Sessant’anni di Autobianchi
Storie di un'importante casa automobilistica italiana – frutto dell'allenza tra Fiat, Pirelli e un costruttore di biciclette – che festeggerebbe in questi giorni una ricorrenza non da poco, se esistesse ancora
di Andrea Fiorello – @andreafiorello
Se esistesse ancora, la casa automobilistica Autobianchi avrebbe appena compiuto sessant’anni: la sua nascita risale all’11 gennaio del 1955, giorno in cui il costruttore di biciclette Bianchi, la Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) e il produttore di pneumatici Pirelli firmarono un accordo per fondare una nuova società di produzione auto. L’ideatore dell’operazione commerciale fu il direttore generale della “Fabbrica Automobili e Velocipedi Edoardo Bianchi”, l’ingegner Ferruccio Quintavalle, il quale voleva risollevare le sorti dell’azienda di cui era a capo: gli stabilimenti all’inizio della Seconda guerra mondiale erano stati riconvertiti alla produzione bellica e per questo avevano subito pesanti danni a causa dei bombardamenti su Milano, dove la Bianchi aveva sede.
L’accordo iniziale prevedeva un investimento in tre quote uguali, che avrebbe permesso alla Pirelli di allargare la propria fornitura di pneumatici, alla Fiat di sperimentare un target alternativo di clienti senza compromettere il proprio marchio e alla Bianchi di ritornare alla produzione automobilistica, attività che l’azienda – pur essendo conosciuta principalmente per la costruzione di biciclette – aveva svolto con buon successo dal 1901 al 1939 e che non aveva potuto riprendere per mancanza di capitali.
L’ingegner Quintavalle aveva intuito che nell’Italia del Dopoguerra le utilitarie (i modelli piccoli che oggi si chiamano citycar) stavano assumendo un’importanza e una diffusione sempre maggiore e voleva riportare la Bianchi alla produzione con un modello dalle dimensioni contenute, ma che allo stesso tempo si rivolgesse a una clientela benestante, alla ricerca di un’auto piccola ma non spartana. La fabbrica scelta per costruire la prima auto dell’Autobianchi – il marchio era già stato usato dal 1952 per l’autocarro Visconteo prodotto dalla Bianchi fino al 1959 – fu quella di Desio, vicino a Milano, di proprietà del produttore di biciclette.
Per trentacinque anni la fabbrica di Desio fu sede della produzione Autobianchi: l’ultimo modello a essere stato realizzato sulle sue linee fu la seconda serie della Y10, fino al 1992. La terza serie di quest’utilitaria fu costruita nello stabilimento Alfa Romeo di Arese fino al 1995, anno in cui la commercializzazione del marchio Autobianchi fu definitivamente interrotta. Lo smantellamento totale dell’area in cui sorgeva lo stabilimento di Desio è cominciato nel 2002 ed è terminato nel luglio 2003 con l’abbattimento di una torre alta 50 metri, simbolo della fabbrica.
Autobianchi Bianchina (1957-1969)
(foto: dave_7)
Dopo la ristrutturazione e l’installazione di una nuova linea produttiva, alla fabbrica Bianchi di Desio si decise di costruire una “piccola di lusso” chiamata Bianchina, che fu presentata al pubblico il 16 settembre 1957 al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano in un evento cui parteciparono Giuseppe Bianchi (figlio del fondatore Edoardo e presidente dell’Autobianchi), Alberto Pirelli e il presidente Fiat Vittorio Valletta accompagnato da Gianni Agnelli.
La Bianchina utilizzava telaio e base meccanica della Fiat Nuova 500 – che peraltro era stata lanciata pochi mesi prima, nel luglio dello stesso anno – ma era leggermente più grande (5 centimetri più lunga, 2 centimetri più larga) e al lancio era disponibile solo in versione “Trasformabile”, cioè con una carrozzeria a 3 volumi e il tetto in tela che si ripiegava completamente fino al lunotto posteriore. All’interno, dietro ai posti anteriori c’era solo una panchetta, piccola per due adulti e più adatta a bagagli o bambini, mentre le finiture erano ricercate per i tempi e più lussuose di quelle della Fiat 500: all’esterno la verniciatura poteva essere scelta in otto tinte bicolori, c’erano numerosi dettagli cromati, pinne posteriori e le gomme fornite dalla Pirelli avevano una fascia bianca che richiamava il lusso delle auto statunitensi. L’abitacolo utilizzava materiali pregiati per la copertura di sedili e portiere, la strumentazione era elegante e completa e c’era persino – accessorio raro per l’epoca – una ventola elettrica a comando manuale per sbrinare il parabrezza.
