La Thailandia contro le gravidanze surrogate
Dopo due casi molto discussi una nuova legge vieta la pratica alle coppie straniere, proibisce l'uso di intermediari e di qualunque tipo di pubblicità
La Thailandia ha approvato in via definitiva una legge che vieta agli stranieri di pagare le donne thailandesi per portare avanti gravidanze surrogate; la legge stabilisce pene fino a dieci anni di carcere per chi trasgredisce. La nuova legge – che entrerà in vigore il prossimo giugno – vieta anche l’uso di intermediari e qualunque tipo di pubblicità e promozione a favore di questa pratica. Potranno invece ricorrere alla maternità surrogata le coppie composte da almeno un thailandese e sposate da almeno tre anni. Le donne disposte ad affittare il loro utero dovranno avere più di 25 anni, essere sposate, avere almeno già un figlio e sottoporsi alla surrogazione con il consenso del marito: non potranno però essere pagate. Il deputato Wallop Tungkananurak, che ha firmato la proposta, ha detto che la Thailandia smetterà così di essere «il grembo del mondo».
Nel 1997 il Consiglio medico thailandese aveva già vietato la maternità surrogata a scopo commerciale, ma negli anni la pratica è diventata sempre più diffusa. La decisione di un divieto per legge è arrivata dopo due casi in particolare, molto raccontati dai giornali internazionali. Il primo era avvenuto nell’agosto del 2014 e riguardava una giovane thailandese di 21 anni, Pattaramon Chanbua, che aveva affittato il proprio utero a una coppia di australiani per circa 12 mila euro. La donna aveva partorito due gemelli, uno dei quali, Gammy, con la sindrome di down; la coppia aveva deciso allora di riportare con sé in Australia solo la bambina sana, Pipah, lasciando in Thailandia Gammy. Il secondo caso, sempre dell’agosto del 2014, riguardava la scoperta in un appartamento di Bangkok di nove madri con altrettanti neonati e di una donna incinta che avevano detto di essersi sottoposte a gravidanze surrogate su richiesta di un uomo giapponese che aveva creato un vero e proprio traffico di bambini. La polizia dichiarò che altri cinque neonati nati dallo stesso uomo attraverso una maternità surrogata avevano già lasciato il paese.
La “surrogazione di maternità” è il procedimento per cui una donna “affitta” il proprio utero e porta avanti la gravidanza per conto dei committenti, che possono essere single o coppie, sia eterosessuali che omosessuali. Esistono diversi tipi di surrogazione: da quella tradizionale, che prevede l’inseminazione artificiale dell’ovulo della madre surrogata, che è quindi anche madre biologica del bambino; a quella gestazionale in cui la madre surrogata si limita a portare avanti la gravidanza dopo che le viene impiantato nell’utero un embrione realizzato in vitro, che può essere geneticamente imparentato con i genitori committenti o provenire da donatori. In molti paesi la surrogazione gestazionale – che è diventata molto redditizia – è illegale. In altri non può essere “commercializzata” – si può fare, quindi, ma non a pagamento – e i genitori sono tenuti a provvedere alle spese sostenute dalla donna durante la gravidanza.
In India la pratica è legale dal 2002, anche se ha subito delle limitazioni nel 2013, ma come in Thailandia ha costi molto bassi, le cliniche sono ben attrezzate e organizzate e dal punto di vista legale, a differenza di altri paesi, non è previsto che, una volta firmato l’accordo, le madri naturali possano rivendicare dei diritti. Sam Everingham, che ha fondato un’associazione che si occupa di questi temi, Families Through Surrogacy ha stimato che ogni anno in Thailandia nascano circa 200 bambini attraverso la surrogazione di maternità.
Foto: Pattaramon Chanbua con il suo bambino in un ospedale vicino a Bangkok, 6 agosto 2014 (Handout photo via Getty Images)