Quelli che ce l’hanno col buonismo
Sono i nuovi fascisti, spiegava un articolo molto attuale pubblicato esattamente sette anni fa
La critica al “buonismo”, diventata da anni una frequente e pigra battaglia di molti che cercano un alibi per il proprio “cattivismo” o uno strumento per criticare chi fa e sostiene cose buone, fu descritta in questa sua forma con grande esattezza in un articolo uscito su Repubblica esattamente sette anni fa. Lo scrisse Giovanni Maria Bellu, ed è sempre molto valido.
“Buonismo”. Secondo lo Zingarelli indica un “atteggiamento bonario e tollerante che ripudia i toni aspri del linguaggio politico”. Ma, sarà per il rapido successo che ha avuto – è nel vocabolario solo dal 1995 – “buonismo” ha progressivamente assunto un significato diverso, sempre meno “buonista”. Nel linguaggio del centrodestra è diventato sinonimo di pappamolle.
L’accusa di “buonismo”, infatti, è temuta. Lo dimostra l’uso preventivo che di questo termine viene fatto nel centrosinistra. Interessante, in proposito, una dichiarazione (Agenzia “Dire”, 3 gennaio) dall’assessore alle Pari opportunità di Reggio Emilia che, nell’annunciare il passaggio dal forfait al contatore nel computo della spesa elettrica dei campi nomadi, ha tenuto a chiarire di aver agito “in base a una logica di inclusione” e non “in base a una logica buonista”.
Il “buonismo” senza specificazioni è una rarità. Le primarie del partito democratico hanno spinto in vetta alle classifiche il “buonismo veltroniano” (che, non è difficile prevederlo, nella prossima campagna elettorale sarà uno dei tormentoni del centrodestra in tema di sicurezza pubblica). Ma il luogo privilegiato delle accuse di “buonismo” è il tema dei diritti degli immigrati.
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