Se ammazzo un romeno e se lui ammazza me
Lo scrittore Antonio Pennacchi riflette sul Corriere su due diverse e terribili storie di violenza e conseguenze giudiziarie
Lo scrittore Antonio Pennacchi racconta oggi nella pagina dei commenti del Corriere della Sera due brutte storie di violenza nella metropolitana di Roma e le loro diverse conseguenze giudiziarie, per riflettere su “due pesi e due misure della giustizia italiana”, come dice il titolo dell’articolo.
Pochi anni fa – era l’8 ottobre del 2010 – nella stazione della metro Anagnina a Roma vengono a diverbio, per questioni di fila, un ragazzo italiano di vent’anni e una donna romena di trentadue, di professione infermiera, sposata e con un figlio. Pare che poi — andandosene — il ragazzo le abbia detto: «Ma non te lo insegnano al Paese tuo a stare in fila?». Lei allora gli corre dietro fin fuori la stazione, inveendo e sputandogli addosso. Lui si volta, le sferra un pugno — non so se al volto o in testa — lei cade e resta a terra. Lui se ne va. Lo insegue però e lo blocca un militare di passaggio della Capitaneria di porto, che lo consegna ai vigili quando arrivano. Lei è sempre a terra. Chiamano il 118. Otto giorni di coma e muore. Si chiamava Maricica Hahaianu. È dell’altro giorno la notizia invece (26/1/2015) che il ragazzo condannato in appello nel 2012 a otto anni — per omicidio preterintenzionale e concessione delle attenuanti — è stato scarcerato, per essere affidato ai servizi sociali. Dopo complessivi quattro anni di carcere e arresti domiciliari, torna quindi in libertà, pure se relativa: «Potrà uscire di casa per andare al lavoro e in palestra, purché rientri nella sua abitazione entro le otto di sera». Stop.
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