La Corte Suprema si esprimerà sui matrimoni gay
Entro giugno deciderà se oltre al governo federale anche i singoli stati americani saranno tenuti a riconoscere i matrimoni gay: si parla di una decisione storica
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato di considerare quattro casi provenienti da altrettanti stati in cui il matrimonio gay è stato vietato da un tribunale federale. La decisione della Corte Suprema, composta da nove giudici, riguarderà però anche il resto degli stati americani: la Corte dovrà infatti decidere se il 14esimo emendamento della Costituzione – quello che protegge la parità di ciascun individuo davanti alla legge – preveda anche che ogni stato debba fornire una licenza matrimoniale alle coppie omosessuali che la richiedano, e se lo stesso emendamento imponga a uno stato di riconoscere un matrimonio la cui licenza è stata concessa altrove (per ora, infatti, il matrimonio gay è riconosciuto “solo” a livello federale: le legislazioni dei singoli stati possono rifiutarsi di considerare una coppia gay sposata). La Corte Suprema dovrebbe tenere le audizioni dei quattro casi in aprile, e decidere entro fine giugno.
È la prima volta che la Corte Suprema decide di intervenire direttamente sulla questione, dopo che nell’ottobre 2013 aveva dichiarato incostituzionale parte del Defense of Marriage Act, che impediva il riconoscimento dei matrimoni gay a livello federale. Nel caso la Corte si esprimesse favorevolmente su entrambi i quesiti, sarebbe una sentenza storica: le coppie omosessuali formate da cittadini statunitensi potrebbero fare richiesta per sposarsi in qualsiasi stato, e si vedrebbero riconosciuti i propri diritti di coppia sposata – oltre che da quella federale – anche dalla legislazione statale.
Ad oggi, 36 stati (più il District of Columbia) permettono a una coppia gay di sposarsi: il loro numero è praticamente quadruplicato nel giro di tre anni. Il 70 per cento dei cittadini statunitensi vive in uno stato che permette alle coppie omosessuali di sposarsi. L’amministrazione di Barack Obama, già dal 2011, è a favore dell’equiparazione fra matrimonio omosessuale ed eterosessuale: ieri, poco dopo la diffusione della notizia che la Corte Suprema avrebbe esaminato i quattro casi in questione, il procuratore generale Eric Holder ha detto che l’amministrazione richiederà ufficialmente alla Corte Suprema che «l’eguaglianza matrimoniale diventi una realtà per tutti gli americani». Secondo un sondaggio di Gallup, dal 1996 al 2014 i cittadini americani favorevoli alla legalizzazione dei matrimoni gay sono passati dal 27 al 55 per cento.
Come ci siamo arrivati
Il Defense of Marriage Act, approvato nel 1996 ma già allora apparso di dubbia costituzionalità, conteneva una definizione di matrimonio limitata a quello eterosessuale e che in generale riguardo il matrimonio gay sospendeva il tradizionale vincolo di reciprocità fra i vari stati. Prima dell’ottobre 2013, infatti, a una coppia omosessuale che si era sposata in Massachusetts (dove il matrimonio gay è legale dal 2004) non venivano riconosciuti i molti benefit fiscali e pensionistici federali – qui la lista di tutti i 1049 benefit – nel caso si fosse trasferita in uno stato in cui non era permesso il matrimonio gay. In seguito a quella decisione moltissime corti federali minori – seguendo la nuova ratio decisa dalla Corte Suprema, che ha obbligato lo stato federale a riconoscere il matrimonio gay – avevano quindi legalizzato il matrimonio gay in diversi nuovi stati (ancora nel 2012, solo 9 stati e il District of Columbia permettevano il matrimonio gay). Un anno dopo, nell’ottobre del 2014, la Corte Suprema ha rifiutato di esaminare gli appelli avanzati contro i matrimoni gay da parte di cinque stati in cui le proprie corti federali minori li avevano legalizzati, esprimendosi di fatto per una loro legittimazione anche a livello statale.
Il 6 novembre del 2014, però, la Corte d’Appello federale del sesto circuito, che ha giurisdizione in Kentucky, Michigan, Tennessee e Ohio, ha deciso di confermare il diritto di vietare il matrimonio gay nei quattro stati, al contrario di quanto deciso da alcune corti minori in ciascuno stato. Si è creata quindi una discrepanza fra quanto deciso da tutte le altre corti federali, che in questi mesi si sono sempre espresse favorevolmente sui matrimoni gay. Questa circostanza – il disaccordo fra le varie corti federali – poteva essere risolta solo da un intervento della Corte Suprema, come aveva già ipotizzato nei mesi scorsi Ruth Bader Ginsburg, una giudice 81enne della Corte.
Cosa può fare la corte
Le ipotesi più probabili sono tre, come spiega Vox. Per prima cosa, la Corte Suprema può decidere che i divieti ai matrimoni gay emessi dagli stati siano incostituzionali, e quindi decidere di fatto per una equiparazione fra matrimonio omosessuale ed eterosessuale. Oppure, può prendere la decisione opposta: e quindi riconoscere che ciascuno stato possa scegliere di non celebrare matrimoni gay e riconoscere un matrimonio contratto in un altro stato. Infine, può lasciare agli stati la possibilità di scegliere se emettere o meno licenze matrimoniali, ma obbligarli a riconoscere quelle emesse in altri stati. Anche questa sarebbe considerata una vittoria dagli attivisti LGBT: una coppia potrebbe sposarsi in uno stato che permette il matrimonio e trasferirsi in uno stato che lo vieta, ottenendo però tutti i diritti sia federali sia statali di una coppia sposata.
In molti ritengono che la Corte dovrebbe esprimersi positivamente su entrambi i quesiti con una maggioranza simile a quella che ha dichiarato incostituzionale il DoMA nel 2013: cioè i quattro giudici a nomina democratica più Anthony Kennedy, nominato giudice nel 1988 da Ronald Reagan ma considerato da anni vicino ai giudici liberal sulle questioni dei diritti LGBT.
foto: Kevork Djansezian/Getty Images