Perché nel mondo ci sono più maschi che femmine
In natura dovrebbe esserci parità numerica, ma lo squilibrio esiste soprattutto a causa di due paesi e delle loro discriminazioni
In natura la maggior parte delle popolazioni animali è caratterizzata da un rapporto unitario tra i sessi, e cioè da una sostanziale parità tra il numero di individui di sesso maschile e il numero di individui di sesso femminile. Esistono comunque delle eccezioni che i biologi e gli evoluzionisti, a partire da Darwin, hanno studiato e cercato di spiegare. Per quanto riguarda gli esseri umani, i dati sulla popolazione mondiale, comprese le divisioni di genere, sono stati raccolti fin dal 1962 dalla Banca Mondiale sulla base del World Population Prospects, rapporto annuale della Divisione Popolazione del Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali: in quell’anno la distribuzione sul pianeta tra uomini e donne era sostanzialmente alla pari (con uno scarto dello 0,9 per cento). Da allora il divario si è però allargato e nel 2013 gli uomini superavano le donne di 58 milioni. Il fatto che ci siano più maschi che femmine è il risultato di vari fattori, ma il principale è la discriminazione contro le donne.
Più maschi nel mondo, ma più paesi a maggioranza femminile. Perché?
Due cose da tener presenti sono che le donne, in generale, vivono più a lungo degli uomini, e che nascono più maschi che femmine (il rapporto nel 2013 è di 107 a 100). Nel 2013 risulta che il 49,59 per cento della popolazione mondiale sia di sesso femminile. Risulta anche che la maggior parte dei paesi abbiano più donne che uomini: 81 hanno una maggioranza di donne e 37 una maggioranza di uomini (i restanti 75 sono entro lo 0,5 per cento della parità di genere). Questo apparente paradosso si spiega con il fatto che i paesi più popolosi del mondo hanno al loro interno uno squilibrio così grande da incidere sui dati totali: la Cina ha quasi 50 milioni di uomini in più rispetto alle donne e l’India 43 milioni.
Lo squilibrio di Cina e India è dovuto alla diffusione degli aborti selettivi (a causa anche della disponibilità di tecniche di diagnosi prenatale a prezzi accessibili) e all’infanticidio delle neonate. Nel 1994 l’India ha tentato di fermare questa tendenza vietando la determinazione del sesso prima della nascita, ma la legge si è dimostrata inefficace e anzi, secondo diversi studi, avrebbe portato ad un aumento delle discriminazioni. La Cina, nel 2013, ha poi allentato la politica del figlio unico. Entrambi i paesi hanno poi rapporti tra diversi generi alla nascita che sono al di fuori della media: nel 2013, in Cina sono nati 1,11 maschi ogni femmina, e in India 1,12. La media nel mondo è di 1,07.
I paesi a maggioranza maschile
Tra i paesi che hanno un maggiore squilibrio tra quantità di uomini e quantità di donne ci sono quelli della penisola araba: il peggiore è il Qatar dove nel 2013 meno di un quarto della popolazione totale era rappresentata da donne. Una spiegazione sta nel fatto che questi paesi hanno promosso, soprattutto dagli anni Settanta, la migrazione di lavoratori da impiegare nelle industrie e dunque a prevalenza maschile. Milioni di uomini, provenienti soprattutto dall’Asia meridionale, si sono quindi stabiliti nella penisola araba senza ottenere l’autorizzazione di portare con sé mogli, figli e figlie.
Le donne russe vivono più degli uomini e sono di più
Dai dati risulta che gli Stati dell’ex Unione Sovietica hanno brevi aspettative di vita per gli uomini e questo a causa soprattutto delle patologie e dei decessi per abuso di alcol. In Russia le donne di 65 anni e oltre sono più del doppio dei coetanei maschi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le donne in Russia vivono in media 12 anni più degli uomini: la differenza è anche la più grande rispetto a qualsiasi altra parte del mondo. Gli unici paesi che si avvicinano a questa media sono quelli dell’ex Unione Sovietica. Ed è questo il motivo per cui la popolazione degli stati che facevano parte dell’URSS è a maggioranza femminile.
