La teoria di Jeff Wise sul volo MH370
Il giornalista che seguì per Slate la scomparsa del volo Malaysia Airlines si è convinto di una spiegazione incredibile anche per lui: un po' convinto, diciamo
di Andrea Fiorello – @andreafiorello
Un anno dopo la scomparsa nel cielo dell’Asia del volo Malaysia Airlines MH370 – di cui non si hanno notizie dalle 2,40 del 3 marzo 2014, quando i radar persero le tracce dell’aereo circa due ore dopo il decollo da Kuala Lumpur con destinazione Pechino – il giornalista americano Jeff Wise ha pubblicato sul New York Magazine un lungo articolo che racconta la sua personale storia di “esperto” del volo MH370 e gli sviluppi delle teorie su cosa sia successo all’aereo, che lo hanno portato di recente a un’ipotesi che racconta come incredibile e convincente insieme.
Wise è un divulgatore scientifico e pilota privato che al momento della scomparsa del volo MH370 si era già occupato di disastri aerei: nel 2009 la rivista Popular Mechanics aveva pubblicato un suo articolo sull’incidente del volo Air France 447. Viste le sue competenze in materia, Wise fu incaricato dal giornale online Slate di raccontare la sparizione del volo MH370 e un suo primo articolo fu pubblicato il 12 marzo 2014.
Le settimane dopo la scomparsa del volo MH370
Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, l’emittente televisiva statunitense CNN contattò Wise perché prendesse parte alla copertura in diretta del disastro in veste di esperto: Wise racconta che nei giorni successivi – in cui CNN seguì con grande assiduità e concitazione le ricerche – si trovò a essere in TV anche sei volte al giorno, ogni volta per appena un minuto, il tempo di rispondere a una, massimo due domande del conduttore. Gli interventi avvenivano a intervalli regolari e seguivano sempre la stessa procedura: Wise veniva preso dalla sua casa di New York e accompagnato agli studi della CNN da un autista, qui passava attraverso il trucco e i test audio, per poi parlare un minuto, rimuovere il microfono, struccarsi e essere riportato a casa. Per circa sei minuti di domande in onda, retribuiti, Wise faceva 18 ore al giorno di avanti-e-indietro tra casa e CNN. Diventò un ospite regolare dei programmi CNN e con una dozzina di altri esperti prendeva parte a interviste individuali, in coppia o a dibattiti collettivi che spesso affrontavano anche le ipotesi più assurde pur di riempire le ore di programmazione. Wise racconta di aver imparato in quel periodo che ogni nuova discussione nei programmi giornalistici è avviata con la frase “Le fonti ufficiali dicono X”; questa verità ufficiale è poi riassunta dal conduttore, chiarita e ampliata dall’intervento dell’esperto, e ricevuta dagli spettatori.
La copertura giornalistica della scomparsa del volo MH370, però, era molto complicata a causa di due elementi fondamentali: l’evento era tecnicamente complesso e non aveva precedenti simili, inoltre fin dall’inizio le fonti ufficiali si erano dimostrate molto inaffidabili.
(una mappa di Google che riassume teorie, tentativi di ricerca e “piste false” seguite nel corso delle ricerche)
Per dare un’idea, il governo malese cominciò le prime ricerche nel Mar Cinese Meridionale, dove i radar avevano ricevuto l’ultimo segnale dal Boeing 777 della Malaysia Airlines, ma poco dopo aprì un’altra area di ricerca nel Mare delle Andamane, che si trova a 650 chilometri dal luogo della scomparsa. Nei giorni successivi altre nazioni cominciarono a battere il Mar Cinese Meridionale, mentre le fonti ufficiali malesi negavano ogni spiegazione che riguardasse le ricerche nel Mare delle Andamane. Solo una settimana dopo la diffusione di alcune voci, il governo malese confermò di aver saputo fin dal momento della scomparsa che il volo MH370 era stato registrato da un radar militare mentre eseguiva un’inversione a U.
