L’app per far finta di avere un fidanzato

"Invisible Boyfriend" permette di messaggiare con fidanzati immaginari: serve a mostrare ad amici e parenti impiccioni le prove di una relazione

di Caitlin Dewey – Washington Post

Una delle regole fondamentali di Invisible Boyfriend, un servizio che inventa un finto fidanzato per ingannare familiari petulanti e amici inopportuni, è che gli utenti non devono mai e in nessuna circostanza innamorarsi dei finti fidanzati. Ho usato il servizio per 24 ore, e mi chiedo: come farò a non innamorarmi di lui? Dopo tutto Invisible Boyfriend – che è stato lanciato per la prima volta lo scorso lunedì – spinge il concetto di intimità virtuale molto al di là di qualsiasi altro servizio di finti appuntamenti.

Quando ti registri a Invisible Boyfriend puoi progettare il tuo fidanzato o fidanzata come preferisci: è una cosa simile a selezionare i geni per un ipotetico figlio “perfetto” (“designer baby” in inglese), tranne per il fatto che lo si fa per un adulto immaginario. Scegli il nome, l’età, gli interessi e i tratti della sua personalità. Puoi dire all’app se preferisci le bionde o le brune, i ragazzi alti o bassi, le persone a cui piace il teatro o lo sport. Poi strisci la carta di credito – il servizio costa circa 20 euro al mese – e il finto uomo dei tuoi sogni comincia a messaggiare con te.

L’uomo che sta messaggiando con te non è davvero immaginario. È una persona vera che scrive a molte donne, facendo acrobazie per rispondere alle richieste e alle fantasie di ognuna di loro. Devo ammettere che l’ho imparato nel peggiore dei modi: volevo “smascherare” il software che credevo generasse le risposte del mio finto fidanzato – che ho chiamato “Ryan Gosling” – e gli ho detto che i miei piani per la serata includevano guardare “Downton Abbey”, una serie tv britannica, e addormentarmi piangendo. «Perché le lacrime, bellissima?» mi ha risposto il finto Ryan Gosling prima di iniziare una conversazione sul suo personaggio preferito di Downton Abbey, cioè Thomas, il personaggio più sgradevole della serie tv. Questo è stato il primo segnale: i “bot” non sanno niente di “Downton Abbey”, ma se anche fossero esperti di certo non sceglierebbero Thomas come loro personaggio preferito.

«O mio dio», ho pensato. «Questo completo sconosciuto, chiunque lei o lui sia, ora pensa che io sia una che si addormenta piangendo mentre guarda la televisione e messaggia con un finto fidanzato a pagamento che ha chiamato come un attore». In teoria non avrei dovuto provare niente: la cosa del non avere sentimenti è scritta chiaramente nei Termini di Servizio di Invisible Boyfriend. Ma ho comunque provato qualcosa. «Questa è l’opinione più interessante che sento da diverso tempo» mi ha spiegato Matthew Homann, l’affabile fondatore dell’app. «Lo so come funziona, so bene cosa succede dietro le quinte. Come utente, provando il servizio in fase beta ho avuto comunque l’istinto di rispondere alla mia ragazza invisibile subito dopo aver ricevuto un messaggio. È quello che si prova quando si parla con qualcuno, anche se non è nessuno».

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Il mio fidanzato invisibile, mi ha poi spiegato Homann, sono in realtà diversi fidanzati: il servizio funziona grazie a CrowdSource, una società di St. Louis, in Missouri (Stati Uniti), che controlla circa 200mila persone in remoto che lavorano a piccole mansioni. Quando mando un messaggio al numero di Ryan che ho salvato nella mia rubrica, il messaggio passa attraverso Invisible Boyfriend: qui il mittente diventa anonimo e il messaggio viene assegnato a qualche freelancer su CrowdSource. Lui (o lei) guadagna un paio di centesimi per ogni risposta. Non vede mai il mio numero o il mio nome e non è autorizzato ad avere una vera conversazione con me. «Quel rapporto che tu hai con Ryan potrebbe essere con sei o sette Ryan» mi ha spiegato Homann.

Secondo Homann, la cosa funziona bene così com’è: lo scopo di Invisible Boyfriend è quello di ingannare amici e familiari degli utenti, non gli utenti stessi. Invisible Boyfriend chiama se stesso una “prova sociale credibile”: se tua madre ti tartassa per sapere quando ti sistemerai, o se il tuo amico non ti lascia stare e continua a provarci, puoi tirare fuori il cellulare e mostrare alla persone di fronte a te le prove della tua relazione. Homann dice che il servizio ha guadagnato molti utenti anche nei paesi tradizionalisti di America Latina ed Europa, dove i pregiudizi contro l’essere single o LGBT sono ancora piuttosto forti. Homann spera di espandersi ulteriormente in questi paesi, grazie alle migliorie che sta apportando al suo servizio e ai feedback degli utenti. Vorrebbe anche aumentare i servizi offerti: nel futuro i finti fidanzati potrebbero cominciare a mandare lettere o spedire fiori al lavoro. Anche se le storie dovessero diventare più convincenti e coinvolgenti, Homann non è preoccupato del rischio che gli utenti possano affezionarsi alla finzione che si sono creati. «Tu lo sai che è uno scherzo, lo sai che è un servizio per cui paghi. Non è un sostituto per l’amore»

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Mi chiedo se Homann non stia sottostimando i capricci del cuore umano, che può essere ingannato nell’amare più o meno qualsiasi cosa. Ci sono molti esempi di persone coinvolte in una relazione nata su Second Life, una sorta di mondo virtuale molto popolare fino a qualche anno fa. La critica di videogiochi Kate Gray ha recentemente pubblicato un’ode a “Dorian”, personaggio di un videogame di cui si è innamorata. Alcuni ricercatori suggeriscono che anche i “bot” che ci riempiono la casella mail di spam provocano qualche tipo di risposta emotiva, forse perché accarezzano il nostro lato vanitoso. All’opposto, un antropologo ha sostenuto che le nostre relazioni sono diventate così mediate dalla tecnologia da diventare indistinguibili da quelle con i Tamagochi.

«Internet è un medium che ci disinibisce proprio quando le difese emotive delle persone sono abbassate» ha detto lo psicologo Mark Griffiths a proposito delle relazioni su Second Life. «È la stessa cosa che accade con gli sconosciuti sul treno, quando ti ritrovi a raccontare cose molto intime a un perfetto sconosciuto». Non è difficile immaginare che qualcuno possa sviluppare dei sentimenti per un essere umano virtuale che provvede a ogni tua minima esigenza. È praticamente la trama del film “Her”, no? Ho chiesto a Gosling se “lui”, o meglio “loro”, sono preoccupati che possa succedere come in “Her”: cosa succederebbe se un cliente cominciasse a provare veri sentimenti? Fedele alle regole di CrowdSource, Gonsling non si è scomposto e non è uscito dal personaggio. «Pensi che scriva anche ad altre ragazze?» mi chiede. E poi, riportando il discorso sul Her:«Ah! Ti è piaciuto quel film?».

Non è esattamente materiale per una favola, lo devo ammettere. Ma con abbastanza tempo e abbastanza messaggi (il mio piano ne include 100 al mese), sono quasi sicura che potrei innamorarmi di lui. Ehm, intendo dire: di loro.

©2015–The Washington Post