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  • Giovedì 5 febbraio 2015

12 numeri sulle madri in Italia

Cosa dicono i dati dell'ISTAT: l'età media alla nascita del primo figlio, quante fanno un figlio senza essere sposate né convivere e quante smettono del tutto di lavorare dopo il parto

di Marco Surace

BERLIN, GERMANY - SEPTEMBER 16: A mother and her three-year-old daughter play together on September 16, 2012 in Berlin, Germany. Germany is currently debating the introduction of a nation-wide home child care subsidy (Betreuungsgeld), which would provide parents of one to three-year-old children the option of receiving EUR 150 (196.91 USD) a month to care for the child at home rather than sending him or her to a daycare center. Critics argue it would prevent the integration of children of recent immigrants into German society. (Photo by Adam Berry/Getty Images)
BERLIN, GERMANY - SEPTEMBER 16: A mother and her three-year-old daughter play together on September 16, 2012 in Berlin, Germany. Germany is currently debating the introduction of a nation-wide home child care subsidy (Betreuungsgeld), which would provide parents of one to three-year-old children the option of receiving EUR 150 (196.91 USD) a month to care for the child at home rather than sending him or her to a daycare center. Critics argue it would prevent the integration of children of recent immigrants into German society. (Photo by Adam Berry/Getty Images)

È stato pubblicato in questi giorni dall’ISTAT, l’Istituto nazionale di Statistica, il volume “Avere figli in Italia negli anni 2000: approfondimenti dalle indagini campionarie sulle nascite e sulle madri”, sulla base di un’indagine condotta nel 2012 su oltre 17mila madri e di un aggiornamento dei dati delle precedenti edizioni del 2002 e del 2005. Lo scopo del lavoro è quello di analizzare «le dinamiche riproduttive delle donne» legandole alle strategie di conciliazione tra famiglia e lavoro e agli investimenti in istruzione e partecipazione al mercato del lavoro delle madri. I dati raccolti raccontano, tra le altre cose, le reti formali e informali di cui si possono o si devono avvalere le donne per la cura dei figli piccoli, il divario tra numero di figli avuti e aspettative di fecondità, l’occupazione femminile e come cambiano le cose sul mercato del lavoro dopo la nascita dei figli. La ricerca – estremamente dettagliata, oltre 100 pagine – si può leggere integralmente qui; di seguito alcuni dati interessanti raccolti in 12 punti.

534.186
Sono i bambini nati e iscritti all’anagrafe in Italia nel 2012, anno di riferimento dell’indagine: si tratta di un calo di oltre il 7 per cento rispetto al 2009, anno in cui è iniziata la tendenza alla diminuzione delle nascite. In parte la cosa è riconducibile a un effetto strutturale – le donne nate a metà degli anni Sessanta, periodo dei cosiddetti baby-boomers, che stanno uscendo dall’esperienza riproduttiva, sono molto più numerose delle donne delle generazioni più giovani che entrano in età feconda, convenzionalmente stabilita tra i 13 e i 50 anni – e in parte la crisi economica ha contribuito alla diminuzione sia dei matrimoni che delle nascite. Nel 2013 c’è stato un ulteriore calo del 3,7 per cento, con i bambini nati scesi a circa 514mila, fino ad arrivare ai 509mila del 2014, il livello minimo dall’Unità d’Italia.

19
È la percentuale – pari a oltre 100mila unità e in continuo aumento – di bambini nati in Italia nel 2012 con almeno un genitore straniero, anno in cui la popolazione straniera rappresentava complessivamente meno del 7 per cento del totale: ha raggiunto l’8 per cento nel 2014. I bambini nati con entrambi i genitori italiani diminuiscono costantemente da circa 15 anni: erano oltre 500mila nel 1999. Di questo 19 per cento, tre quarti hanno entrambi i genitori stranieri; dei restanti, oltre l’80 per cento ha la madre straniera e il padre italiano. L’aumento di bambini con genitori stranieri risulta comunque molto più legato alla propensione di questi ad avere figli in Italia che non a una maggiore popolazione straniera residente.