Le ricerche nel Mar Cinese Meridionale e in quello delle Andamane non diedero risultati, ma in quei giorni la compagnia inglese Inmarsat, che si occupa di telecomunicazioni tra navi e aerei, trovò nei suoi database tracce di trasmissioni (dette anche ping, segnale, o handshake, contatto) tra il volo MH370 e i suoi satelliti per le sette ore successive al momento in cui il sistema di comunicazione principale dell’aereo aveva smesso di inviare segnali. Questi ping tra satellite e aereo non contenevano informazioni precise, ma considerando il ritardo tra l’invio e la ricezione del segnale (il BTO, burst timing offset) e la posizione del suo satellite, Inmarsat fu in grado di calcolare una linea a forma di arco entro cui l’aereo si sarebbe dovuto trovare al momento del suo ultimo ping.
L’arco delimitava una distanza di oltre 9500 chilometri e se il Boeing 777 avesse viaggiato alla sua velocità di crociera, al momento del suo ultimo segnale si sarebbe probabilmente trovato agli estremi dell’area: in Kazakistan o Cina viaggiando verso nord, nell’Oceano Indiano se fosse andato a sud.
Una mappa diffusa dal governo malese
Wise racconta che fin da subito la direzione nord gli sembrò la più probabile, ma CNN citò fonti governative statunitensi che dichiaravano che l’aereo era probabilmente andato verso sud e quella divenne presto l’opinione dominante. Le autorità statunitensi motivavano la propria posizione sostenendo che le parti a nord dell’arco includevano zone dell’India o del Pakistan sottoposte a stretta sorveglianza aerea e persino alcune aree dell’Afghanistan presidiate dall’esercito statunitense, circostanze che rendevano improbabile la possibilità che un Boeing 777 avesse sorvolato quei territori senza essere individuato da qualche radar.
Nel frattempo cominciarono a circolare altre teorie, tra cui quella del pilota canadese Chris Goodfellow, secondo cui un incendio a bordo poteva avere messo fuori uso il sistema di comunicazione dell’aereo, che a quel punto avrebbe deviato dalla sua rotta per tentare un atterraggio d’emergenza. Un altro pilota, Keith Ledgerwood, sosteneva invece che l’aereo era stato preso da alcuni dirottatori, che ne avevano poi mascherato il segnale radio viaggiando molto vicini a un altro volo di linea. Su Internet migliaia di persone (compresa la cantante Courtney Love, già moglie del leader dei Nirvana Kurt Cobain) credettero di vedere nelle foto satellitari di ammassi di nuvole o arbusti l’aereo scomparso, finché il 24 marzo il primo ministro malese Najib Razak annunciò che secondo una nuova analisi matematica l’aereo si era diretto verso sud.
Questo nuovo studio si basava sul BFO (burst frequency offset), un altro aspetto dei ping che misura il cambio di lunghezza d’onda nei segnali tra l’aereo e il satellite Inmarsat mentre si muovono reciprocamente. Il fatto che la parte sud dell’arco delineato da Inmarsat si trovasse in pieno oceano Indiano significava che equipaggio e passeggeri del volo MH370 erano certamente già morti. Come fa notare Wise nel suo articolo, quella fu la prima volta nella storia in cui ai familiari di passeggeri scomparsi fu comunicato che dovevano accettare la morte dei propri cari sulla base di una misteriosa equazione matematica. La notizia provocò molta rabbia, tanto che a Pechino l’ambasciata malese fu presa d’assalto da alcuni parenti degli scomparsi.
Sulla base dei calcoli di Inmarsat e della nuova analisi, le autorità australiane che a quel punto guidavano le ricerche delimitarono un’area di circa 320mila chilometri quadrati a ovest di Perth, in Australia. Nei giorni successivi il ritrovamento di vari rottami, che poi si rivelarono semplice spazzatura, avviò una lunga serie di falsi allarmi.
#MH370 exclusive: Blue panel in new debris field – On board the search flight with @BernLagan http://t.co/DxxtvBqwFu pic.twitter.com/XNBBLRaAU8
— The Times Pictures (@TimesPictures) 28 Marzo 2014
Con il passare delle settimane le probabilità di ritrovare il Boeing 777 diventavano sempre meno: le due scatole nere dell’aereo erano dotate di un radiofaro a ultrasuoni che inviava segnali acustici nell’acqua, ma le batterie dei trasmettitori avevano una durata di circa 30 giorni. I rottami e i detriti avrebbero permesso ai ricercatori di individuare l’area in cui l’aereo si era probabilmente schiantato e a quel punto i microfoni sottomarini avrebbero cercato di ricevere i segnali dei radiofari.
