Un giorno importante per l’Europa
Sono iniziati due incontri molto attesi: a Minsk quello per provare a mettere fine alla guerra in Ucraina, a Bruxelles si è parlato dei debiti della Grecia senza trovare un accordo
Mercoledì 11 febbraio sono previsti due importanti e attesi incontri diplomatici in Europa, che riguardano le due crisi – molto diverse ma entrambe molto importanti – di cui si è parlato di più negli ultimi mesi. A Minsk, capitale della Bielorussia, si incontreranno i rappresentanti di Ucraina, Russia, Germania e Francia per cercare di trovare una soluzione alla guerra in Ucraina orientale. A Bruxelles, in Belgio, si incontreranno anche i ministri delle Finanze dei paesi dell’Unione Europea per discutere della proposta che il governo greco presenterà riguardo la rinegoziazione del suo debito.
I colloqui sull’Ucraina, a Minsk
Gli incontri diplomatici per cercare di risolvere la crisi in Ucraina orientale si terranno oggi a Minsk, in Bielorussia. Saranno presenti il presidente ucraino, Petro Poroshenko, il presidente russo, Vladimir Putin, il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel. I rappresentanti dei quattro paesi cercheranno di accordarsi su sei questioni che sono ancora in ballo, tra cui la cosiddetta “linea di demarcazione”, cioè la linea che divide i territori controllati dall’esercito ucraino da una parte, e dai ribelli filo-russi dall’altra. È un punto molto complicato: la linea di demarcazione su cui si basava la precaria tregua decisa lo scorso settembre sempre a Minsk era diversa da quella attuale. Nelle ultime settimane i ribelli sono tornati ad attaccare e hanno conquistato circa 500 chilometri quadrati di territorio, tra cui la città di Debaltseve, importante snodo ferroviario della regione di Donetsk.
L’altra questione importante sarà stabilire il futuro dell’Ucraina. Il governo ucraino vuole recuperare parte del controllo sulle aree conquistate dai filo-russi, anche se è disposta a concedere loro ampia autonomia. Chiede anche il disarmo dei ribelli, il ritiro delle truppe russe dal suo territorio e uno scambio completo dei prigionieri. I ribelli chiedono invece che vengano riconosciute le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk e che venga concessa un’amnistia ai leader separatisti prigionieri: non sono disposti ad accettare un loro disarmo. La Russia spinge per far diventare l’Ucraina una federazione, in cui singoli stati abbiano ampi poteri anche sulla gestione delle risorse energetiche e sulle scelte di politica estera. Vuole che la Crimea rimanga russa e che i soldati ucraini si ritirino dalle zone dei combattimenti. Stati Uniti e Unione Europea chiedono invece condizioni difficilmente realizzabili, nella situazione attuale: ripristinare l’integrità territoriale ucraina, cominciare il ritiro dei soldati russi e delle armi pesanti dal territorio ucraino, stabilire una zona demilitarizzata tra i combattenti e regimi pienamente democratici a Donetsk e Luhansk.
Se non verrà raggiunto un accordo, le conseguenze potrebbero essere due. Primo: Stati Uniti e Unione Europea decideranno probabilmente di imporre nuove sanzioni alla Russia, la cui economia è entrata in una crisi molto grave da diversi mesi. I ministri degli Esteri dell’UE hanno deciso ieri di rimandare eventuali decisioni sulle sanzioni fino alla conclusione dei colloqui di Mink. Secondo: l’amministrazione di Barack Obama potrebbe decidere di soddisfare la richiesta di Poroshenko e cominciare a inviare armi all’esercito ucraino. La stampa americana sembra comunque piuttosto cauta sull’ipotesi di aiuti militari all’Ucraina: sia per la riluttanza di Obama di immischiarsi nella crisi ucraina – che non vede come una diretta minaccia agli interessi nazionali americani – sia per l’inaffidabilità dell’esercito ucraino.
L’incontro tra i ministri europei delle Finanze a Bruxelles
Aggiornamento delle 00:15 di giovedì 12 febbraio 2015
Non è stato raggiunto un accordo tra le parti, che si riuniranno nei prossimi giorni per proseguire i negoziati.
Il governo greco ha presentato a Bruxelles ai ministri dell’Economia dei paesi dell’Unione Europea un piano ampio e comprensivo per rinegoziare un accordo con i suoi creditori. L’incontro era molto atteso: martedì 10 febbraio, durante la sessione del Parlamento greco in cui è stata votata la fiducia al nuovo governo di Alexis Tsipras, il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis non ha escluso di arrivare a uno scontro con gli altri ministri europei. Varoufakis ha detto che il 30 per cento delle riforme richieste al governo greco dalla cosiddetta Troika – il gruppo formato da Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea, i cui prestiti alla Grecia ne hanno evitato la bancarotta in questi anni – è «dannoso» per la Grecia. Si è detto disponibile ad accettare il restante 70 per cento. Il problema, continua a dire però il governo greco, è che con le misure di austerità richieste dalla Troika la Grecia non riuscirà mai a far crescere di nuovo la sua economia.
Merkel non sembra voler abbandonare l’intransigenza adottata negli ultimi mesi riguardo la crisi finanziaria della Grecia. Merkel ha detto che le richieste di riforme presentate dalla Troika rimangono la “base per qualsiasi tipo di discussione che ci sarà in futuro”. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha detto che la Grecia deve attenersi agli accordi presi dal precedente governo e solo così potrà ricevere gli altri 7,2 miliardi di euro che chiede in prestito. «Non stiamo negoziando un nuovo programma. Abbiamo già un programma», ha detto Schäuble. Secondo diversi esperti non c’è grande margine per modificare gli accordi già presi.
Il piano di salvataggio della Troika riguardante il pagamento dei debiti della Grecia scade il prossimo 28 febbraio e la Grecia non sembra avere intenzione di estenderlo alle condizioni proposte. Prima del voto di fiducia che si è tenuto ieri in Parlamento, Tsipras ha detto: «Lo voglio ripetere anche oggi. Non importa quanto Schäuble insista, non estenderemo il piano di salvataggio. Schäuble sta facendo delle proposte irrazionali, chiede di prolungare gli errori che sono già stati fatti», riferendosi al piano di salvataggio accettato dal governo greco nel 2010.