Dieci canzoni di Rod Stewart
Oggi compie 70 anni, ed è uno che trent’anni fa ha cantato canzoni formidabili, con quella voce lì
Rod Stewart è nato a Londra il 10 gennaio del 1945, e oggi compie 70 anni. Il peraltro direttore del Post Luca Sofri ha scelto dieci canzoni per il suo libro Playlist, per chi è più giovane e non le conosce, o per quelli che invece le sanno a memoria ma vogliono riascoltarle.
Rod Stewart
(1945, Londra, Inghilterra)
Una volta era davvero bravo. Trent’anni fa ha cantato canzoni formidabili, con quella voce lì. Poi ha tirato i remi in barca; ma le ha provate tutte e sempre vendendo milioni di dischi. Adesso registra raccolte di classici da autogrill che rifatti da lui suonano ridicoli, ma vende anche queste. Ci sono anche tutte quelle cose di lui e le ragazze, e di lui e il calcio, e di lui e le macchine, ma era un’altra vita e un altro mondo.
Maggie May
(Every picture tells a story, 1971)
Formidabile racconto di una storia con una donna non più giovanissima, e lui è uno studentello che dovrebbe raccogliere i libri abbandonati accanto al letto e tornare a scuola. Ma lei – di cui pure si vedono le rughe – è fantastica. Il sogno di ogni adolescente, che abbia visto Il laureato o no. Divertente la frequenza di simili fascinazioni per donne mature nelle canzoni del primo Rod Stewart, paragonata alla sua nota passione per le ragazze molto più giovani, di lì a poco (in un disco dal vivo del 1993 lo si sente presentare una canzone così: “Quando l’ho scritta, mia moglie aveva un anno”). “Maggie May” divenne la sua canzone più amata.
I don’t want to talk about it
(Atlantic crossing, 1975)
Una delle prime grandissime ballate di Rod Stewart – “I don’t wanna… talkaboutit…” – era stata scritta da Danny Whitten dei Crazy Horse: la band di Neil Young dopo i Buffalo Springfield. Whitten era quello alla cui dipendenza dall’eroina Young aveva dedicato “The neddle and the damage done”. Morì di overdose a 29 anni, dopo essersi comprato di che farsi con 50 dollari che gli aveva dato Neil Young. La versione di Rod Stewart arrivò tre anni dopo. Dal vivo, in Absolutely live, c’è un impressionante coro del pubblico.
Sailing
(Atlantic crossing, 1975)
Buffo come sia la “Sailing” scritta
da Gavin Sutherland e cantata da
Rod Stewart (il suo singolo più venduto in Inghilterra), che quella successiva di Christopher Cross abbiano un’andamento simile, col quieto arpeggio di chitarra e la
strofa che si ripete mollemente,
senza ritornello. Vanno a vela, appunto.
The first cut is the deepest
(A night on the town, 1976)
Questa era di Cat Stevens.
Tonight’s the night
(A night on the town, 1976)
Quando eravamo ragazzi, c’era uno del gruppo che riusciva sempre a convincerti a uscire, ogni sera – anche quando avevi voglia di startene a casa a sentire Simon & Garfunkel – convincendoti che sarebbe stata la sera buona. Buona per cosa, lo potete immaginare: si era ragazzi, e non si alzava una paglia. “Tonight’s the night”: ma Rod Stewart, nel sostenere la stessa cosa, si trovava già a metà dell’opera, come sottolineano i gorgheggi in francese di Britt Ekland alla fine della canzone o l’inequivoco verso “spread your wings and let me come inside”.
You’re in my heart
(Foot loose & fancy free, 1977)
Pochi versi nella storia del rock sono così faticosi come quel “my love for you is immeasurable”. “Immeasurable”? È come se Baglioni cantasse “ti amo incommensurabilmente”. Ma Rod Stewart si fa perdonare mettendo le mani avanti – “please pardon the grammar” – e usando una concreta citazione calcistica per descrivere tutte le cose che lei è: “you’re Celtic, United, but baby I’ve decided you’re the best team I have ever seen”. «Quando ho scritto “You’re in my heart”, che è una canzone molto sentimentale, avevo appena rotto con… già… con chi avevo rotto, quella volta lì?».
Tonight I’m yours
(Tonight I’m yours, 1981)
Definirlo “il disco new wave” di Rod Stewart forse è un po’ troppo. Ma a questo giro si inventò un po’ di suoni elettronici e dei ritmi incalzanti e anni Ottanta. Non era più la storia del rock, ma se la batte con i classici del pop.
Young turks
(Tonight I’m yours, 1981)
Testo un po’ springsteeniano di fuga da casa verso il mondo e la libertà, che culmina in un roseo lieto fine in cui Patti e Billy (nomi molto springsteeniani) hanno un bambino di dieci libbre, “oh yeah”. Gran ritmo, e niente di davvero turco: il titolo allude ai rivoltosi che all’inizio del Novecento presero in pugno l’impero ottomano, divenuti modello per ogni ribellione.
Some guys have all the luck
(Camouflage, 1984)
Era di Robert Palmer, noto da noi per il formidabile successo di “Johnny and Mary” e per i video con le modelle in costume da bagno. “Certi tipi hanno tutte le fortune” è un bel titolo. Lui la chiama con telefonata a carico e lei non accetta. Quindi si può immaginare che non abbia neanche i soldi per la telefonata. Robert Palmer è morto nel 2003, a 54 anni, per un attacco di cuore.
Tom Traubert’s blues
(Lead vocalist, 1993)
La canzone è di Tom Waits, ed è così bella che Rod Stewart riesce a non rovinarla. L’originale cita e riprende una canzone tradizionale australiana che molti laggiù vorebbero fosse l’inno nazionale. È quella che dice “Waltzing Mathilda”, per capirsi.