Il 4 aprile 2014, a pochi giorni dall’esaurirsi delle batterie, una nave australiana immerse un microfono speciale che captò quattro segnali nell’area delle ricerche. La notizia – scrive Wise – scatenò l’entusiasmo delle autorità e dei media, che già si preparavano alla fine delle ricerche. Wise non era però convinto del ritrovamento perché i segnali erano stati trasmessi su una frequenza sbagliata ed erano troppo distanti tra loro per essere stati inviati da una scatola nera ferma sul fondale oceanico. Nelle due settimane successive Wise fu indicato dai suoi colleghi televisivi come un pessimista che negava l’evidenza, ma quando gli australiani immersero un drone per scandagliare il fondo dell’oceano e non trovarono la fonte dei ping, la situazione raggiunse una fase di stallo. Un mese dopo gli ultimi tentativi, un ufficiale della marina statunitense dichiarò che i segnali ricevuti dalla nave australiana non provenivano dalle scatole nere del volo MH370 e l’opinione pubblica globale smise di occuparsi del caso.
Le ricerche ufficiali, quelle degli appassionati e l’Independent Group
Le ricerche ufficiali furono definitivamente interrotte, ma quelle degli appassionati continuarono su Internet: dalla fine di marzo l’astrofisico Duncan Steel cominciò a pubblicare sul suo sito personale una serie di articoli sul funzionamento del sistema Inmarsat, in cui spiegava che il satellite che aveva comunicato con l’aereo scomparso non era del tutto geostazionario, cioè sempre nella stessa posizione rispetto alla terra, ma ondeggiava leggermente rispetto a essa. I commenti agli scritti di Steel diventarono una specie di forum, dove tutti gli interessati alla scomparsa del volo MH370 si scambiavano informazioni e suggerivano idee. I partecipanti a queste conversazioni – racconta Wise – andavano dal genere serio e competente, a quello ottuso e grossolano; per questo a un certo punto Steel si stancò di ricevere insulti e chiuse i commenti ai suoi articoli, così le discussioni degli appassionati si spostarono sul sito personale di Jeff Wise.
Alcuni scienziati e ingegneri si separarono dalla conversazione generale sul “caso MH370” e fondarono un gruppo chiamato IG (Independent Group, gruppo indipendente), in cui fu incluso anche Wise. Quando nel maggio 2014 le autorità malesi resero pubblici i dati dei satelliti Inmarsat, l’IG cominciò a produrre i primi veri risultati: combinando le informazioni di Inmarsat con altri dati affidabili, il gruppo fu in grado di ricostruire la cronologia delle ultime ore del volo MH370. Quaranta minuti dopo il decollo da Kuala Lumpur, l’aereo aveva interrotto ogni trasmissione elettronica; per l’ora successiva, i radar militari riportavano che il Boeing 777 aveva percorso una rotta a zigzag mantenendo velocità elevate, dopodiché era scomparso anche da questi. Tre minuti dopo aver fatto perdere ogni traccia, l’aereo si era ricollegato con il satellite: questa – scrive Wise – era una scoperta notevole, perché significava che il volo MH370 non era rimasto sempre connesso ai satelliti come tutti invece davano per scontato. La riconnessione aveva inviato il primo handshake con il satellite Inmarsat, cui erano seguiti nelle sei ore successive altri sei handshake, di cui l’ultimo non era stato completato. L’ultimo segnale incompleto alimentò l’idea che l’aereo avesse finito il carburante e quindi perso la connessione col satellite. Questa circostanza doveva avere attivato un sistema supplementare di emergenza che aveva provato a riconnettersi al satellite un momento prima che l’aereo si schiantasse.
(La foto è tratta dal report dell’Independent Group del settembre 2014)
Nonostante i progressi, alcune informazioni decisive come la velocità, la direzione e l’altitudine dell’aereo restavano sconosciute e questo lasciava ancora molto spazio libero a commentatori squinternati o portatori di teorie assurde: poiché il suo sito personale era il principale centro di conversazione sul “caso MH370”, Wise fu molto impegnato a tenere fuori dal dibattito chi portava fuori strada il piano strettamente razionale e basato sui fatti noti.