Pur avendo un prezzo superiore a quello della Fiat 500 (565.000 contro 490.000 lire), l’Autobianchi Bianchina fu un grande successo di vendite e nel primo anno di commercializzazione superò addirittura i numeri della corrispondente torinese. Il pubblico vedeva nella Bianchina un modello con cui distinguersi dalla motorizzazione di massa, rappresentata dalla Fiat 500, e per sfruttare questa nicchia di mercato nel 1958 Fiat e Pirelli decisero di espandere la produzione ed effettuare un aumento del capitale della società Autobianchi. Giuseppe Bianchi non aveva denaro a sufficienza per partecipare all’operazione e per questo cedette le proprie quote a Fiat e Pirelli – a quel punto soci al 50 per cento – e lasciò l’azienda e la carica di presidente.
Negli anni successivi la gamma dell’Autobianchi Bianchina fu proposta con motorizzazioni più potenti e ampliata: nel 1960 vennero lanciate le versioni Cabriolet e Panoramica. Quest’ultima era una station wagon a tre porte derivata dalla Fiat 500 Giardiniera disponibile anche in versione Furgoncino, cioè senza sedili e finestrini posteriori. Nel 1962 prese il posto della Trasformabile la Berlina 4 posti con tetto rigido: è la variante più conosciuta dal pubblico perché il ragioniere Ugo Fantozzi – protagonista di numerosi e popolari film comici interpretato da Paolo Villaggio – ne possiede una di colore bianco.
La Bianchina fu prodotta per tredici anni, fino al 1969, in oltre trecentomila esemplari per essere poi sostituita da un’altra utilitaria del marchio, l’Autobianchi A112.
Autobianchi Stellina (1963-1965)
(foto: Dinkum)
Presentata al Salone dell’Auto di Torino del 1963 ed entrata in produzione poco dopo, l’Autobianchi Stellina era una spider realizzata sulla base meccanica della Fiat 600 – con cui condivideva telaio e motore – che aveva una caratteristica molto moderna per quegli anni: era la prima auto di serie italiana ad avere la carrozzeria in vetroresina (un tipo di plastica rinforzata con fibra di vetro) e non in metallo. La vetroresina è inattaccabile dalla ruggine – un problema molto diffuso allora – e leggera, ma questa novità forse troppo avanzata per l’epoca non aiutò la Stellina, che fu venduta per tre anni in appena 502 unità (350 in Italia) anche per via del suo prezzo molto alto, se comparato alle prestazioni modeste che era in grado di erogare il motore della Fiat 600.
Autobianchi Primula (1964-1970)
(foto: Charles01)
Presentata al Salone dell’Auto di Torino nel 1964 – anno in cui l’Ingegner Giovanni Nasi assunse la presidenza dell’Autobianchi e rafforzò così il legame con la Fiat – la Primula era un’auto media a tre o cinque porte che utilizzava il motore della Fiat 1100 D in posizione anteriore trasversale e introduceva una novità importante nella produzione del gruppo: la trazione anteriore.
L’arrivo sul mercato della Mini nel 1959 e il suo grande successo avevano reso molto popolare la trazione anteriore – configurazione meccanica tipica della Mini, per cui la spinta del motore viene trasmessa alle ruote davanti – e l’industria automobilistica aveva cominciato ad adeguarsi alla nuova tendenza. Alla Fiat la resistenza nei confronti di questa soluzione era quasi irrazionale e derivava da un episodio accaduto negli anni Trenta, quando il fondatore Giovanni Agnelli era stato coinvolto in un incidente a bordo di un prototipo a trazione anteriore. Da allora aveva rifiutato ogni successiva ricerca in questa direzione.
Il progettista Dante Giacosa (già responsabile delle Fiat 500 e 600) decise di utilizzare la Primula come modello “apripista” per convincere la sua stessa azienda della validità di questa configurazione e sperimentare alcune soluzioni tecniche innovative rispetto alla tradizione Fiat. La natura sperimentale dell’Autobianchi Primula si nota anche nello stile esterno, caratterizzato da una linea a due volumi (a 2, 3, 4 o 5 porte) con posteriore inclinato e possibilità di avere un cofano bagagli o un più pratico portellone apribile da “fastback” in cui si solleva anche il lunotto.
