più agile pesce della barriera corallina e ha la stessa facilità di girarsi di una ruota bloccata dalle ganasce. È allo stesso tempo un cavallo da giostra e un cavallo selvatico imbizzarrito. Un aereo di linea e un jet da guerra. Per quanto sembri impossibile, gli studi dicono che il pesce scatola ha allo stesso tempo un’alta manovrabilità, ma viene continuamente sballottato da una parte all’altra.
Gli autori di questo studio hanno deciso quindi che fosse necessaria una nuova valutazione del carapace del pesce scatola. Farsi un’idea accurata di come le forze fluide si comportano su questo pesce richiederebbe due approcci separati: l’esecuzione di simulazioni numeriche con computer ad alte prestazioni (un ramo della meccanica dei fluidi noto anche come fluidodinamica computazionale) e l’attenta raccolta di dati di test condotti in una vasca di corrente. L’ultimo metodo non ha richiesto il mettere veramente dei pesci scatola vivi in un equivalente acquatico di una galleria del vento: i ricercatori hanno creato modelli con stampanti 3D molto realistici, basati sulle misure prese con una scansione laser di due esemplari di pesce scatola preservati in un museo (il pesce scatola giallo più rettangolare, Ostracion cubicus, e il più triangolare pesce cofano, Rhinesomus triqueter).
Il team di ricerca ha messo questi modelli in sospensione nella vasca di corrente con aste e piattaforme in acciaio e ha misurato la forza esercitata contro i sensori attaccati a queste sospensioni. Questo gli ha permesso di determinare di quanta resistenza sia responsabile il carapace del pesce scatola, nonché il preciso equilibrio di forze che agisce sul carapace in acqua. Utilizzando la combinazione degli esperimenti nella vasca di corrente e le simulazioni al computer, i ricercatori sono stati in grado di testare se un capriccio dell’idrodinamica del carapace facesse raddrizzare il pesce scatola e lo facesse girare velocemente a destra, per esempio.
Quindi cos’hanno scoperto? Per cominciare è venuto fuori che il fenomenale pesce scatola a bassa resistenza che Mercedes Benz aveva pensato come modello non è così agile, dopotutto. Tutte e due le specie di pesce scatola hanno prodotto almeno due volte la resistenza dei più normali pesci a forma di pesce. Anzi, la loro performance nella riduzione della resistenza è stata almeno cinque volte inferiore delle più basse stimate. Rispetto a un nuotatore umano, il pesce scatola guizza ancora nell’acqua come un campione, ma paragonato con tutti i Nemo e le Dory della barriera, il pesce scatola si muove più come un armadio attaccato malamente dietro una barca.
Il team di ricerca non è nemmeno riuscito a trovare prova del fatto che il carapace si adatti automaticamente per trovare stabilità. Anzi, è stato osservato il contrario. Sia l’esperimento con la vasca di corrente sia le simulazioni hanno mostrato che i pesci scatola sono in realtà molto instabili e tendono naturalmente a oscillare, ballonzolare e beccheggiare dappertutto mentre nuotano. Invece che auto-correggersi, il carapace sembra favorire la rotazione in direzione della corrente. Le simulazioni al computer non sono nemmeno riuscite a identificare i vortici di corrente che dovrebbero aiutare “l’alzata da vortice” che si pensava portasse il pesce di nuovo su un percorso rettilineo. Basandosi su questo, sembra che l’instabile, traballante, malfermo pesce scatola sarebbe un modello migliore per un costume da bagno più che per una macchina.
Ma quindi come fa il pesce scatola a nuotare? Non dovrebbe passare la sua vita sballottato senza speranza dalle correnti e sbattuto sui coralli a destra e a sinistra come una balla di fieno sottomarina? La risposta è nelle sue piccole insignificanti pinne, in particolare quelle sulla coda e sui suoi fianchi. È probabile che il pesce scatola freni ordinatamente e controlli la sua selvaggia corsa con intenzionali, coordinati e sincronizzati movimenti di pinne. Questo gli dà la stabilità in movimento e grande capacità di manovra. Questo sistema potrebbe funzionare come lo zaino a propulsione che permette a un astronauta di muoversi con estrema precisione in un ambiente senza gravità come una passeggiata nello spazio, coordinando e allo stesso tempo inclinando il suo corpo fluttuante. Studi precedenti hanno dimostrato che queste pinne hanno una notevole influenza sulla locomozione e sull’agilità. Per esempio la coda super flessibile del pesce scatola funziona come un timone, e il pesce può girarsi con sorprendente agilità muovendo la sua coda verso il suo fianco, facendo una sterzata di 180 gradi con un raggio di girata vicino allo zero. Se questa abilità fosse incorporata in un veicolo a ispirazione bionica, sicuramente tutti quelli che odiano i parcheggi a spina di pesce esulterebbero. Un insieme di costanti, piccoli movimenti di nuoto controllato che consentono la padronanza di un corpo instabile sarebbero coerenti con la leggendaria mobilità che ha il pesce scatola in natura.