Nell’ottobre 2014 il gruppo di cui Wise faceva parte ottenne un altro successo: le autorità australiane annunciarono una scansione completa e accurata del fondale oceanico in un’area che includeva anche quella suggerita da uno studio dell’IG. Nonostante l’entusiasmo degli altri membri, Wise non era d’accordo con i risultati elaborati dai suoi colleghi e ad alimentare i suoi dubbi contribuivano l’assenza di rottami dell’aereo e i dati che non coincidevano: perché i BTO e i BFO fossero quelli rilevati dal sistema Inmarsat, l’aereo avrebbe dovuto procedere lentamente e seguendo una rotta curvilinea, mentre il pilota automatico del Boeing 777 lo avrebbe probabilmente fatto volare più veloce e più in direzione sud. Wise cominciò a sospettare che i dati dei BFO fossero stati generati in modo diverso da quello che tutti avevano immaginato fino a quel momento e che quindi l’aereo fosse invece andato a nord. Ad avere dubbi c’era anche Tim Clark – il presidente di Emirates Airlines, la compagnia che opera più Boeing 777 al mondo – il quale in un’intervista al giornale tedesco Der Spiegel disse: “Per ora non abbiamo prove di una sola cosa che suggerisca in maniera categorica che quest’aereo si trovi dove dicono”.
La teoria di Jeff Wise
Wise scrive che per un lungo periodo dovette resistere alla tentazione di pensare che i dati di posizione dell’aereo fossero stati manomessi: una simile operazione di dirottamento avrebbe richiesto un livello di preparazione e competenza tecnica così elevato, che sarebbe stata possibile solo con il coinvolgimento di una nazione o di servizi segreti. Teorie da cospirazione internazionale, insomma.
Eppure Wise cominciò a trovare prove che lo portavano in questa direzione: grazie a un commentatore del suo sito, scoprì che sui Boeing 777 la E/E bay (electronics-and-equipment bay, vano elettronica e attrezzature) è accessibile tramite uno sportello collocato proprio davanti al settore della prima classe. Un’ipotesi azzardata, ma se dei dirottatori fossero arrivati al vano avrebbero potuto modificare i dati BFO delle trasmissioni satellitari. O addirittura prendere il controllo dei comandi dell’aereo. E la manomissione era plausibile: le connessioni satellitari, infatti, erano state disconnesse per tre minuti dopo che i radar militari avevano perso traccia dell’aereo. Per spegnere e riaccendere le connessioni satellitari, sarebbe stato necessario disattivare buona parte dell’impianto elettrico dell’aereo, oppure – cosa meno improbabile – operare alcuni interruttori all’interno della E/E bay. Si tratta di un’operazione da esperti, ma avrebbe permesso di inviare al sistema Inmarsat segnali di posizione che indicavano una rotta diversa da quella reale.
Lo “sportello” di cui parla Wise in un grafico di Reuters
Wise spiega che una manomissione del genere può essere realizzata solo in condizioni molto particolari: l’aereo deve essere di una certa produzione e di un certo modello (un Boeing delle ultime serie, non un Airbus o un Boeing senza sistema di atterraggio automatico); l’equipaggiamento delle comunicazioni satellitari deve essere di una certa marca e modello (Honeywell/Thales, non Raytheon); l’aereo deve percorrere una rotta che parte vicino all’Equatore e va in direzione opposta a un grande specchio d’acqua; infine, la regione in cui l’aereo viaggia deve essere coperta da un satellite Inmarsat a corto di carburante. Tutte queste circostanze, però, si erano verificate nel caso del volo MH370.
Eliminati quindi i falsi dati BFO, tutto il resto portava a una semplice risposta: l’aereo era andato verso nord. Utilizzando solo i dati BTO, Wise ricostruì la rotta del volo MH370 e notò che percorreva le parti meno battute dei confini tra India, Pakistan e Cina. Volare nelle zone di confine è la miglior maniera per non essere notati dai radar, ma per atterrare un Boeing 777 ha bisogno di una lunga pista, quindi Wise cominciò ad analizzare la zona intorno all’ultimo segnale inviato al sistema satellitare, alla ricerca di un luogo in cui l’aereo avrebbe potuto compiere l’atterraggio. L’unico posto adatto a un’operazione del genere sarebbe stato il cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan. Bajkonur è la più vecchia base di lancio del mondo e pur trovandosi in territorio kazako è sotto il controllo dell’agenzia spaziale russa: da qui partirono il primo lancio riuscito di un satellite artificiale (lo Sputnik 1 nel 1957) e il primo lancio verso lo spazio con un uomo a bordo, quello di Yuri Gagarin nel 1961.