Nel 1965 arrivò anche una versione coupé della Primula e il modello restò in produzione fino al 1970, venduto in un totale di circa 75.000 unità. Le soluzioni tecniche adottate da Dante Giacosa nella Primula si mostrarono molto valide e insieme allo stile insolito furono fonte d’ispirazione per i modelli Fiat degli anni successivi: nel 1969 arrivò la prima Fiat a trazione anteriore, la 128, e la linea a due volumi con portellone posteriore inclinato fu adottata nel 1971 dalla Fiat 127.
Autobianchi A111 (1968-1972)
(foto: http://www.flickr.com/photos/41364417@N04/)
L’Autobianchi A111 fu una berlina media venduta tra il 1968 e il 1972, dotata di carrozzeria tre volumi simile a quella delle Fiat 124 e 128. Esteticamente più tradizionale rispetto alla Primula, aveva in comune con questa la configurazione meccanica a trazione anteriore. Molto curata nelle finiture e dotata di ottime prestazioni e stabilità, restò in commercio pochi anni con vendite mediocri, dovute probabilmente al prezzo più alto di quello delle concorrenti.
Nel 1972 la A111 non fu sostituita da un nuovo modello e da allora la produzione dell’Autobianchi si limitò alle utilitarie di prestigio; il cambio di strategia fu conseguenza dell’acquisto da parte di Fiat del 100 per cento di Autobianchi e della decisione di metterla sotto il diretto controllo del marchio Lancia, anche questo entrato a far parte del gruppo da poco. Dal 1968 la Fiat preferì il marchio Lancia per le sue auto di lusso e il simbolo Autobianchi fu utilizzato solo nei mercati di Italia, Francia e Giappone per i modelli A112 e Y10.
Il prototipo Autobianchi Runabout (1969)
Al Salone dell’Auto di Torino del 1969 Autobianchi presentò la concept car Runabout, prototipo di piccola sportiva aperta che nei piani del gruppo avrebbe dovuto sostituire la Fiat 850 Spider. Lo stile a forma di cuneo della Runabout era molto aggressivo e ispirato ai motoscafi da corsa, l’auto era completamente priva di tetto o portiere e i fari principali anteriori erano montati ai lati dei passeggeri.
Il modello di serie che derivò da questo prototipo fu la Fiat X1/9 del 1972, mentre nessuna variante con il marchio Autobianchi venne mai prodotta. Il design della Runabout era stato commissionato a Marcello Gandini – allora responsabile del design presso la carrozzeria Bertone – e alcune caratteristiche di questa concept furono poi riprese dal progettista per altre sue creazioni, come le linee dei fari posteriori raccordati che ricordano quelle della Lamborghini Countach del 1974.
Autobianchi A112 (1969-1986)
(foto: User:328cia)
La A112 fu presentata al Salone dell’Auto di Torino del 1969, per essere poi messa in vendita nei primi mesi del 1970, ed è il modello del marchio Autobianchi più venduto di sempre: nei suoi diciassette anni di commercializzazione, infatti, è stato prodotto in oltre 1,3 milioni di esemplari. La A112 era la risposta del gruppo Fiat al grande successo commerciale della Mini, che dieci anni prima aveva introdotto il concetto di piccola elegante e sportiva e dal 1965 veniva prodotta anche in Italia dalla Innocenti, grazie a un accordo di licenza che aggirava i dazi doganali imposti in quegli anni a protezione dei marchi italiani.
Progettata dall’Ingegner Dante Giacosa per sostituire la Bianchina, la A112 era una citycar a trazione anteriore con motore anteriore trasversale, configurazione meccanica che era già stata sperimentata sulla Primula e sulla A111. Lunga 3,23 metri, la A112 poteva ospitare quattro persone ed era molto pratica: il portellone apribile e il divano posteriore ribaltabile permettevano di ottenere un ampio spazio di carico dove mettere la spesa settimanale o trasportare oggetti ingombranti, senza rinunciare alle dimensioni compatte e all’agilità utile in città.
