La vita di Maria Schneider
Quattro anni fa morì un'attrice francese resa famosa in tutto il mondo soprattutto da un film – anzi: una scena – e che ebbe poi una vita piuttosto complicata
Maria Schneider morì il 3 febbraio di quattro anni fa, nel 2011, a causa di un cancro ai polmoni. Era un’attrice francese e nonostante avesse recitato in diversi film, fu associata per gran parte della sua vita a un unico ruolo e a un unico film: quello di Jeanne in Ultimo tango a Parigi.
Il suo vero nome era Marie-Christine ed era nata nel 1952 da una relazione tra l’attore Daniel Gélin (protagonista del film di Hitchcock L’uomo che sapeva troppo) e Marie-Christine Schneider, una modella di origini rumene. Il padre non la riconobbe (lo incontrò quando era ormai adolescente) e lei prese il cognome della madre. Cominciò la sua carriera a teatro, quando non aveva ancora quattordici anni, e arrivò al cinema grazie all’aiuto di Brigitte Bardot. Il suo primo ruolo lo ottenne per una piccola parte in L’albero di Natale di Terence Young. Nello stesso anno (1968) partecipò con Alain Delon a Madly. Il piacere dell’uomo.
Fu soprattutto un film a rendere famosa nel mondo Maria Schneider, quando aveva 20 anni: Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, con Marlon Brando. Il film conteneva diverse scene di sesso tra Brando e Schneider e dopo la sua uscita nelle sale italiane, il 15 dicembre del 1972, fu sequestrato per «esasperato pansessualismo fine a se stesso». La Cassazione confermò la decisione e Bertolucci venne privato dei diritti civili per cinque anni, per offesa al comune senso del pudore. Tutto questo contribuì al successo dell’attrice e anche a quello del film, che entrò così nella cultura popolare di quegli anni. Molti anni dopo, quel film finì al centro di un’altra discussione quando Schneider – in un’intervista del 2007 – disse di essere stata quasi violentata durante la scena più famosa di Ultimo tango a Parigi – che la mostrava costretta a subire un rapporto anale – e di aver dovuto affrontare diverse conseguenze a causa dell’umiliazione subita:
«Mi hanno quasi violentata. Quella scena non era prevista nella sceneggiatura. Io mi sono rifiutata, mi sono arrabbiata. Ma poi non ho potuto dire di no. Avrei dovuto chiamare il mio agente o il mio avvocato perché non si può obbligare un attore a fare qualcosa che non è nella sceneggiatura. Ma all’epoca ero troppo giovane, non lo sapevo. Così fui costretta a sottopormi a quella che ritengo essere stata una vera violenza. Le lacrime che si vedono nel film sono vere. Sono lacrime di umiliazione».
Dopo l’uscita del film, Schneider interruppe i suoi rapporti con Bertolucci e iniziarono per lei anni difficili. Nel 1978, durante le riprese di Caligola, venne licenziata per essersi rifiutata di girare delle scene di nudo: ebbe una crisi nervosa e venne anche ricoverata in un ospedale psichiatrico di Roma. Ricevette rifiuti da diversi registi (quello di Luis Buñuel per Quell’oscuro oggetto del desiderio, tra gli altri), ebbe problemi di droga, sopravvisse a un’overdose e tentò il suicidio. Riuscì a ottenere pochi altri ruoli in opere importanti: Professione reporter di Michelangelo Antonioni (1975), Cercasi Gesù di Luigi Comencini (1982), Jane Eyre di Franco Zeffirelli (1996). L’ultima sua apparizione al cinema è stata in Qualcosa in cui credere nel 1998.
Nel corso degli anni Novanta si dedicò a film per la televisione e alla musica, pubblicando un disco e un singolo dedicato a Lucio Battisti in cui cantava insieme a Cristiano Malgioglio.