Wise sostiene che la pista d’atterraggio Yubileyniy di Bajkonur è l’unica al mondo realizzata apposta per aeromobili dotati di sistemi di atterraggio automatici, perché fu inizialmente progettata per le navette spaziali russe. A Yubileyniy un Boeing 777 – che appunto è dotato di sistemi di atterraggio automatico – avrebbe potuto toccare terra in maniera sicura anche senza un vero e proprio pilota ai comandi: sarebbe stato sufficiente che i dirottatori sapessero come impostare i sistemi automatici dell’aereo. Se il volo MH370 fosse atterrato a Yubileyniy, avrebbe avuto circa novanta minuti prima dell’alba per fare rifornimento e ripartire, o essere nascosto in qualche altro modo.
(la mappa riassuntiva della teoria di Wise, del New York Magazine: si ingrandisce con un clic)
Anche le immagini satellitari dell’area sembravano rendere plausibile l’ipotesi di Wise: il cosmodromo non aveva subito alcun intervento fino a ottobre 2013, ma da allora erano cominciati lavori per lo smantellamento di un grosso edificio e accanto a questo era apparsa un’enorme spianata delimitata da trincee. I lavori erano proseguiti anche in pieno inverno, nonostante le temperature molto fredde, e le dimensioni del piazzale sembravano esattamente pensate per ospitare un Boeing 777. Inoltre, le immagini satellitari di marzo 2014 mostravano che otto giorni dopo la scomparsa del volo MH370 ogni traccia dell’edificio o della spianata era stata completamente rimossa.
Tutti questi elementi portavano a un sospettato: la Russia, che in quel periodo stava compiendo operazioni militari per annettere la Crimea e appoggiava i ribelli nella guerra civile dell’Ucraina dell’est. A rendere ancora più spettacolare questa ipotesi contribuiva il disastro del volo Malaysia Airlines MH17 in Ucraina, del cui abbattimento nel luglio 2014 vennero accusati i ribelli filorussi. Il movente del dirottamento del volo MH370, però, appariva a Wise oscuro oppure molto fantasioso: una prova di forza contro le sanzioni economiche occidentali? Ottenere informazioni segrete da alcuni passeggeri esperti in semiconduttori? Il progetto di un attentato tramite un aereo carico di esplosivo?
Teorie del complotto a parte, Wise scoprì che sul volo MH370 c’erano due passeggeri di Odessa con passaporto ucraino e un russo di Irkutsk, che sedeva in prima classe a cinque metri dalla E/E bay. Wise cominciò a fare ricerche su questi tre uomini – tutti piuttosto robusti a giudicare dalle foto su Internet, credibili come agenti speciali sotto copertura – e le informazioni (o le mancate tali) che ottenne diedero ulteriori basi alla sua teoria: i due ucraini lavoravano per il mobilificio Nika-Mebel di Odessa, un’attività piuttosto oscura, priva d’indirizzo e numero di telefono che accettava solo ordini effettuati sul suo sito web e pagamenti in contanti. Il sito del mobilificio, inoltre, non aveva contenuti precedenti al 2013. Del russo, invece, si sapeva solo che avesse un’azienda di legname a Irkutsk.
Nelle ricerche, Wise – il cui articolo è pieno di commenti tra lo scettico e l’imbarazzato sulla deriva fantastica che andarono prendendo le sue ricerche e le sue ricostruzioni – raggiunse un tale livello di coinvolgimento ed entusiasmo da assumere anche interpreti russi per fare alcune chiamate telefoniche che non ricevettero risposte e pagare una freelance per indagini sul campo. Come ammette nel suo articolo, a quel punto era così preso dalle ricerche da avere abbandonato ogni altra attività: dopo le apparizioni alla CNN, Wise si era immerso in un’attività frenetica che non solo era diventata la sua unica occupazione, ma che gli stava costando anche molto denaro.