Questa incredibile nuotata può essere osservata nelle barriere coralline tropicali che questi pesci scatola chiamano case, e ho personalmente avuto il piacere di osservarla in numerose occasioni. Vivo sull’isola di Oahu, nel bellissimo stato delle Hawaii, e ho osservato questi curiosi pesci per il mio dottorato. Qui il più comune esemplare è il pesce scatola maculato (Ostracion meleagris), una specie diffusa in tutte le barriere coralline in profondità degli oceani tropicali Indiano e Pacifico.
Facendo snorkeling non ci vuole molto a trovarli, un po’ perché ce ne sono moltissimi, un po’ perché si raggruppano nelle correnti delle acque poco profonde e poi perché la loro silhouette è inconfondibile. Praticamente ogni singolo pesce coloratissimo della barriera corallina che incontrate alle Hawaii guizza e nuota lungo la barriera, e ciascuno ha la forma di un coltello luccicante o di un proiettile veloce: ma non il pesce scatola, che ha la grazia e l’espressione di un polpettone. I pesce scatola hanno la forma di un mattone ed è per questo che sono così facili da individuare.
Il primo esemplare facile da avvistare tende a essere il maschio adulto, mentre si prende una pausa dalla delicata potatura di piccoli invertebrati dalle rocce e dal corallo e pattuglia con orgoglio il suo territorio, difendendo il suo harem di femmine con le macchie bianche dalle avance dei rivali maschi. Un’occhiata più ravvicinata vi farà notare i colori brillanti, il blu oltremare con macchie bianche sui fianchi, le finiture dorate sulle creste e macchie bianche e nere sui loro carapaci. Ma se vi avvicinate troppo velocemente o da dietro, il pesce scatola cercherà immediato rifugio nella barriera corallina. Uno sprint frenetico gli garantirà un po’ di distanza e, prima che riusciate a reagire, spingerà il freno, girerà dietro un angolo stretto – come una macchina sul ghiaccio – e si immergerà sotto una sporgenza, nascosto agli occhi umani. Sono rimasto a bocca asciutta più volte, beffato dalle incredibili acrobazie di questi pesci.
La storia del paradosso della nuotata del pesce scatola e della Mercedes Benz non deve essere presa come una lezioncina o una condanna della bionica (che è fiorita negli ultimi dieci anni, ispirando progetti come i droni o turbine a vento più efficienti). Al contrario questa storia deve sottolineare l’importanza dei compromessi e dei vincoli fisici nell’evoluzione naturale. Le creature viventi hanno un debito con le leggi della fisica e della chimica, e ogni strategia evolutiva porta con sé inevitabili inconvenienti ed effetti contrari. Per esempio, le ossa leggere degli uccelli aiutano il volo, ma non hanno la stessa potenza e potere portante dei loro antenati. Il percorso evolutivo per migliorare il volo ha portato a sacrificare altre capacità. Il paradosso della nuotata del pesce scatola era visto come tale perché coinvolge un’incredibile violazione di questo concetto di compromessi, che genera uno scenario del tipo “avere la botte piena e la moglie ubriaca”. Teoricamente quindi il pesce scatola sembrava un esempio di stabilità e manovrabilità, nonostante queste capacità dovrebbero scontrarsi una con l’altra. La nuotata e le attitudini del pesce scatola, nonostante l’attrazione sentita dal team ingegneristico del Bionic, erano semplicemente troppo belle per essere vere.
In realtà, abbastanza ironicamente, il pesce scatola ha avuto il più drammatico compromesso evolutivo mai osservato tra i pesci, abbandonando velocità e potere per una serie di strumenti difensivi e un’impareggiabile agilità. Questi pesci sono equipaggiati con dei giubbotti antiproiettile ossei e orrende secrezioni cutanee tossiche che possono rilasciare a piacimento e possono quindi permettersi di nuotare lentamente, senza che nessuno li importuni troppo a lungo. Si tratta di una strategia curiosa, condivisa dai parenti più stretti dei pesci scatola, gli altri pesci della specie dei Tetraodontiformes, un ramo che comprende i pesci palla e i monacantidi. Come gruppo, hanno abbandonato con l’evoluzione tutte le caratteristiche della mobilità dei pesci, scambiando corpi snelli e velocità incredibile con tossine, spine, corpi gonfiabili e armature. Questa collezione di pesci stravaganti (hanno soltanto 50 milioni di anni, il che li rende dei bambini nel grande schema evolutivo dei pesci) ha intrapreso una traiettoria evolutiva che dà un’alternativa all’essere semplicemente un pesce.
Forse l’evoluzione non ha fornito esattamente quello che Mercedes Benz avrebbe voluto per il suo ambizioso progetto biomimetico. Ma la realtà della grandissima manovrabilità dei pesci scatola non è meno incredibile, creata dalla selezione naturale per nuotare competentemente nelle barriere coralline labirintiche. Il pesce scatola non si lamenta dell’assenza di un meccanismo di auto bilanciamento, poiché la sua instabilità è uno dei suoi punti di forza nella barriera: gli consente di girare dove vuole rapidamente, cosa che mi sembra sempre impossibile. Magari il carapace del pesce scatola può ancora trovare un’utilità nella bionica, ma basandoci su quello che sappiamo sulla sua instabilità, forse un buon punto di partenza potrebbero essere le giostre dei lunapark. Forse, un giorno, le terribili tazzine da tè di Disneyland verranno sostituite da giostre a forma degli indesiderati pesci scatola.
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