Le grandi proteste di Pristina
Circa 2 mila manifestanti si sono scontrati con la polizia: chiedevano le dimissioni di un ministro serbo accusato di aver insultato la maggioranza albanese
Martedì 27 gennaio, a Pristina, la capitale del Kosovo, ci sono stati scontri e manifestazioni contro il governo organizzati dai partiti di opposizione. Si è trattato di uno degli episodi di maggior violenza nella storia recente del paese, da quando cioè si è separato dalla Serbia, nel 2008. Circa 2 mila manifestati di etnia albanese hanno lanciato sassi, molotov e altri oggetti contro la polizia vicino al palazzo del governo. Gli agenti hanno risposto sparando gas lacrimogeni e usando i cannoni ad acqua. Almeno 37 persone sono rimaste ferite: 22 poliziotti e 15 manifestanti.
I manifestanti criticavano il governo per non aver voluto nazionalizzare il complesso minerario di Trepca, reclamato anche dalla Serbia, ma soprattutto chiedevano le dimissioni del ministro Aleksandar Jablanovic, di etnia serba, accusato di aver minimizzato i crimini di guerra commessi contro gli albanesi durante la guerra con la Serbia tra il 1996 e il 1999. Due settimane fa, inoltre, lo stesso ministro aveva definito dei «selvaggi» alcuni cittadini di etnia albanese che avevano ostacolato l’accesso ad un monastero del Kosovo a dei pellegrini serbi. Jablanovic si era comunque scusato pubblicamente.
Il Kosovo è un paese di circa 1,8 milioni di abitanti, di cui la grande maggioranza di lingua albanese, ma con una minoranza composta da circa 120 mila serbi. Quella di oggi a Pristina è la seconda giornata di proteste, dopo quella che si è svolta sempre nella capitale lo scorso 24 gennaio. Nell’ultima settimana, e per lo stesso motivo, ci sono state diverse manifestazioni anche in altre città del paese.