Cosa si sa del rapimento di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo
Cosa ci facevano in Siria, chi le ha rapite e da dove arriva la notizia del pagamento di un riscatto: le cose certe, messe in ordine
Giovedì 15 gennaio Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, due cooperanti italiani rapite lo scorso luglio in Siria, sono state liberate. Negli ultimi due giorni si è scritto molto sul presunto riscatto pagato per la loro liberazione, e negli scorsi mesi si è parlato parecchio – spesso riportando informazioni non verificate – delle modalità del rapimento. Ecco in ordine quello che sappiamo fino ad oggi.
I fatti
Vanessa Marzullo, 21 anni, di Brembate in provincia di Bergamo, e Greta Ramelli, 20 anni, che abita a Gavirate in provincia di Varese, sono state rapite ad Aleppo, nel nord della Siria, la notte tra il 31 luglio e il primo agosto 2014. Si trovavano in Siria dal 28 luglio per conto del “progetto Horryaty”, un’associazione che organizza piccoli progetti di volontariato a favore dei civili siriani (in Siria da più di tre anni è in corso una complicata e sanguinosa guerra civile, che ha portato alla morte fin qui di oltre 170.000 persone). Il 31 dicembre scorso il Fronte al Nusra – il gruppo che “rappresenta” al Qaida in Siria – aveva diffuso un video che mostrava le due ragazze dire di essere in pericolo e chiedere aiuto al governo italiano.
Il rapimento
Fiorenza Sarzanini ha scritto sul Corriere alcune cose che le due cooperanti hanno raccontato ai magistrati dell’antiterrorismo che le hanno interrogate dopo il loro ritorno in Italia. Il rapimento, scrive Sarzanini, è avvenuto poche ore dopo l’arrivo ad Aleppo delle due ragazze, il 31 luglio, nella casa di un loro contatto. Il Corriere scrive che Ramelli e Marzullo hanno detto ai magistrati: «Sono arrivate due macchine con alcuni uomini armati e siamo state portate via. Stavamo a testa bassa, cercavamo di non guardarli in faccia. Loro comunque avevano il volto coperto. I rapitori parlavano poco, soltanto uno diceva qualche parola di inglese». Secondo Sarzanini, le due ragazze sapevano di essere state rapite a scopo di riscatto: «Dopo essere state catturate abbiamo chiesto ‘perché lo fate?’ E loro ci hanno risposto: ‘Per soldi’». Sempre secondo Sarzanini, le due ragazze sapevano di non essere ostaggio dello Stato Islamico, l’organizzazione fondamentalista che controlla parte dell’Iraq e della Siria. Verso la fine della loro prigionia Ramelli e Marzullo avevano anche capito che nelle trattative per la loro liberazione era coinvolto il Fronte al Nusra.
Nei mesi scorsi alcuni siti di news avevano scritto che Ramelli e Marzullo si trovavano insieme a una terza persona al momento del rapimento, che sarebbe riuscita a scappare e avvisare le autorità: era anche circolata la voce che la terza persona fosse il giornalista del Foglio Daniele Raineri, che oggi ha scritto un articolo per raccontare come sono andate le cose.
«La notte in cui Greta e Vanessa sono state rapite ero a circa venticinque chilometri dalla casa dov’erano loro. In giro è circolata la notizia di una fuga rocambolesca, ma semplicemente non ero lì, ero in una base di ribelli a sud di Aleppo, il fronte assadista era a circa cinque chilometri a est. Ho scritto “base”, ma era una casa di campagna abbandonata e usata dai ribelli. Niente elettricità, niente telefono né internet.»
Raineri ha scritto che la persona che gli ha detto del rapimento ha aggiunto che i rapitori stavano cercando anche lui. A quel punto Raineri è tornato con una macchina scortata in Turchia, dove ha avvisato il ministero degli Esteri italiano di quello che era successo.
Il riscatto
Secondo il quotidiano britannico Guardian, che ha citato fonti anonime “della sicurezza”, le due ragazze sono state liberate in cambio di un riscatto “multi-milionario”. Secondo Al Aaan, una televisione degli Emirati Arabi Uniti, il riscatto pagato è pari a 12 milioni di dollari, circa 10 milioni di euro. La cifra non è stata confermata da alcuna fonte ufficiale. Durante un’audizione alla Camera, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha definito le indiscrezioni sulla cifra pagata in cambio della liberazione delle due cooperanti «prive di fondamento». Secondo Giacomo Stucchi, deputato della Lega Nord e presidente del COPASIR, la commissione parlamentare incaricata di vigilare sui servizi segreti, la cifra di dodici milioni di dollari è «inverosimile».
