Le novità sul “prete di Aldo Moro”
La commissione d'inchiesta ha sentito Antonello Mennini, che ai tempi del rapimento faceva il viceparroco a Roma, che tra l'altro ha smentito di aver incontrato Moro durante il sequestro
Negli ultimi giorni si è nuovamente tornati a discutere del sequestro di Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, compiuto dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 (nel giorno del giuramento del quarto governo di Giulio Andreotti). La commissione di inchiesta parlamentare ha infatti interrogato don Antonello Mennini, che ai tempi del rapimento aveva 31 anni ed era viceparroco della Chiesa di Santa Lucia a Roma.
Quella del “prete di Moro” negli anni è diventata, in una vicenda complicata e ancora piuttosto confusa, una storia nella storia. Per alcuni Mennini era semplicemente un amico di Moro che in quei giorni tenne i contatti tra lui e i suoi familiari; per altri fu “il canale segreto” al quale dalla prigione delle BR venivano recapitate le lettere di Moro, e colui che lo confessò nel luogo dove era tenuto prigioniero. Nella sua ultima testimonianza sembra essere emersa l’esistenza di «un canale di ritorno» dalla famiglia Moro ai sequestratori, «interrotto pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere».
Come, dove, quando
La mattina del 16 marzo del 1978 il presidente della DC Aldo Moro era atteso in Parlamento per votare la fiducia al nuovo governo presieduto da Giulio Andreotti, che per la prima volta avrebbe avuto il sostegno del Partito Comunista Italiano: cioè il più grande partito comunista d’Europa, alleato del partito comunista sovietico. Il merito del faticoso avvicinamento fra i due partiti viene comunemente accreditato allo stesso Moro e all’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer. L’accordo raggiunto da Moro e Berlinguer fu definito dallo stesso Berlinguer un “compromesso storico”.
Poco prima delle 9 Moro uscì di casa e salì a bordo di un’auto di rappresentanza che si diresse verso il centro della città, seguita da una macchina con la sua scorta. Pochi minuti dopo, all’incrocio fra via Fani e via Stresa, le due auto furono fermate da un gruppo di brigatisti, che spararono e uccisero le cinque persone che accompagnavano Moro, il quale venne rapito. Dopo una lunga prigionia e un’altrettanto complessa trattativa per la sua liberazione, Moro fu ucciso dalle Brigate Rosse quasi due mesi dopo, il 9 maggio 1978. Il quarto governo Andreotti ricevette la fiducia e rimase in carica fino al 31 gennaio 1979; il Partito Comunista non entrò nella maggioranza limitandosi a sostenere il governo con un “appoggio esterno” (e cambiando anche linea politica, da lì in poi, rinunciando nel tempo alla collaborazione con la DC – e poi anche col PSI – in nome della “questione morale”).
Cosa ha detto Mennini
Prima di ieri, Mennini – che dal 2010 è nunzio apostolico per la Gran Bretagna nominato da papa Benedetto XVI – aveva già deposto sette volte sul sequestro Moro: in tribunale e davanti alle varie commissioni parlamentari che si sono susseguite negli anni. Dopo la morte di Moro fu istituita un’apposita commissione, che rimase operativa dal 1979 al 1983, ma la formazione di una nuova commissione è stata approvata dalla Camera nell’ottobre del 2013 perché il sequestro e l’uccisione di Moro presentano ancora oggi dei punti poco chiari. Tra questi anche quello che riguarda Mennini, che ha parlato davanti alla commissione d’inchiesta martedì 10 marzo, smentendo ancora una volta la circostanza di un suo incontro con Moro durante il rapimento, ma confermando che in quegli stessi giorni fece avere alla famiglia alcune lettere di Moro recapitategli dalle BR. Scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera di martedì:
Assicura il testimone: «Io purtroppo non sono mai stato nella prigione di Aldo Moro, né ho confessato il presidente. La stessa signora Moro commentò con me che se ciò fosse davvero accaduto sarebbe avvenuto tramite un amico di questi mascalzoni». Cioè un prete vicino ai brigatisti. Poi il testimone sbotta: «Ma poi quel pover’omo, ma che se doveva confessà dopo tutto il martirio che aveva subito?».
