Il capo dell’opposizione in Malesia condannato per “sodomia”
È la seconda volta: si è già fatto sei anni in carcere con la stessa accusa, poi rivelatasi infondata; secondo molti è una condanna politica che serve a toglierlo di mezzo
Una Corte federale della Malesia ha confermato in via definitiva la condanna a cinque anni di prigione del leader dell’opposizione Anwar Ibrahim, accusato di sodomia con un suo collaboratore. La pena era già stata stabilita a marzo dello scorso anno da una corte d’appello. Il sesso anale, anche se consensuale, può essere punito in Malesia con venti anni di carcere: nel 1998 Anwar – che all’epoca era vice primo ministro – aveva già trascorso in carcere sei anni, sempre con la stessa accusa, che poi si era dimostrata infondata.
Prima della lettura del verdetto Anwar Ibrahim, che ha 67 anni, ha accusato i giudici di «essersi inchinati agli ordini dei padroni politici» e di essere diventati «complici nell’assassinio dell’indipendenza della magistratura». Ha parlato di «cospirazione politica» e mentre i giudici lasciavano l’aula in segno di dissenso ha gridato loro che non si sarebbe arreso. Wan Azizah Wan Ismail, moglie di Anwar Ibrahim e presidente del Partito Popolare della Giustizia, uno dei tre che fanno parte dell’opposizione al governo, ha protestato in aula contro la Corte e chiesto un momento privato con il marito dopo la lettura della sentenza. Fuori dal tribunale si era riunito un centinaio di sostenitori di Anwar Ibrahim e un gruppo di agenti in tenuta anti-sommossa.
Dopo la lettura del verdetto diversi colleghi di partito di Anwar Ibrahim hanno detto che si tratta di un complotto politico ai danni dell’opposizione e che si sarebbero riuniti al più presto per decidere quali decisioni prendere. L’organizzazione Human Rights Watch ha detto che la condanna rappresenta una grande sconfitta per i diritti umani in Malesia, mentre il governo ha pubblicato una nota in cui dice: «I giudici hanno raggiunto il verdetto solo dopo aver considerato tutte le prove in modo equilibrato e obiettivo. La Malesia ha un sistema giudiziario indipendente e ci sono state molte altre sentenze contro esponenti governativi di alto livello». Gli avvocati di Anwar Ibrahim hanno invece nuovamente contestato il fatto che durante la sentenza di appello il tribunale ha rifiutato di prendere in considerazione il fatto che le prove del DNA presentate dall’accusa erano state contaminate.
Prima della sentenza Anwar aveva detto a Al Jazeera di essere piuttosto ottimista: «Sono cautamente ottimista, ma sono anche realista. E sono mentalmente, spiritualmente e fisicamente pronto a tornare in prigione». Ha anche detto che questo sarebbe stato il prezzo da pagare nella sua «lotta per la libertà e la giustizia per tutti i malesi». Diversi analisti sostengono che Anwar sia la minaccia più potente e concreta contro il primo ministro Najib Razak, a capo del Fronte Nazionale, partito che governa il paese senza interruzioni da 56 anni ma che è in crisi di consensi. Alle elezioni del 2013 Najib Razak aveva vinto nuovamente, ma col risultato elettorale peggiore di sempre; e già allora Anwar Ibrahim aveva accusato il Fronte Nazionale di aver organizzato brogli ai seggi. La condanna di questi giorni impedirà a Anwar di ricoprire cariche politiche e di partecipare alle prossime elezioni previste per il 2018.
Anwar ha già subito diversi processi. È stato arrestato nel luglio del 2008 dopo la vittoria elettorale nella circoscrizione di Permatang Pauh, che gli aveva consentito di ottenere un seggio in Parlamento e il ruolo di leader indiscusso dell’opposizione malese. Anche quel procedimento era apparso pieno di contraddizioni: al punto che Amnesty International e Human Rights Watch Asia si erano subito schierati con Anwar. Anche il Dipartimento di Stato americano aveva detto che il processo contro Anwar suscitava molte preoccupazioni. Anwar era stato poi condannato per corruzione e per sodomia “nei confronti” dell’autista di sua moglie nel 1998. Dopo aver passato sei anni in carcere, le accuse si rivelarono infondate e Anwar, nel 2004, tornò ad essere libero. Ora Anwar sostiene che le persone che hanno condotto il suo ultimo processo sono proprio le stesse che nel 1988 nascosero per anni le prove che avrebbero potuto dimostrare immediatamente la sua innocenza.