Gli ebrei che vogliono lasciare la Francia
Dopo gli attacchi terroristici di gennaio molti hanno paura e vogliono tornare in Israele, racconta il Washington Post
di Griff Witte - Washington Post
Per tutti i suoi trent’anni, Jennifer Sebag ha vissuto in una comunità che incarna tutto ciò che l’Europa moderna dovrebbe essere: inclusiva, integrata, pacifica e prospera. La città di Saint-Mandé – nella periferia orientale di Parigi – è stata per lungo tempo un rifugio per gli ebrei come Sebag, i cui genitori e nonni furono cacciati dal nativo Nord Africa decenni fa a causa dell’antisemitismo. «Ho sempre detto a tutti che qui siamo molto protetti. È come vivere in un piccolo villaggio», racconta Sebag. Ma in un istante, nel pomeriggio del 9 gennaio, il rifugio di Sebag è diventato un bersaglio. Un uomo armato che più tardi avrebbe detto di agire per conto dello Stato Islamico (o ISIS) è entrato nel supermercato kosher del quartiere, ha cominciato a sparare e ha preso degli ostaggi: l’assedio è andato avanti per qualche ora e alla fine quattro persone, tutte ebree, sono rimaste uccise.
Passato un mese dall’attacco, gli ebrei di Saint-Mandé stanno pensando di andare via da quella che un tempo sembrava essere la loro terra promessa. Nelle case, nei negozi e nelle sinagoghe – sorvegliate giorno e notte da soldati armati di fucili d’assalto – si parla solo di una cosa: rimanere in Francia e rischiare di diventare i prossimi obiettivi di un attacco da parte degli estremisti islamici, oppure abbandonare il posto che la comunità ebraica locale era orgogliosa di chiamare “casa”? Il governo francese sta cercando di convincere gli ebrei a non andarsene da Saint-Mandé: se nemmeno loro vedono il proprio futuro nel piccolo comune francese – dove hanno vissuto a lungo in armonia con cristiani e musulmani – è ancora più difficile pensare che ci sia speranza per un ideale europeo di coesistenza religiosa.
Molti ebrei hanno già preso una decisione. Alain Assouline, medico di Saint-Mandé e presidente di un centro ebraico, ha detto: «Il punto non è se se ne andranno o meno. Il punto è quando se ne andranno». Per Sebag, suo marito e i loro tre figli piccoli, la risposta è entro pochi mesi. Da tempo la famiglia di Sebag pensava comunque di trasferirsi per motivi economici: l’attacco al supermercato ha tolto ogni dubbio. La prossima estate Sebag e i suoi familiari andranno in Israele, dove non hanno amici o parenti e non parlano la lingua, e dove si combattono guerre con cadenza regolare. Ripartiranno da zero, come fecero decenni fa i genitori di Sebag. Sebag, che di mestiere fa l’agente immobiliare e vive con la sua famiglia in uno spazioso appartamento di fronte alla zona commerciale di Saint-Mandé, ha detto: «[I miei genitori] arrivarono in Francia dal Marocco e dalla Tunisia perché la Francia era un paese meraviglioso. Fecero ogni tipo di sacrificio. Ci hanno permesso di fare una bella vita, almeno fino a oggi».
L’attacco al supermercato kosher è stato uno dei tre attacchi compiuti da tre estremisti islamici all’inizio di gennaio del 2014. Tra mercoledì 7 e venerdì 9 gennaio sono state uccise 17 persone, inclusi alcuni disegnatori e giornalisti del settimanale satirico Charlie Hebdo. Di tutte le comunità colpite negli attentati, i 500mila ebrei francesi sono probabilmente quelli che hanno sentito in maniera più intensa gli effetti dell’attacco. Gli ebrei francesi erano già al limite prima che Amedy Coulibaly, un uomo di 32 anni con precedenti penali e figlio di immigrati maliani, prendesse alcuni ostaggi al supermercato kosher tra Parigi e Sain-Mandé.
L’antisemitismo è in crescita tanto in Francia quanto nel resto d’Europa. Nel Regno Unito, dice un’organizzazione ebraica non profit, solo nel 2014 si sono registrati 1.100 incidenti motivati da antisemitismo, il doppio di quelli registrati nel 2013. La paura di nuove violenze nei confronti degli ebrei è in aumento ed è sentita particolarmente in Francia, dove nel 2012 un attacco a una scuola ebraica di Tolosa ha provocato la morte di un insegnante e tre studenti. L’Agenzia Ebraica, che incoraggia l’immigrazione degli ebrei in Israele, sostiene che il numero di ebrei francesi diretti verso Israele è rimasto stabile per diverso tempo, attorno alle duemila persone l’anno. Nel 2013 ha toccato le 3.400 persone. Nel 2014 è arrivato a più di 7 mila, facendo della Francia il paese che contribuisce di più all’immigrazione verso Israele. Secondo le stime dell’Agenzia Ebraica, nel 2015 si trasferiranno in Israele almeno 15 mila ebrei francesi. Molti altri se ne andranno negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Canada.
In una macelleria kosher poco lontano dal supermercato dove è avvenuto l’attacco, la discussione si concentra su dove andare e se abbandonare davvero la Francia. Una giovane donna dice: «Mio marito è pronto, ma io non ancora. Ero a Tel Aviv lo scorso luglio e ho visto i razzi precipitare in mare. Non mi sentirei sicura nemmeno lì». Il macellaio, un uomo di 20 anni di nome Aron Sultan, ha detto che lui e la sua fidanzata stanno decidendo se cominciare una nuova vita in Israele: «I miei genitori hanno lasciato la Tunisia durante la guerra dello Yom Kippur, nel 1973. Mia madre ricorda che andarono in Francia quando gli arabi erano arrivati di fronte alla loro casa, pronti ad ucciderli». Sultan si sta preparando a lasciare la Francia, ma i suoi genitori sono riluttanti: «Ho chiesto a mia madre: “Stiamo aspettando la stessa cosa anche qui? Il momento in cui gli arabi saranno arrivati davanti alla nostra porta pronti ad ucciderci?”. È difficile andarsene, ma non ci sentiamo sicuri qui. Non abbiamo scelta».
Il governo ha cercato di tranquillizzare la comunità ebraica inviando più di diecimila soldati a sorvegliare “siti sensibili”, tra cui sinagoghe, centri culturali e scuole ebraiche. Pochi giorni fa tre soldati di guardia a uno di questi siti sono stati assaliti da un uomo armato di coltello nella città di Nizza. Per molti ebrei la presenza dei militari non ha avuto un effetto tranquillizzante, anzi: ha enfatizzato la loro vulnerabilità. Patrick Beaudoin, il sindaco di Saint-Mandé, ha detto che la Francia deve difendere la sua popolazione ebraica ad ogni costo: un esodo di massa potrebbe essere devastante per Saint-Mandé, una città dove un terzo dei 22mila residenti sono ebrei. Marc Krief, rabbino della sinagoga di Vincennes-Saint-Mandé, ha detto: «Non possiamo dire che questi sono jihadisti importati dalla Siria o dall’Iraq. Erano cittadini francesi, cresciuti nelle periferie. Andavano alla moschea locale e lì hanno imparato il jihad». Kiref ha però aggiunto: «Non vedo un paese al mondo dove la sicurezza per gli ebrei sia completa. In Israele c’è la guerra, negli Stati Uniti potrebbe esserci un altro attacco. Non cambierebbe nulla andarsene».
@2015 Washington Post