Durante il suo discorso, comunque, Gentiloni non ha mai esplicitamente negato il pagamento di un qualche tipo di riscatto. Gentiloni ha detto: «L’Italia in tema di rapimenti si attiene a comportamenti condivisi a livello internazionale, sulla linea dei governi precedenti. Per noi la priorità è sempre la tutela della vita e integrità fisica dei nostri connazionali». In passato l’Italia è stata più volte accusata di pagare spesso per la liberazione degli ostaggi, insieme a molti altri paesi europei. Secondo un articolo pubblicato la scorsa estate sul New York Times, la Francia avrebbe pagato negli ultimi cinque anni quasi sessanta milioni di dollari in riscatti (in cambio della liberazione di un totale di 17 ostaggi). Secondo le ricostruzioni fatte da numerosi giornali italiani e internazionali tra i casi italiani di pagamento di riscatto ci sarebbero quelli di Simona Pari e Simona Torretta (settembre 2004), Giuliana Sgrena (febbraio 2005), Clementina Cantoni (Afghanistan, maggio 2005), Rossella Urru (ottobre 2011) e Mariasandra Mariani (febbraio 2011).
A chi è stato pagato il riscatto?
Secondo le fonti di sicurezza citate dal Guardian, il riscatto sarebbe stato pagato ad al Nusra. Daniele Raineri non ha fatto cenno alla possibilità che sia stato pagato un riscatto, ma ha scritto che probabilmente nel rapimento era coinvolta proprio al Nusra. Secondo Raineri, il rapimento è stato ordinato da Abdallah al Amni, che nel gruppo si occupa in particolare della “sicurezza interna” ed è specializzato in quelle che una fonte ha definito a Raineri “missioni segrete” e “assassinii”. Questo, sempre secondo Raineri, avrebbe reso più complicate le trattative.
Raineri, che ha scritto di aver avuto diversi contatti con il gruppo di funzionari italiani incaricati di trattare la liberazione delle due ragazze, ha raccontato dei lunghi mesi di trattative durante i quali spesso arrivavano informazioni contraddittorie e difficili da verificare. Secondo una di queste ricostruzioni, alla metà dello scorso ottobre le due cooperanti erano riuscite a fuggire dalla loro prigione e a mettersi in contatto con altri due gruppi di ribelli siriani. A quel punto ci sarebbe stato però un confronto tra gli uomini di al Nusra e gli altri ribelli. Non è chiaro se gli altri ribelli si siano ritirati per evitare lo scontro e se abbiano raggiunto un accordo con al Nusra per spartirsi il riscatto. Di fatto, da ottobre le due ragazze sono ritornate prigioniere fino alla loro liberazione.
Cosa facevano in Siria?
Raineri ha scritto che le due ragazze sembravano molto preparate nel loro lavoro di cooperanti e molto motivate. Il “progetto Horryaty” è stato fondato da Marzullo e Ramelli assieme al 47enne di Varese Roberto Andervill, e si appoggia ad altre associazioni di volontariato della zona. Dopo due viaggi in Siria organizzati fra marzo e maggio del 2014, le due ragazze erano tornate nel paese il 28 luglio: sono studentesse universitarie e in passato hanno avuto diverse esperienze di volontariato. Vanessa Marzullo studia Mediazione Linguistica e Culturale all’Università degli Studi di Milano. Su Facebook ha scritto di conoscere l’arabo e l’inglese. Greta Ramelli studia Scienze Infermieristiche. La pagina del “progetto Horryaty” riporta che negli anni scorsi è stata impegnata in attività di volontariato in Zambia e in India.
La prima iniziativa del progetto riportata dalla propria pagina è stata una raccolta fondi organizzata fra aprile e maggio del 2014. In tutto furono raccolti 2443 euro, che servirono ad acquistare medicine, latte in polvere e pacchi alimentari consegnati poi in alcuni villaggi nella zona di Idlib, nel nord della Siria, e ad Homs, nel sud del paese (qui alcune foto dei prodotti consegnati). Negli ultimi mesi l’associazione si era impegnata per organizzare nuove iniziative di raccolte fondi, come feste scolastiche, cineforum e mostre fotografiche. Non risulta che il “progetto Horryaty” fosse legato in particolare ad alcuna associazione religiosa, nonostante Andervill, il terzo socio fondatore, faccia parte di IPSIA, un’associazione non governativa che si occupa di volontariato sostenuta dalle ACLI, una nota associazione cristiana.