C’è però anche un altro fenomeno interessante nella maggior parte degli ex stati dell’Unione Sovietica. All’inizio degli anni Sessanta la percentuale di donne era altissima ancora per effetto della Seconda Guerra Mondiale, quando l’URSS perse quasi il 15 per cento della sua popolazione maschile in età riproduttiva. Con il passare del tempo questo effetto è andato via via diminuendo. La tendenza verso un maggiore equilibrio di genere si è mantenuta fino a quando l’Unione Sovietica si è dissolta: a quel punto la tendenza si è invertita. La crisi sanitaria, unita a un improvviso aumento della mortalità che ha caratterizzato gli anni dopo la dissoluzione, ha colpito più gli uomini che le donne. Tra il 1991 e il 1994 l’aspettativa di vita media è scesa di sei anni per gli uomini e di tre per le donne.
Guerre e genocidi
Nei dati sul genere della popolazione mondiale, le guerre e i genocidi hanno avuto delle conseguenze significative. La guerra Iran-Iraq del 1980 e il genocidio in Rwanda del 1994 hanno lasciato quei paesi con una popolazione composta più da donne che da uomini rispetto a prima. Lo stesso è avvenuto dopo le uccisioni di massa dei Khmer Rossi in Cambogia tra il 1975 e il 1978, quando morì circa un quarto della popolazione totale.
I paesi più equilibrati
I paesi più sviluppati tendono ad avere un maggior numero di donne nella popolazione. Tredici paesi tra i primi quindici misurati in base all’Indice di sviluppo umano (che considera il livello di salute, istruzione e prosperità) e ventinove paesi su trentuno di quelli che fanno parte dell’OCSE e che vengono definiti dalla Banca Mondiale “ad alto reddito” hanno una popolazione femminile superiore al 50 per cento. Le uniche eccezioni, in entrambe le classifiche, sono l’Islanda (49,66 per cento di donne) e la Norvegia (49.93 per cento di donne). Il divario nella maggior parte di questi paesi si è ridotto in gran parte a causa di stili di vita e condizioni tra uomini e donne sempre più simili. Questa l’evoluzione dell’Italia (attualmente la popolazione femminile è del 51,42 per cento):
Gli stati dell’Africa presentano un generale equilibrio. Nella maggior parte di questi paesi nascono 103 maschi ogni 100 femmine (il rapporto è inferiore alla media mondiale), ma la mortalità dei neonati è superiore a quella delle neonate: la malnutrizione delle madri e il clima influisce infatti maggiormente sulla mortalità maschile. Contribuisce al sostanziale equilibrio anche il fatto che la vita media delle donne è sì superiore a quella degli uomini, ma inferiore rispetto alla media generale degli altri paesi.
Le quattro grandi economie emergenti che fanno parte dei BRIC si dividono in tre gruppi. Cina e India hanno un forte squilibrio verso gli uomini, la Russia verso le donne, mentre Brasile e il Sud Africa sono nel mezzo.
Hong Kong, Sri Lanka e Nepal sono i tre paesi che, negli ultimi cinque anni, hanno mostrato il maggior progresso verso un aumento della popolazione femminile. Questo vale soprattuto per Hong Kong, confermando una tendenza degli ultimi 35 anni. La quota di donne nella popolazione è salita dal 48 per cento circa del 1980 a oltre il 53 per cento del 2013. La spiegazione sta nei due diversi modelli di migrazione dal e nel paese: molti uomini sono emigrati verso la Cina continentale e molte lavoratrici domestiche si sono trasferite dalle Filippine e dall’Indonesia. Lo stesso fenomeno è avvenuto in Nepal (l’emigrazione è maschile, l’immigrazione femminile). Per lo Sri Lanka la situazione è meno chiara: la maggiore spiegazione nell’aumento della popolazione femminile starebbe nell’aumento della media di vita delle donne che è passata da 4 a 6 anni tra il 1970 a oggi.