Dove va Charlie Hebdo
Il settimanale francese, in crisi prima degli attentati, si trova ora a gestire una grande quantità di denaro: in redazione si è cominciato a discutere (e litigare) sul suo futuro
Mercoledì 25 febbraio è uscito il secondo numero della rivista satirica francese Charlie Hebdo dopo l’attacco terrorista dello scorso 7 gennaio a Parigi. Si tratta del numero 1179 del giornale, ne sono state stampate 2,5 milioni di copie: la tiratura “normale”, prima dell’attentato, era 60 mila copie. Il settimanale era fermo da sei settimane, dopo il numero con la copertina di Maometto che piange pubblicato subito dopo gli attentati alla redazione e stampato in 8 milioni di copie. I giornalisti sopravvissuti l’avevano preparato nella sede di Libération, che aveva messo a disposizione alcuni dei suoi spazi, mentre i computer erano stati forniti da Le Monde. Nel frattempo gli abbonamenti sono passati da 7mila a più di 220mila e il settimanale si troverà a dover gestire circa 15 milioni di euro tra donazioni private e pubbliche. Si tratta di numeri eccezionali per Charlie Hebdo, che è sempre stato piuttosto squattrinato e «che non è fatto per avere tanti soldi», ha detto l’avvocato del giornale Richard Malka, che è lo stesso da 22 anni. E si è cominciato a discutere, anche per questo, del futuro e della gestione di quello che era comunque, finora, un settimanale a diffusione nazionale con diverse difficoltà economiche.
Un po’ di conti
La cifra di 15 milioni di euro non è definitiva: parte di questi soldi sono già stati ricevuti, parte sono promesse di donazione. Le donazioni ammontano a circa 4 milioni e 200 mila euro, che Charlie Hebdo ha scelto di non tenere ma di girare alle famiglie delle vittime, tutte le vittime di quei giorni: oltre ai componenti della redazione del giornale, un fornitore, due poliziotti, le persone coinvolte nell’attentato al supermercato cacher di Porte de Vincennes, la poliziotta uccisa a Montrouge e i feriti. Del totale, 2 milioni e 650 mila provengono dal fondo “Presse et Pluralisme” – associazione creata dagli editori per far transitare contributi esentasse – e sono stati versati online attraverso JaideCharlie.fr.
Questa somma pone un problema: il fondo è stato istituito per sostenere le imprese di stampa in crisi e non le vittime di attentati. Inoltre Charlie Hebdo dovrebbe pagare le tasse su questi soldi, se li donasse alle famiglie, ma è comunque in corso una discussione al Ministero delle Finanze per consentire un pagamento diretto agli “Amici di Charlie Hebdo”, associazione creata “poche settimane” prima del 7 gennaio per raccogliere aiuti in un momento in cui il giornale era alla ricerca di circa 200 mila euro per coprire le sue perdite. L’avvocato ha fatto sapere che ci vorranno mesi per risolvere la questione dei risarcimenti. Quel che resterebbe, circa 1,5 milioni di euro, dovrebbe essere utilizzato per la nuova sede dell’associazione e per pagare una serie di avvocati e figure che hanno rimpiazzato chi gestiva l’associazione stessa ed è morto negli attentati.
Alla somma di 4,2 milioni di euro si devono aggiungere i ricavi dei diritti d’autore derivanti dalla vendita di numeri speciali o DVD. I soldi della vendita del numero con Maometto che piange saranno assegnati a Charlie Hebdo e serviranno a finanziare il giornale stesso (ci saranno un’app, una versione digitale con traduzione in inglese e una ri-progettazione completa entro l’autunno), a pagare stampatori e distributori di quel numero (che hanno rinunciato alla loro quota per il primo milione di copie) e anche una fondazione dedicata ai fumetti, alle vignette e alla libertà di stampa nelle scuole francesi ma anche in quelle di altri paesi del mondo, così come per il sostegno dei disegnatori. Si parla di una cifra che va dai 10 ai 12 milioni di euro circa, ma che dopo le imposte si ridurrà a circa 7-8 milioni. I 220 mila abbonamenti sottoscritti porteranno 3 milioni di euro. Ci sono infine gli aiuti stanziati dal ministero della Cultura per gestire l’emergenza, che saranno utilizzati per affittare e attrezzare i nuovi locali della redazione che aprirà molto probabilmente nel 13° arrondissement di Parigi ma soprattutto per garantire la sostenibilità e la sicurezza del giornale.
La nuova gestione
C’è anche l’intenzione di gestire diversamente il giornale. È già stato deciso che nessun dividendo sarà distribuito agli azionisti per i prossimi tre anni. L’idea che è stata proposta da alcuni redattori sopravvissuti è passare a una forma più cooperativa. Charb (ex direttore morto negli attentati) deteneva il 40 per cento delle quote di Charlie Hebdo alla pari con Laurent Sourisseau (chiamato Riss, nuovo direttore rimasto ferito), mentre Eric Portheault, direttore finanziario, ha il 20 per cento. Lo statuto prevede che in caso di decesso di uno degli azionisti, le quote vengano offerte agli altri. Riss e Portheault hanno però proposto che fosse Luz, disegnatore delle ultime due copertine, a rilevare il 40 per cento di Charb. Luz ha rifiutato avanzando l’idea di creare una cooperativa tra i redattori che diventi anche proprietaria del giornale. Gli attuali azionisti dovrebbero dunque rinunciare alle loro quote e Riss – come scrive il Wall Street Journal – non sembrerebbe disposto a farlo. Per ora la discussione avvenuta in una prima riunione è stata sospesa e rimandata di tre mesi, fino a quando cioè i familiari di Charb erediteranno ufficialmente il suo 40 per cento.
In generale c’è molta preoccupazione intorno al nuovo inizio di Charlie Hebdo («Il denaro può far impazzire la gente», ha detto l’editore Gérard Biard) e il timore è che i normali dissensi già presenti tra i redattori prima degli attentati si trasformino in vere e proprie fratture. Infine è in discussione la linea che dovrebbe avere il giornale dopo gli attentati: se cioè aderire al ruolo simbolico che gli è stato assegnato, quello cioè di combattere l’estremismo islamico, oppure in qualche modo ammorbidire i toni. Le Monde ha raccolto in un grafico i principali argomenti trattati in prima pagina da Charlie Hebdo dal 2005 al 2010 per mostrare che in realtà l’islam e i musulmani non sono «un’ossessione» del giornale: questa è stata infatti la principale accusa rivolta a Charlie Hebdo, soprattutto dopo gli attentati. Su 523 copertine analizzate risulta che al primo posto c’è la politica, poi la presa in giro di personaggi famosi, l’attualità economica e sociale e infine la religione. Tra le religioni, inoltre, quella cattolica ha avuto maggiore spazio: l’islam è al terzo posto.
Il Wall Street Journal fa comunque notare che i più grandi successi a livello di vendite sono arrivati quando in copertina c’erano Maometto e l’islam.