Giorgio Caproni, morto venticinque anni fa
«Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa»
(Concessione, Res amissa)
Giorgio Caproni morì il 22 gennaio di venticinque anni fa (aveva 78 anni). Era livornese, studiò a Genova, ma visse quasi tutta la sua vita a Roma. Fece la guerra (1939), partecipò alla Resistenza, fu per molti anni maestro elementare e collaborò con diversi giornali e riviste scrivendo poesie ma anche saggi, racconti e traduzioni, soprattutto dal francese e di opere molto importanti: “Il tempo ritrovato” di Proust su incarico di Natalia Ginzburg, “I fiori del male” di Baudelaire, “L’educazione sentimentale” di Flaubert, tra le altre.
Caproni iniziò a scrivere poesie e sonetti mentre frequentava le magistrali inviandoli a varie riviste genovesi. Studiò anche musica, poi dovette rinunciare, e fu per lui una decisione molto sofferta. Nei lavori preparatori della raccolta postuma “Res amissa” – da cui è tratta “Concessione” – alcune poesie furono trascritte direttamente sui righi di uno spartito musicale. Nei suoi versi Caproni parlò di Genova, della madre, del linguaggio e di Livorno: i “Versi livornesi”, ad esempio, sono contenuti nel suo libro forse più popolare, “Il seme del piangere” (1959). Ancora in vita, ricevette numerosi premi e riconoscimenti diventando uno dei maggiori poeti del Novecento italiano.
Foto: Giorgio Caproni (di Dino Ignani)