Di chi è il New York Times?
Il miliardario messicano Carlos Slim è diventato il principale azionista della società editrice, ma la storica famiglia proprietaria mantiene il controllo decisionale
Il miliardario messicano Carlos Slim, considerato la seconda persona più ricca al mondo – dopo Bill Gates – è diventato il maggiore azionista di uno dei più famosi e importanti giornali del mondo, il New York Times. Carlos Slim ha un patrimonio stimato dalla rivista Forbes in circa 76 miliardi di dollari, guadagnati principalmente nel campo delle telecomunicazioni, del petrolio e in attività bancarie e assicurative.
Nel gennaio del 2009 Slim aveva prestato 250 milioni di dollari (l’equivalente di circa 211 milioni di euro) a Times Co., la società editrice del New York Times e di molti altri giornali e siti web, per aiutarla a superare la crisi finanziaria e dargli il tempo necessario per vendere alcune delle sue proprietà, come il giornale Boston Globe. Slim aveva inoltre investito in azioni del Times e nell’ottobre del 2011 arrivò a possedere l’8,1 per cento delle azioni societarie disponibili sul mercato. Oltre ad avere recuperato i soldi del prestito con gli interessi, l’accordo dava a Slim aveva anche un’opzione per acquistare 15,9 milioni di azioni disponibili sul mercato quasi alla metà del costo attuale (a 6,36 dollari ciascuna invece del valore che le azioni hanno oggi in borsa, 12,28 dollari). Slim ha deciso di far valere l’opzione nell’ultimo giorno disponibile, il 15 gennaio 2015, e ha acquistato le azioni creandosi così un profitto potenziale di 94 milioni di dollari (se e quando deciderà di vendere le azioni, lo potrà fare a prezzo pieno), diventando titolare del 16,8 per cento delle azioni disponibili sul mercato e quindi l’azionista di maggioranza nella società editrice del New York Times.
Occhio, però: le azioni disponibili sul mercato, quelle di cui è titolare Slim, sono azioni cosiddette “di classe A”. Sono azioni che permettono di incassare dividendi e avere voce in capitolo nella nomina dei membri del consiglio di amministrazione ma forniscono un potere decisionale molto inferiore rispetto a quello detenuto dai possessori delle azioni cosiddette “di classe B”. La grande maggioranza delle azioni di classe B è di proprietà della famiglia Ochs-Sulzberger, che negli anni Sessanta decise di quotare l’azienda in borsa per aprirsi a nuovi investimenti e capitali senza perdere il controllo del giornale. I titolari delle azioni di classe A sono rappresentati da un terzo del consiglio di amministrazione, mentre la famiglia Ochs-Sulzberger, che controlla circa l’88% delle azioni della compagnia di classe B – non disponibili sul mercato – detiene le azioni che eleggono i rimanenti due terzi del consiglio.
Questo investimento non mostra quindi un piano di Slim per guadagnare influenza e controllo sul New York Times, quanto invece la sua fiducia nel futuro finanziario del giornale anche in un momento delicato per la stampa come questo. Dal 2009, anno in cui la società dovette ricorrere al prestito di Slim, il New York Times ha sistemato il suo bilancio, ha creato un efficace sistema di pagamento e abbonamento online e ha introdotto nuovi prodotti digitali, creandosi un buon mercato. Le sottoscrizioni online sono diventate 875mila, supplendo parzialmente alla diminuzione dei lettori dell’edizione cartacea.
Pare che, come riporta un articolo di Bloomberg, Slim non abbia intenzione di rivendere ora le sue azioni per ottenere un profitto immediato, anche se né lui né Times Co. hanno fatto commenti al riguardo. La società ha però fatto sapere, attraverso l’amministratore delegato Mark Thompson, che ha intenzione di utilizzare i soldi ricavati dalla vendita delle azioni a Slim per ricomprare altre azioni di classe A, perché è nell’interesse della società continuare a mantenere un bilancio equilibrato e trovare una buona sistemazione all’afflusso di denaro liquido. Le aziende infatti spesso ritengono che la liquidità in eccesso possa essere meglio investita in azioni della stessa società, piuttosto che impiegata su altri fronti o lasciata in banca (a causa dei bassi tassi di interesse). Inoltre è un modo per accrescere la considerazione degli investitori nella società, poiché la società mostra di credere in se stessa.