Preoccupato dall’idea di essere entrato in un processo di autoconvincimento, in cui era l’unico a credere nella propria teoria, Wise provò a cercare conferme con sua moglie. Una sera, a cena, notando un certo disinteresse di lei verso le sue scoperte sul “caso MH370”, Wise le chiese che percentuale di probabilità ci fosse che la sua teoria fosse fondata. La moglie rispose “Non lo so, il cinque percento?”. In una conversazione più recente, scrive poi Wise, la moglie ha ammesso di avere mentito, quella volta: in realtà pensava zero.
Con l’arrivo della primavera nell’emisfero australe, le ricerche del relitto nell’Oceano Indiano ripresero e le aree delimitate dalle autorità australiane e dall’IG furono battute meticolosamente ma senza successo. A dicembre 2014, visti gli esiti delle ricerche, Wise ritenne che fosse venuto il momento di provare a pubblicare la sua teoria, cosa che fece tramite un documento online di sei pagine intitolato “The Spoof”, la beffa. Lo studio di Wise ottenne una buona visibilità, l’International Business Times lo richiamò in un articolo intitolato “MH370: Russia’s Grand Plan to Provoke World War III, Says Independent Investigator” (MH370: il grande piano della Russia per scatenare la terza guerra mondiale, secondo un investigatore indipendente) ma il maggiore risultato di questa pubblicazione fu allora di calmare l’ossessione di Wise nei confronti della scomparsa del volo MH370. A gennaio del 2015, il governo della Malesia dichiarò di ritenere in modo definitivo che l’aereo si sia schiantato e che tutti gli occupanti siano morti. La motivazione di questa decisione, secondo il ministro dei trasporti malese, è l’assenza di qualunque risultato nelle ricerche.
L’articolo di Wise sul New York Magazine, pubblicato il 23 febbraio scorso, ha invece generato molte reazioni su Internet e sui media internazionali. Improvvisamente, dopo mesi d’isolamento e persino diffidenza da parte di parenti e amici, Wise è tornato al centro dell’attenzione ed è stato invitato da molte televisioni statunitensi e internazionali per dibattere della sua articolata e isolata teoria.
Il secondo articolo di Jeff Wise
Gli effetti pubblici del suo articolo stati raccolti da Wise in un altro pezzo, pubblicato il 6 marzo sempre sul New York Magazine. Wise spiega di non avere mai ottenuto un’approvazione simile in 25 anni di giornalismo: contrariamente alle sue aspettative, che erano invece quelle di essere additato come un visionario. La ragione di quest’accoglienza positiva, secondo Wise, sta nell’evidenza dei fatti: quattro mesi di ricerche nell’oceano non hanno portato nessun risultato, elemento che dà valore alla sua teoria alternativa.
Intanto l’IG lo ha cacciato dal gruppo perché in disaccordo con la teoria maggioritaria e un giornale russo ha scritto che l’autore soffrirebbe di “Putin Derangement Syndrome”, sindrome da alienazione mentale nei confronti del presidente russo Vladimir Puntin: ma le risposte che hanno più interessato Wise sono altre. Alcuni parenti delle vittime lo hanno contattato per informarlo di non avere intenzione di accettare la morte dei propri cari senza basi solide; piloti e progettisti di grandi aziende aeronautiche gli hanno offerto il loro aiuto; mentre altri hanno fornito informazioni ulteriori sui tre passeggeri provenienti da Ucraina e Russia.
Il maggiore contributo alla teoria di Wise è arrivato dall’esperto di aviazione indonesiano Gerry Soejatman, che in un articolo ha spiegato che l’unità che gestisce i dati satellitari sui Boeing 777 è situata proprio vicino ai posti dove si trovavano i due ucraini nel volo MH370 ed è accessibile dalla cabina. Le domande sul piazzale di Yubileyniy, invece, restano senza risposta, per questo Wise si dichiara “agnostico” sul fatto che i lavori di smantellamento realizzati in tutta fretta nell’inverno del 2014 abbiano qualcosa a che fare con la scomparsa dell’aereo Malaysia Airlines.
Il vero proposito dell’articolo sul New York Magazine, conclude Wise per sdrammatizzare e alleggerire l’incredulità potenziale dei lettori, era in realtà quello di provare a sua moglie che non aveva perso otto mesi della sua vita in teorie deliranti. Dopo la pubblicazione, Wise ha rifatto alla moglie la stessa domanda di qualche tempo prima sull’attendibilità delle sue idee e ha ricevuto una risposta che, secondo lui, è la più sensata: “Non so”.