35,1
Sono i bambini, in percentuale, nati da coppie non sposate con almeno un genitore straniero: la tipologia in cui si verifica il dato più alto. In generale il 25 per cento dei bambini, oltre 132mila, nasce da coppie non sposate, rispetto al 10 per cento del 1999: la stessa percentuale vale per le coppie di soli italiani, mentre l’83 per cento delle coppie di stranieri che fanno figli sono sposate. Non c’è sempre una convivenza, nel caso delle coppie non sposate: solo il 77 per cento delle coppie italiane non sposate che hanno figli sono conviventi – in particolare al Sud solo il 63 per cento, con una certa indicazione di figli nati al di fuori di una progettualità di coppia – contro l’88 per cento di quelle straniere e quasi il 94 per cento di quelle miste.

24 anni
È l’età media più bassa della donna alla nascita del primo figlio, corrispondente alla categoria delle madri straniere non conviventi con padri italiani. All’estremo opposto, l’età media sale a oltre 31 anni per le madri di coppie italiane sposate. In media, nelle coppie non conviventi le madri sono sempre più giovani rispetto a quelle conviventi, che a loro volta sono più giovani di quelle sposate, e nelle coppie di italiani le madri – indipendentemente dal tipo di convivenza – sono sempre meno giovani (circa 30 anni) rispetto alle coppie miste o di stranieri (27 anni circa in entrambi i casi).

20
È la percentuale di concepimenti pre-nuziali, ovvero di nascite a distanza di meno di 7 mesi dal matrimonio, per le coppie con madre straniera e padre italiano. Un valore consistente se confrontato con quello delle coppie italiane, meno del 10 per cento, che scende ulteriormente al 6,5 per cento dei casi per le coppie di stranieri.

1 anno
È la durata di tempo più frequente che intercorre tra il matrimonio e la nascita del primo figlio, valida per tutte le tipologie di coppie: accade in oltre il 25 per cento delle coppie miste e italiane e in quasi il 20 per cento delle coppie di stranieri.

39
È la percentuale di madri con 3 o più figli che lavorano. Il dato sale al 52,3 e al 57,8 rispettivamente per quelle con 2 figli e un figlio. Prendendo come riferimento il grado di istruzione della mamma (alto se universitario, medio per la scuola superiore e basso per la scuola media o meno), il numero di figli diminuisce sempre con l’aumentare del livello di studio: tra le madri con 3 o più figli, solo il 12,9 per cento possiede un grado di istruzione alto, mentre quasi il 52 per cento uno basso. Tra le madri con un figlio solo, quasi la metà ha un grado di istruzione medio, più del 30 per cento basso e meno del 20 per cento alto.

22
È la percentuale, tra le madri occupate prima dell’inizio della gravidanza, che non lo sono più dopo un paio d’anni dalla nascita del bambino. Questo indicatore nel 2012 è più alto rispetto a quello delle precedenti edizioni dell’indagine, superando di quattro punti percentuali quello del 2005. Più della metà delle madri ha dichiarato di non lavorare più perché si è licenziata o ha interrotto l’attività che svolgeva come autonoma (52,5 per cento); circa una madre su quattro è stata licenziata, e per una su cinque si è concluso un contratto di lavoro o una consulenza; il 3,6 per cento ha dichiarato di essere stata posta in mobilità.

Il dato è comunque più consistente al Sud e nelle isole, oltre il 30 per cento dei casi dopo il primo figlio, a fronte di un minimo del 16 per cento nel Nord-ovest del paese. Il valore cambia sensibilmente col tipo di coppia: è il 20 per cento per le coppie di italiani, quasi il 34 per cento per le coppie di stranieri e supera addirittura il 42 per cento per le madri straniere in coppie miste, evidenziando quanto il fenomeno di uscita dal mercato del lavoro in seguito alla nascita di un figlio sia ancora molto diffuso.

