Unbroken, la storia vera
Il nuovo film diretto da Angelina Jolie racconta la storia di un atleta olimpico finito nelle mani dei giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, dopo essere precipitato con il suo aereo nel Pacifico
Giovedì 29 gennaio è uscito al cinema in Italia “Unbroken“, diretto da Angelina Jolie e interpretato dall’attore britannico Jack O’Connell. Il film racconta la storia vera di Louis Zamperini, atleta olimpico che si arruolò nell’aviazione americana durante la Seconda guerra mondiale e il cui aereo fu poi abbattuto sull’Oceano Pacifico. Zamperini fu costretto a passare quasi due mesi su una zattera di salvataggio e fu tenuto prigioniero dai giapponesi per tre anni.
Zamperini nacque il 26 gennaio 1917 nello stato di New York. I suoi genitori erano originari di Verona e parlavano soltanto poche parole di inglese. Zamperini arrivò fino al liceo senza riuscire a parlare bene la lingua e per questo fu spesso preso di mira dai bulli della scuola che frequentava a Torrance, una città a sud-ovest di Los Angeles. Il padre gli diede le prime lezioni di boxe per difendersi e dopo poco tempo Zamperini «cominciò a fargliela pagare» ai ragazzi che si prendevano gioco di lui. La boxe non era però il suo sport preferito. Su suggerimento del fratello maggiore Pete, Zamperini cominciò ad allenarsi sul circuito di atletica leggera del suo liceo.
Nel 1934 Zamperini ottenne il record dello stato nella corsa da un miglio riservata ai liceali. Per quasi vent’anni nessuno sarebbe riuscito a battere il suo tempo, 4 minuti e 21 secondi e 2 decimi. A diciannove anni si qualificò per i cinquemila metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Erano gli anni della Grande Depressione e gli Zamperini non erano una famiglia molto ricca. Louis raccontò che durante il viaggio in nave verso l’Europa rimase incredulo di fronte al buffet della colazione, più ricco di qualunque pranzo o cena avesse mai visto nella sua vita. Durante il viaggio di diverse settimane ingrassò cinque chili.
Durante la gara a Berlino, Zamparini non brillò particolarmente e arrivò 13esimo. Molti notarono però la sua accelerazione improvvisa a gara quasi conclusa: tra gli altri, si complimentò con lui anche Adolf Hitler. Zamperini ha raccontato di essere stato lui stesso a chiedere di poter scattare una foto insieme a Hitler: «Ero piuttosto ingenuo per quanto riguardava la politica internazionale e pensavo che [Hitler] avesse un aspetto buffo, come qualcuno uscito da un film di Stanlio e Ollio». Zamperini fu introdotto a Hitler dal ministro della propaganda Joseph Goebbels. Stringendogli la mano, Hitler commentò: «Quindi sei tu il ragazzo dello scatto finale».
Cinque anni dopo Zamperini era diventato un ufficiale dell’aviazione americana e avrebbe potuto finire a bombardare proprio la Germania di Hitler. Si ritrovò invece a combattere nel Pacifico contro i giapponesi. Durante una missione sopra un’isola controllata dal nemico, il suo aereo fu gravemente danneggiato e gran parte del suo equipaggio fu ferita o uccisa. Da quel momento Zamperini fu trasferito a un altro reparto, incaricato di compiere lunghi voli di soccorso per salvare altri piloti dispersi in mare. Durante una missione, il suo aereo precipitò in mare a causa di un malfunzionamento meccanico. Degli undici uomini dell’equipaggio si salvarono soltanto Zamperini ed altri due.
Aggrappati a una zattera di salvataggio, i tre uomini dovettero sopravvivere a tempeste, incursioni a bassa quota di aerei giapponesi e attacchi di squali. L’unica acqua che potevano bere era quella che riuscivano a conservare dopo i frequenti temporali, mentre per il cibo erano costretti a mangiare crudi i piccoli pesci che riuscivano a catturare. Il 33esimo giorno uno dei due compagni di Zamperini morì e dopo 47 giorni i due sopravvissuti arrivarono finalmente in vista della terraferma. Si trattava delle isole Marshall, controllate dalla marina giapponese.
Zamperini e il suo compagno furono catturati e passarono i successivi tre anni trasferiti da un campo di prigionia all’altro per tutto il Giappone. Si trattava di luoghi famosi per il trattamento brutale che i carcerieri riservavano ai prigionieri: Zamperini passò per le mani di diversi militari giapponesi che dopo la guerra furono condannati per avere commesso crimini contro l’umanità. Zamperini ha raccontato che riusciva a «sopportare le botte e le punizioni fisiche, ma era molto più difficile resistere al tentativo di distruggere la nostra dignità, di trasformarci in non-persone». Con la resa del Giappone, Zamperini fu finalmente liberato e poté ritornare negli Stati Uniti. Per tre anni la sua famiglia era rimasta convinta che lui fosse morto nell’incidente aereo sull’Oceano Pacifico.
Qualche anno dopo la guerra, Zamperini cominciò ad aver problemi con l’alcol e arrivò quasi a divorziare da sua moglie. Fu un periodo molto difficile dalla sua vita: come ha raccontato nelle sue diverse biografie, comunque, riuscì a rimettersi in sesto. Il matrimonio con sua moglie Cynthia durò 54 anni, fino alla morte di lei nel 2001. Zamperini continuò a fare sport e a restare attivo fino a 90 anni. Parlava spesso in pubblico delle sue avventure, e anche grazie ai tre libri che gli sono stati dedicati (tra cui l’ultimo, “Unbroken” di Laura Hillenbrand, da cui è stato tratto il film), è sempre rimasto un personaggio piuttosto noto negli Stati Uniti. Zamperini è morto il 2 luglio 2014 a causa di una polmonite nella sua casa di Los Angeles. Aveva 97 anni.