«Tanto lo so che non ho convinto nessuno, perché questa storia è diventata una leggenda non più metropolitana ma intercontinentale, visto che me la sono portata dietro anche in Africa e in Russia. Ma non ci posso fare niente. Magari avessi potuto farlo, lo direi anche se in teoria sono segreti pure i luoghi e le circostanze delle confessioni. E in tal caso non sarei stato imbelle come qualcuno mi ha dipinto, avrei cercato di individuare il covo, o addirittura proposto ai carcerieri di prendere me e lasciar andare il presidente».
Dell’ipotesi che Mennini avesse incontrato e confessato Aldo Moro parlò per la prima volta Francesco Cossiga, a quel tempo ministro degli Interni, rimproverandosi anche di non aver fatto adeguatamente sorvegliare il viceparroco. Nel 2008 Cossiga disse: «Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo telefonico e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò Don Mennini. Seguendolo avremmo potuto trovare Moro».
In realtà il telefono di Mennini fu intercettato: «Il 21 aprile mi resi conto che ero intercettato. Ho inteso il ritorno del registratore che ripeteva la frase appena pronunciata», ha ripetuto il nunzio davanti alla commissione. Parte di quelle telefonate sono però scomparse durante gli atti processuali. Ancora Mennini: «Mi sembra strano che Cossiga dicesse “abbiamo perso il nastro”. Mi dispiace dirlo ma io non lo capisco, se lui riteneva, se era sua convinzione (che il prete avesse incontrato Moro nel covo delle BR, ndr), perché non farne parola con i miei superiori o con lo stesso Santo Padre? Cossiga l’ho incontrato varie volte e non ha mai sollevato questa cosa. Capisco che poteva non sollevarla con me, ma se era così grave non poteva esimersi dal parlarne con Sodano o con il Santo Padre».
Mennini ha comunque confermato di avere avuto dei contatti telefonici con i brigatisti a partire dal 20 aprile 1978 e di aver fatto da “postino” per la consegna di alcune lettere. Interrogato su questo ha detto: «A me fu rimproverato di non aver informato la polizia del contatto telefonico con le Br, ma non volevo rischiare di bloccarlo, volevo solo essere utile a una persona alla quale volevo bene e fare nel mio piccolo tutto quello che potevo».
La novità
Le dichiarazioni di Mennini che aggiungono altre novità fanno riferimento a una telefonata del 5 maggio 1978: un brigatista (Valerio Morucci) chiamò Mennini per fargli avere una lettera di Moro per la moglie in cui annunciava la propria morte imminente e disse:
«Dica alla signora che non abbiamo trovato la persona da lei indicata e quindi ho dovuto chiamare nuovamente lei (cioè Mennini, ndr)».
Per il presidente della commissione di inchiesta, Giuseppe Fioroni, si tratta di «un’importante novità che conferma l’esistenza di un canale di ritorno» dalla famiglia Moro ai sequestratori, «interrotto pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere», intorno al 5 maggio. «Per la prima volta Mennini fa riferimento chiaramente a un canale di ritorno, un canale che non c’è più: è un dato. Il canale di ritorno c’era e improvvisamente il 5 maggio o non viene reperito o non c’era più. Tutto questo adesso sarà oggetto di lavoro da parte della commissione», ha concluso Fioroni.
Commenta Giovanni Bianconi sul Corriere:
«Questa, per il presidente della commissione Fioroni, “è un’importante novità che conferma l’esistenza di un canale di ritorno”, dalla famiglia Moro ai sequestratori. Può darsi. Ma può darsi pure che, come accaduto altre volte, i terroristi avessero prima cercato un altro collaboratore di Moro segnalato dallo stesso ostaggio, che non aveva il telefono sotto controllo, e non trovandolo abbiano ripiegato sul prete sotto intercettazione».