Nei suoi diciassette anni di commercializzazione la A112 fu realizzata in sette serie diverse, che progressivamente ne aggiornarono lo stile e le caratteristiche meccaniche. La qualità delle rifiniture interne e le sue forme riconoscibili la resero un modello di successo e la A112 resta anche oggi il modello più conosciuto del marchio Autobianchi, tanto che nel 2009 la casa automobilistica giapponese Honda riprese le sue forme con un prototipo elettrico chiamato EV-N, che richiamava in maniera esplicita le proporzioni e i fari anteriori dell’utilitaria Autobianchi.
A rendere popolare e desiderata la A112 contribuirono in maniera determinante le sue versioni sportive, realizzate dall’elaboratore Carlo Abarth. L’azienda di quest’ultimo (il cui simbolo è uno scorpione) entrò a far parte del gruppo Fiat nel 1971 e proprio nell’autunno di quell’anno fu commercializzata la A112 Abarth, una piccola sportiva pensata per i clienti più giovani il cui motore era stato elaborato per elevarne la potenza da 44 a 58 CV. Le prestazioni della A112 Abarth erano notevoli per l’epoca – la piccola auto superava i 150 km/h di velocità massima – e la caratterizzazione sportiva era anche estetica: la carrozzeria era di colore rosso, mentre il cofano motore, i passaruota e la fascia posteriore tra i fari erano di colore nero. La A112 Abarth fu prodotta fino al 1985 e continuamente aggiornata con il procedere delle serie, in particolare dal 1975 la potenza della variante sportiva crebbe da 58 a 70 CV.
Autobianchi Y10 (1985-1995)
(foto: Charles01)
La Y10 fu l’ultimo modello ad essere stato commercializzato con il marchio Autobianchi in Italia, Francia e Giappone, mentre sugli altri mercati era proposta con il logo Lancia. Prodotta in 1,1 milioni di esemplari, era un’utilitaria a tre porte che grazie alle sue finiture ricercate e alla sua immagine da “piccola di lusso” ebbe un ottimo successo commerciale negli anni Ottanta e Novanta.
Presentata al Salone dell’Auto di Ginevra del 1985, la Y10 aveva una forma a cuneo, la coda tronca e il portellone posteriore nero satinato indipendentemente dal colore della carrozzeria. Gli interni erano realizzati in materiali pregiati – alcune versioni speciali utilizzarono anche l’Alcantara, velluti realizzati dallo stilista Missoni o la pelle Poltrona Frau – e potevano essere dotati di accessori a quel tempo riservati alle auto più grandi, come il cambio automatico, i vetri elettrici, la chiusura centralizzata, l’aria condizionata o una strumentazione completamente digitale chiamata “Solid State”.
Più costosa della spartana Fiat Panda, la Autobianchi Y10 diventò molto popolare grazie a una riuscita campagna pubblicitaria che recitava “Y10 piace alla gente che piace” e all’apparizione nel film del 1986 “Yuppies – Giovani di successo” diretto da Carlo Vanzina, in cui i protagonisti Ezio Greggio e Jerry Calà – stereotipi di una generazione di giovani modaioli che frequentavano la cosiddetta “Milano da bere” – erano alla guida di due Y10.
Molti personaggi famosi dell’epoca, anche calciatori come Ruud Gullit e Stefano Tacconi, furono coinvolti nella campagna marketing di lancio dell’Autobianchi Y10, ma questa utilitaria non era solo un modello elegante e un po’ snob. Le sue caratteristiche tecniche erano state molto curate dai progettisti e proprio sulla Y10 debuttò il benzina 1.0 FIRE (Fully Integrated Robotized Engine), un motore fondamentale nella storia Fiat perché oltre a essere elastico, silenzioso ed economico, fu il primo ad essere prodotto con processi robotizzati completamente automatici.
La Y10 fu prodotta per dieci anni in tre serie diverse, di cui l’ultima venne costruita non più nello stabilimento di Desio, ma in quello Alfa Romeo di Arese. Alcune varianti personalizzate da importanti marchi come Fila, Missoni, e Martini & Rossi vennero messe in commercio e la gamma si arricchì progressivamente di versioni sportive come la Turbo da 85 CV o la GT i.e. da 78 CV e di una Y10 a trazione integrale 4WD, dotata di un sistema che permetteva d’inserire la trazione 4×4 con la semplice pressione di un pulsante sulla plancia, una caratteristica all’avanguardia per l’epoca.
La Y10 fu sostituita nel 1995 dalla Lancia Y, il modello che decretò definitivamente la fine della commercializzazione del marchio Autobianchi.