Chi era Stefano Gaj Taché
La storia del primo ebreo assassinato in Italia dal 1945 – un bambino morto nell'attentato alla sinagoga di Roma del 1982 – citata nel suo discorso da Sergio Mattarella
Nel suo discorso di insediamento, il nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato di Stefano Gaj Taché, un bambino di due anni morto il 9 ottobre del 1982 nell’attentato alla sinagoga di Roma: è stato il primo ebreo assassinato in Italia dal 1945.
Era sabato e nella sinagoga si stava celebrando lo Sheminì Azzereth, il giorno della benedizione dei bambini. Non era stato organizzato alcun servizio di sicurezza fuori dal tempio: intorno a mezzogiorno le famiglie cominciarono a uscire quando una decina di attentatori – che appartenevano a un commando palestinese – lanciò delle granate e poi si mise a sparare. Altre 37 persone rimasero ferite. Scrive La Stampa:
«Ero arrivato in sinagoga un po’ più tardi del solito», racconta Marco Di Porto, cantore del coro dal 1948. «C’erano feriti da raccogliere e trasportare di corsa all’ospedale. Ho prestato i primi soccorsi; poi ho iniziato a fare il giro degli ospedali». Nell’anticamera della sala operatoria del Fatebenefratelli, il padre di Stefano Taché, Yossi. Tutta la sua famiglia era stata colpita. Il più grave era il figlio minore, preso alla fronte da un colpo di mitraglietta. Rievoca Di Porto: «Mentre ero lì, un’infermiera uscì dalla sala operatoria scuotendo la testa: Stefano non ce l’aveva fatta. Yossi diede un pugno fortissimo a una vetrata, mandandola in frantumi».
Il 12 ottobre si svolse il funerale di Stefano Gaj Taché, a cui parteciparono migliaia di persone. Il rabbino Toaff invitò l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a non partecipare ai funerali: dopo l’attentato ci furono infatti molte accuse e polemiche da parte della comunità ebraica nei confronti del governo. Erano gli anni della guerra in Libano e della strage di Sabra e Shatila, Israele e la sua politica erano molto criticati dai politici italiani di sinistra e anche da molti democristiani. Pochi giorni prima dell’attentato il leader dell’OLP, Yasser Arafat, era stato ricevuto dal presidente della Repubblica Sandro Pertini al Quirinale e da Giovanni Paolo II al Vaticano. Gli unici a rifiutarsi di incontrare Arafat furono l’allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, e i radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino.
Due giorni dopo l’attentato il consigliere comunale romano Bruno Zevi pronunciò un famoso discorso in Campidoglio (che venne pubblicato integralmente il giorno seguente sulle pagine del Tempo) a nome della Comunità Ebraica, davanti al sindaco di allora Ugo Vetere. Zevi parlò dell’antisemitismo diffuso, accusò il ministero degli Interni di un’Italia «che manda i suoi bersaglieri in Libano per proteggere i palestinesi, ma non protegge i cittadini ebrei italiani», criticò il Vaticano «per il modo pomposo in cui ha ricevuto Arafat», i politici e i media «che salvo rare eccezioni hanno distorto fatti e opinioni». Alla fine del suo discorso Zevi disse: «L’antisemitismo è esistito per duemila anni, non dal 1948, dalla proclamazione dello Stato d’Israele. Non crediamo all’antisionismo filosemita: è una contraddizione in termini».
Degli attentatori ne venne individuato solo uno, arrestato in Grecia il 20 novembre 1982: Abdel Al Zomar, ex presidente del gruppo universitario degli studenti palestinesi in Italia, accusato di aver organizzato il massacro per conto di una fazione del gruppo guidato da Abu Nidal. Venne condannato ed estradato in Libia. Negli anni diversi importanti esponenti della Comunità ebraica – ma anche l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – hanno chiesto di rimuovere il segreto di Stato su quanto accaduto.