Svegliarsi tardi per lavorare meglio
Una ricerca americana dice che dormire di più la mattina migliora la produttività sul lavoro e che gli orari flessibili possono essere una soluzione
di Jill Krasny - Slate
Sapete già che dovreste dormire tra le sette e le nove ore a notte. Ma lo fate? Probabilmente no. Secondo i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC), l’agenzia federale statunitense che si occupa della sanità pubblica, il 30 per cento dei lavoratori americani adulti dorme per meno tempo [la cosa vale anche in Italia: il 10 per cento degli italiani soffre di insonnia, e il 12 per cento dorme meno di quanto dovrebbe per altri motivi], e i risultati non sono buoni. Non solo la mancanza di sonno ostacola la produttività a lungo termine, ma può anche danneggiare la pelle e il desiderio sessuale.
Fortunatamente Mathias Basner, della University of Pennsylvania Perelman School of Medicine, potrebbe avere una soluzione. Dopo aver analizzato le abitudini lavorative e del sonno di 124.517 americani adulti, come registrato nella ricerca “American Time Use Surveys” condotta dal 2003 al 2011, lui e i suoi colleghi hanno concluso che tutto quello di cui abbiamo bisogno è cominciare la giornata più tardi, o almeno renderne l’orario di inizio più flessibile. La ricerca è stata pubblicata online sulla rivista Sleep.
«I risultati mostrano che per ogni ora in cui il lavoro o l’apprendimento iniziano più tardi nella mattinata, il sonno aumenta di venti minuti» spiega la ricerca. «Le persone intervistate hanno detto di dormire per una media di sole sei ore, quando iniziano a lavorare alle 6 di mattina o prima, e 7 ore e mezza quando cominciano a lavorare tra le 9 e le 10». I lavoratori autonomi intervistati se la cavano ancora meglio, dormendo «abbondantemente di più dei lavoratori del settore privato» e hanno il 17 per cento di probabilità in meno di essere uno short sleeper, una di quelle persone che hanno bisogno di poche ore di sonno.
Evidentemente degli orari flessibili potrebbero far sentire meglio le persone al lavoro, anche se non tutti sono convinti della loro efficacia. È stato provato che permettere a chi lavora in gruppo una certa libertà sul quando (e il dove) deve lavorare attira e trattiene i talenti migliori. Ma non serve a molto se i dirigenti non sono a loro volta coinvolti, secondo la società di ricerca Mercer. Uno studio pubblicato sull’Academy of Management Journal propone una spiegazione: «I manager spesso interpretano l’approfittare della possibilità di avere orari di lavoro flessibili da parte di una persona come un segnale di poca o tanta dedizione al lavoro» scrive Nanette Fondas su Time. Nello specifico, «se un capo attribuisce la necessità di un dipendente di avere orari flessibili a ragioni personali, come l’occuparsi di un bambino, invece che per motivi legati al migliorare le prestazioni lavorative, come acquisire nuove competenze, il capo tende a giudicare il lavoratore come meno zelante e meno meritevole di ottenere riconoscimenti professionali come aumenti e promozioni».
Eppure, chi può non essere d’accordo con migliori prestazioni sul lavoro? Una cultura pro-sonno è salutare per tutti.
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