37,4
Sono in percentuale le madri del Sud Italia che lavorano, il dato più basso riscontrato: cresce al 37,6 nelle isole, al 58,1 per cento al Centro, al 61,4 nel Nord-est fino al 63 per cento delle madri occupate nel Nord-ovest, evidenziando una disparità significativa. Tra le madri che lavorano, è più diffuso il part-time rispetto al tempo pieno per le coppie di stranieri (60,6 per cento) e miste (51,7 per cento) rispetto alle italiane (44 per cento). Questo dato, come il precedente riguardo le madri che non lavorano, si basa ovviamente sulle dichiarazioni rese dalle intervistate, che seppur frutto di successiva elaborazione e correzione da parte dell’ISTAT potrebbero risentire della reticenza nel dichiarare la presenza di lavoro nero o comunque non regolare (tempo pieno registrato come parziale, per esempio).

51,4
È la percentuale di bambini affidata ai nonni nei primi due anni di vita, nei casi in cui le madri lavorano, contro il 37,8 per cento dei bambini che frequentano l’asilo nido. Solo nel 5,8 per cento dei casi sono affidati al padre o ad altri familiari e oltre il 4 per cento a baby-sitter. I dati variano poco per ripartizione geografica (spicca solo il dato di quasi il 42 per cento dei nidi al Centro contro il 33 al Sud) mentre cambiano molto comprensibilmente in base alla tipologia di coppia: solo il 17,7 per cento delle coppie stranieri affida i bambini piccoli ai nonni mentre nel 9,2 per cento se ne occupa direttamente il padre, ed è molto più frequente l’iscrizione ai nidi, il 56 per cento, a fronte del 45,8 delle coppie miste e del 35,8 di quelle di italiani. Tra le madri i cui figli non frequentano il nido ma avrebbero voluto, oltre il 50 per cento imputa la causa a una retta troppo cara e solo il 12 per cento alla mancanza di posti disponibili.

800 euro
È l’importo di una spesa imprevista che la maggioranza delle famiglie con 3 o più figli non è in grado di affrontare. Questa cifra risulta eccessiva anche per il 42 per cento delle famiglie con 2 figli e per il 38,3 di quelle con un solo figlio. Cambiano moltissimo i valori in base alle coppie: oltre il 73 per cento delle coppie di stranieri, a prescindere dal numero dei figli, non è in grado di affrontare una spesa del genere, mentre lo è il 60 per cento circa delle coppie miste e oltre il 62 di quelle italiane. I dati mutano con l’area geografica considerata, peggiorano decisamente al Sud – dove è un problema anche per il 50 per cento delle coppie italiane – e migliorano al Nord dove non sarebbe un problema per il 63 per cento delle coppie miste.

2,3
Sono i figli “attesi”: la somma tra quelli già avuti e quelli che la donna progetta di avere lungo il corso della sua vita. Il dato è interessante se confrontato col tasso di fecondità totale, 1,4 figli per donna nel 2012, sceso a 1,39 nel 2013, che però risulta decisamente diverso per le donne italiane (1,29) rispetto alle straniere (2,1). In particolare circa tre donne su quattro tra quelle che hanno un solo figlio pianificano di averne almeno un altro. Di queste, il 57 per cento circa mostra una netta preferenza verso la famiglia con due figli, il 13,1 per cento pianifica la nascita di due ulteriori figli, mentre la propensione verso famiglie più numerose è assai contenuta. Al contrario, poco meno di una madre con un solo figlio su quattro non progetta di allargare ulteriormente la famiglia.

La legge delega 183/2014, più nota come Jobs Act, prevede all’art. 1 comma 9 alcuni interventi “per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, da attuare tramite i decreti legislativi che il governo dovrebbe varare nei prossimi mesi. In particolare questi interventi dovrebbero estendere le categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, garantire una maggiore flessibilità dei congedi obbligatori e parentali e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche attraverso il ricorso al telelavoro.

La legge 190/2014, anche nota come legge di stabilità, prevede l’erogazione da parte dell’INPS di un bonus mensile da 80 euro a favore dei genitori di bambini nati o adottati tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, per nuclei familiari con un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), non superiore a 25mila euro, 160 euro in caso di ISEE fino a 7mila euro. Manca ancora tuttavia il decreto che stabilisca le modalità di erogazione del bonus, inizialmente previsto entro gennaio 2015.