I documenti UE su Amazon e il Lussemburgo
Cosa c'è nelle carte dell'inchiesta per aiuti di stato annunciata a ottobre: la conclusione preliminare è che i vantaggi fiscali non siano «conformi alla libera concorrenza»
La Commissione europea ha reso pubblici i documenti che giustificano l’avvio di un’indagine per illegittimi aiuti di stato contro il Lussemburgo annunciata lo scorso ottobre: l’indagine riguarda le concessioni fiscali fatte dal governo del Lussemburgo ad alcune multinazionali straniere, tra cui Amazon, società statunitense che ha la sua sede legale europea proprio in Lussemburgo. L’accordo tra Amazon e il Lussemburgo risale al novembre del 2003 ed è ancora in vigore. Il documento della Commissione è lungo 23 pagine e, tra le altre cose, dice: «Il parere preliminare della Commissione è che l’accordo del 5 novembre 2003 costituisca un aiuto di Stato da parte del Lussemburgo a favore di Amazon» e cioè che l’accordo «non sia conforme al principio della libera concorrenza». I vantaggi fiscali selettivi possono costituire, secondo la Commissione, un aiuto di Stato: e gli aiuti di stato in base alle leggi europee sono illegittimi.
La decisione della Commissione europea di avviare un’inchiesta contro Amazon è stata annunciata il 7 ottobre 2014 ma i dettagli che la giustificavano non erano stati comunicati pubblicamente per consentire alla parte interessata di estrarre le informazioni considerate “confidenziali”. Le informazioni contenute nei documenti non forniscono nuove notizie sullo stato di avanzamento delle indagini di Bruxelles. La commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, si è impegnata a parlarne entro la fine di marzo 2015. Al centro dell’inchiesta c’è il cosiddetto “tax ruling”: si tratta della possibilità per una società di chiedere in anticipo come la sua situazione fiscale sarà trattata in un certo paese (come cioè saranno calcolate le imposte) e viene utilizzata dalle aziende multinazionali per ottimizzare i costi tra le filiali dei diversi paesi e per decidere anche le destinazioni più vantaggiose. I “tax ruling” sono effettuati da una ventina di stati dell’Unione europea e non sono comunque considerati illegali.
La Commissione spiega che le autorità fiscali lussemburghesi e Amazon avrebbero ottenuto dei vantaggi dopo l’accordo del novembre 2003. L’accordo convalidava i prezzi di trasferimento, quelli stabiliti per beni o servizi venduti da una società controllata a un’altra, dunque all’interno di uno stesso gruppo. Quando una società residente stabilisce un prezzo di trasferimento alle altre società dell’impresa multinazionale di cui fa parte che è maggiore o minore rispetto al valore normale di mercato di quei beni e servizi, si verifica anche un aumento (o una diminuzione) dei ricavi (o delle spese) che modifica la base imponibile. Si verifica cioè, per la multinazionale, una distribuzione dei redditi imponibili che permette di sfruttare i regimi fiscali favorevoli di alcuni paesi: A e B fanno parte della stessa società; A si trova in un paese ad elevata pressione fiscale, B in un paese a bassa pressione fiscale; se si fissa un prezzo di vendita di un bene di B molto elevato, il profitto maggiore si concretizza nel paese di B, quello cioè a bassa pressione fiscale e si abbassa anche la base imponibile delle società A, che si trova nel paese ad alta pressione con un vantaggio evidente per l’intero gruppo. Il Sole 24 Ore spiega così cosa sono i prezzi di trasferimento:
Le politiche aggressive sui prezzi di trasferimento (transfer pricing) finalizzate a ottenere un vantaggio fiscale puntano a sfruttare i passaggi interni di beni e servizi (vale a dire le cessioni di beni o l’erogazione di servizi) andando a fissare un corrispettivo a un valore non di mercato che consenta di spostare una parte dell’imponibile da uno Stato a fiscalità piena verso uno a basso prelievo (spesso un paradiso fiscale). Per citare un esempio, nella determinazione del corrispettivo che una società italiana deve pagare a una sua controllata estera in un Paese a fiscalità privilegiata si prevede un importo più alto che consenta di aumentare i costi in Italia e i ricavi nel Paese a fiscalità privilegiata.
Il Wall Street Journal dice che il governo del Lussemburgo ha reagito dicendosi «fiducioso che le accuse siano infondate e che sarà in grado di convincere la Commissione della legittimità del provvedimento fiscale»; un portavoce di Amazon ha detto che la società non aveva ricevuto alcun trattamento fiscale di favore dal Lussemburgo: «Siamo soggetti alle stesse leggi fiscali delle altre aziende che operano qui». Le parti avranno alcune settimane per presentare una risposta esplicativa alla decisione preliminare di oggi, prima cioè che la Commissione emetta la sua sentenza definitiva.
Amazon e il Lussemburgo non sono comunque gli unici due soggetti coinvolti in un’inchiesta simile da parte della Commissione. Nel giugno del 2014 sono stati chiesti chiarimenti sulla pratica del “tax ruling” a sei paesi: Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Regno Unito. Attualmente le inchieste aperte sono quattro: due in Lussemburgo e oltre a Amazon vedono coinvolta anche Fiat Finance and Trade, una in Irlanda nei confronti di Apple, e una nei Paesi Bassi nei confronti di Starbucks. Di “tax ruling” si è parlato di recente anche in Italia: le bozze del cosiddetto “investment compact”, uno dei provvedimenti del governo Renzi che dovrebbe essere discusso la prossima settimana in Consiglio dei ministri, include questa pratica. Scrive Repubblica:
«Le imprese che intendono avviare piani di investimento pluriennali di importo complessivo nominale superiore a 500 milioni, per importi annuali non inferiori a 100 milioni di euro – si legge nel testo – hanno accesso a una procedura di ruling che si conclude con la stipulazione di un accordo, tra il competente ufficio dell’amministrazione pubblica e l’impresa». L’accordo «vincola i contraenti per la durata del piano di investimento. Le modifiche di norme successive alla sottoscrizione dell’accordo e individuate nell’accordo medesimo, non si applicano ai piani di investimento già realizzati o in corso di realizzazione».
Qualche settimana dopo l’apertura dell’inchiesta da parte della Commissione UE contro il Lussemburgo per illegittimi aiuti di stato a favore di Fiat e di Amazon, diversi giornali europei, come il britannico Guardian, avevano pubblicato inchieste approfondite riguardanti alcuni accordi fiscali concessi dal governo del Lussemburgo a diverse società straniere, tra cui Pepsi, IKEA e FedEx. Stando ai dati riportati, queste società – e altre – avrebbero pagato sui profitti trasferiti in Lussemburgo aliquote molto basse, anche inferiori all’1 per cento: come specificato in tutte le inchieste non si trattava di accordi illegali in Lussemburgo, ma rimanevano comunque controversi per come erano differenti e vantaggiosi rispetto alla situazione in altri paesi europei. Le rivelazioni hanno messo in imbarazzo il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che è stato primo ministro del Lussemburgo tra il 1995 e il 2013: le inchieste riguardavano gli accordi fiscali conclusi tra il 2002 e il 2010, proprio durante il suo mandato.