L’ONU prende tempo sulla Libia
Il Consiglio di sicurezza si è riunito ma non ha deciso niente, nemmeno sulla richiesta di togliere l'embargo sulla vendita di armi alla Libia: intanto l'Italia vorrebbe aumentare gli sforzi dell'ONU nel paese
Mercoledì 18 febbraio si è tenuta a New York, negli Stati Uniti, una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nella quale tra le altre cose si è parlato anche della presenza dello Stato Islamico (o ISIS) in Libia. Nonostante le dichiarazioni allarmiste degli ultimi giorni, il Consiglio non ha trattato direttamente l’argomento di un intervento armato, viste le posizioni caute o contrarie di alcuni membri permanenti con potere di veto, tra cui gli Stati Uniti. Il governo libico riconosciuto internazionalmente – quello con sede nella città orientale di Tobruk, avversario di quello islamista con sede a Tripoli – ha chiesto al Consiglio che venga tolto l’embargo sulla vendita di armi che l’ONU ha imposto sulla Libia dal 2011, anno della caduta e uccisione dell’ex presidente Mu’ammar Gheddafi.
Le armi, ha detto il governo di Tobruk, verrebbero usate per combattere l’ISIS. Sul tema dell’embargo e delle armi c’è una bozza di risoluzione presentata dalla Giordania – l’unico documento circolato tra i membri del Consiglio di Sicurezza – ma finora non se n’è fatto nulla. Per il momento il Consiglio di Sicurezza si è mostrato molto cauto sulla possibilità di permettere al governo libico di ricevere delle armi, nonostante l’embargo. La preoccupazione è che le armi finiscano nelle mani dei moltissimi gruppi armati e milizie che si combattono in Libia e che sono legati a singole tribù.
Il ministro degli Esteri libico, Mohammed al Dairi, ha detto che la comunità internazionale ha “una responsabilità morale e legale di inviare aiuti” alla Libia, per frenare l’avanzata dell’ISIS che potrebbe mettere in pericolo tutta la regione del Mediterraneo. Il governo libico è stato appoggiato nelle sue richieste anche da quello egiziano, che lunedì ha bombardato le postazioni dell’ISIS nell’est della Libia. Da tempo l’Egitto è coinvolto negli affari della Libia: diversi analisti credono che già nell’estate del 2014 l’Egitto avesse bombardato la Libia insieme agli Emirati Arabi Uniti, per colpire gli islamisti (allora non si parlava di ISIS, ma delle altre milizie islamiste che controllano la parte orientale del paese). Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha anche iniziato una lunga battaglia interna contro i Fratelli Musulmani e ha adottato posizioni molto nette contro alcuni movimenti islamisti in diverse crisi regionali degli ultimi mesi, come durante l’ultima guerra a Gaza.
Anche in Libia l’Egitto sta confermando la sue precedenti posizioni: il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza che venga attuato un blocco navale sulle armi dirette verso le zone della Libia che si trovano fuori dal controllo del “governo legittimo” di Tobruk. In pratica l’Egitto vorrebbe colpire non solo l’ISIS – la cui presenza è più forte a Derna, nell’est, e a Sirte, più a ovest – ma anche la coalizione “Alba della Libia”, che controlla il governo di Tripoli. Al Sisi ha anche chiesto alle Nazioni Unite che venga messa in piedi una nuova coalizione che cominci una campagna aerea contro l’ISIS in Libia.
Durante la riunione, scrive Associated Press, sia Italia che Algeria hanno detto che sono disposte a partecipare agli sforzi internazionali per risolvere la crisi in Libia. Il governo italiano, scrivono oggi i principali quotidiani nazionali, spinge per aumentare l’impegno della missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL, United Nations Support Mission in Libya) attualmente guidata dal diplomatico spagnolo Bernardino Leon (la missione verrà rivotata il 13 marzo). Intanto il ministro degli Interni italiano Angelino Alfano ha smentito l’esistenza della minaccia di infiltrazioni jihadiste in Italia tramite i barconi degli immigrati, ipotesi che era circolata molto ieri sulla stampa italiana.
nella foto: la riunione del Consiglio di Sicurezza che si è tenuta mercoledì 18 febbraio a New York, negli Stati Uniti (REUTERS/Carlo Allegri)